La conclusione di un anno e l’inizio di uno nuovo inducono a osservazioni sul presente, ma soprattutto a riflessioni sul passato e considerazioni sul futuro che si spingono ben oltre i soli dodici mesi. È noto che l’Italia sia stata lungamente patria incontrastata dell’arte dei suoni. Nel bel paese sono nati i conservatori di musica, magnifiche scuole di liuteria non ancora eguagliate, forme musicali come il melodramma, l’opera buffa, la villanella, la tarantella, la canzone classica napoletana, il concerto grosso o l’oratorio, e musicisti ed interpreti massimi quali Niccolò Paganini, Enrico Caruso, Alessandro e Domenico Scarlatti, Giovanni Paisiello, Niccolò Jommelli, Giovanni Battista Pergolesi, Niccolò Piccinni, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini, e chi più ne ha più ne metta. Né sono mancate scuole interpretative eccellenti, come quella pianistica napoletana che ha sfornato gran copia di virtuosi straordinari,italiani e stranieri. Tutto ciò fino a circa cinquanta anni fa. Ad osservarla oggi, la penisola italica non è neppure la larva di se stessa. In un degrado culturale generale, che investe ogni campo, artistico o scientifico, dove oramai solo pochissimi riescono con eroici sforzi a distinguersi, la musica non è da meno. E se, a cercarli nel passato, i grandi artisti nostrani spuntano come funghi ad ogni piè sospinto, oggi si fa assai fatica a trovarne. Cosa è successo? Possibile che il genio italiano si sia estinto nel giro di solo pochi lustri? Difficile da credere, se non si sospetta una volontà di annichilimento della nostra cultura e della nostra capacità di produrne, scientemente applicata, con ogni probabilità per nascosti mortivi di politica internazionale. E nascosti nemmeno tanto se si prova ad immaginare la potenza economica, civile e culturale che potremmo essere non trascurando poi la nostra collocazione geografica. D’altronde la colonizzazione sempre piùinvadente, che ci strumentalizza commercialmente e ci obnubila il pensiero, è sotto il nostro sguardo. Basta accendere un televisore. La qualità cede il posto alla quantità, il valore alla popolarità, ed alle voci indimenticabili di Mario Del Monaco e Franco Corelli si sostituiscono giovani, e meno giovani, senza virtù canore ed interpretative particolari, che tengono banco sui nostri schermi, in luoghi straordinari, specialmente in queste ultime festività, mentre l’episodio che ha visto solo pochi giorni fa il direttore d’orchestra Riccardo Muti disturbato più volte dal suono spensierato e festoso di un telefono cellulare in un contesto, tra l’altro, che dovrebbe essere di massimo prestigio, onusto come era di persone “onorevoli”, la dice lunga circa l’attenzione che sappiamo porgere a certi momenti di cultura, e fa il paio con una triste statistica di cui si sente tanto spesso parlare, che vuole noi italiani relegati agli ultimi posti di una classifica circa la capacità dicomprendere un testo. Siamo alla frutta? Proprio Riccardo Muti citava un proverbio cinese secondo il quale “è a forza di pensare ai fiori che i fiori crescono”. Che i veri virtuosi continuino allora ad avere fiducia… e buon anno a tutti. |