|
|
La triste “evoluzione” dell’uso della lingua |
|
|
|
|
|
|
|
|
Si è parlato molto in questi ultimi giorni degli scivoloni linguistici in cui sono incappati alcuni vertici istituzionali di primaria importanza, dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Sommo Pontefice Francesco. Si è discusso molto sulla opportunità di utilizzare un linguaggio da trivio, per di più offensivo o lesivo della dignità altrui e sono state avanzate in proposito le giustificazioni più disparate. E’ viceversa il caso di segnalare come quello che è accaduto sia soltanto un altro dei segni del tempo che viviamo; basti solo pensare a quanto viene detto e fatto nel Parlamento italiano che non è ormai da tempo una dépendance dell’Accademia della Crusca, ma anche a quanto avviene a mo’ di esempio negli immarcescibili talk show in cui si esibiscono senza sosta le tante marionette della nostra epoca. Fa pertanto sensazione lo stupore e la meraviglia per ciò che è accaduto.Dobbiamo infatti ricordare che in proposito esiste da tempo tutta una “letteratura” a fare da scuola. Una ventina di anni fa una scrittrice americana di successo (scrittrice?) ci consegnò per così dire un suo vademecum letterario in proposito, diffuso tra l’altro in una trentina di paesi, il cui titolo recitava espressamente “Gli uomini preferiscono le stronze”; l’autrice Sherry Argov scrisse poi anche un seguito intitolato “La magnifica stronza”. Si potrebbe addirittura pensare che il Presidente De Luca abbia subito qui una specie di refoulement freudiano. Di certo non lo sappiamo ma siamo consapevoli invece che I testi in questione si qualificavano a detta della critica più attenta (critica?) come “trattati di stronzologia”. A suo tempo però qualcuno ironizzò avanzando sarcasticamente l’idea che era nata una nuova disciplina, quasi una sottostruttura del pensiero filosofico,altri invece non vollero nemmeno prendere in esame la proposta. Ma forse la considerazione a più ampio spettro è un’altra e riguarda il sottosviluppo linguistico che è progredito in questi anni coinvolgendo tutti i mondi possibili e producendo un imbarbarimento espressivo senza uguali e che è poi la conseguenza di una limitatezza culturale che ha messo in disparte da tempo il famigerato “bon ton” e che sa esprimersi unicamente con quel gergo che una volta si sarebbe detto da osteria. Ignorando persino che non esistono nemmeno più le osterie di una volta. Antonio Filippetti
|
2024-07-01
|