Le maggiori attrazioni nella zona più orientale della Turchia sono il monte Ararat, il Nemrut Dagi e il lago Van: solo quest’ultimo è attrezzato come polo turistico, per cui, accingendosi a un viaggio in questa regione, occorre essere dotati di un po’ di spirito d’avventura; comunque, se non si dà eccessivo peso a qualche inconveniente, si è largamente ricompensati da un’esperienza veramente affascinante. Girando per l’Anatolia, avevo incontrato vestigia greche e romane, esemplari di architettura selgiuchide e ottomana, nonché antiche Chiese bizantine: in parte, queste, conservate intatte, in parte trasformate in Moschee (moschea = in turco càmi = pr. giaamì). Quello che ci aspettava, ora, , nel lembo orientale dell’Anatolia era qualcosa di completamente diverso, dato che lo stile architettonico armeno e georgiano, pur risentendo ovviamente l’infusso di Bisanzio e della Persia, ha tuttavia avuto uno sviluppo originale e autonomo, con un periodo di particolare fioritura nei ss. IX-XII. Se ancora nel sec. V predominava nella costruzione delle Chiese, per lo più edificate in pietra vulcanica, la pianta basilicale, con una o più navate absidale separate da pilastri, già nel sec. VI questo tipo di Chiesa in uso nelle regioni occidentali del Paese fu qui abbandonato a favore di quello a pianta centrale sormontata da una cupola che si concludeva con un caratteristico tetto conico. Mentre l’esterno è generalmente semplice e compatto, l’interno si presenta arricchito da intricati motivi ornamentali, con bei rilievi murali che denotano ascendenze assire e persiane, bizantine e arabe. Nella decorazione dei muri esterni sono state usate arcate e lesene e motivi zoohorfi o vegetali a bassorilievo. Le finestre sono ogivali, di tipo gotico. E’ attestata la presenza in questa regione già da epoca molto remota degli Armeni, una popolazione indoeuropea di origine antichissima. A quanto da essi si racconta, le poche persone che riuscirono a sopravvivere al Diluvio, rifugiandosi nell’arca di Noè, calarono a valle dalla cime del monte Ararat e si stanziarono in questa zona, provocando la formazione, ta il 4ooo e il 2ooo a.C., di numerosi principati urriti, che nel territorio compreso tra il lago Van e il Mediterraneo poterono mantenere l’indipendenza, destreggiandosi tra gli Ittiti, indoeuropei. e gli Assiri, semiti. Verso il 1500 a.C. gli Urriti riuscirono a unificarsi in un saldo organismo politico, lo Stato di Mitanni, governato o da una tribù urrita, o da una casta aristocratica indoeuropea; questo Impero mantenne la supremazia su buona parte dell’Asia Minore per circa un secolo e mezzo, finché nel 1365 cadde sotto i colpi del “nuovo Impero” ittita e dell’Egitto. Mentre nel sud il Regno di Mitanni venne più tardi a confluire in quello di Siria, nella zona intorno al lago di Van si formò il potente Stato di Urartu, le cui lingua e civiltà indicano una chiara origine urrita. Secondo una sintetica versione cristiana diffusa un millennio più tardi, Hayq, discendente di Noè e primo Re di Urartu, avrebbe dato al suo successore il nome di Aram, da cui sarebbe poi derivato il termine “Armeno”. Nel sec. VIII a.C. il Re Rusa I stabilì la capitale a Toprakkale, sulle sponde del lago Van. Per chi nutre un particolare interesse per l’archeologia, si consiglia di visitarne il tumulo, donde sono state riportate alla luce varie vestigia dell’antica città urartea, con resti di un palazzo e di un tempio. In questo Stato autonomo di Urartu va dunque visto ill primo nucleo dell’Armenia, che a poco a poco, fondendo influssi orientali e occidentali, venne sviluppando una propria lingua e una sua cultura. Basandoci sulle informazioni contenute nelle tavolette assire, possiamo dire che questi discendenti di Noè e Aram dimostrarono ben presto di avere buon fiuto per gli affari e non tardarono ad allacciare rapporti commerciali con la Cina e la Scizia. Sappiamo inoltre che dovettero più volte combattere contro le successive dominazioni di Assiri, Persiani e Macedoni. Alla fine del sec. I a.C. il Re Tigrane riuscì a unificare e ampliare l’Armenia, che tuttavia dovette accettare la protezione di Roma, dopo che nel 69 egli si era alleato col suocero Mitridate, Re del Ponto, contro la stessa: furono sconfitti sotto le mura della capitale da Lucio Licinio Lucullo (67 a.C.). Più tardi, nel 66 d.C., Tiridate fu riconosciuto da L. Tiberio Claudio Nerone come Re dell’Armenia, a patto però di accettare la supremazia romana. La sovranità di Roma fu infine rimpiazzata da quella persiana. Nel 303 d.C. l’opera di evangelizzazione compiuta da S. Gregorio l’Illuminatore portò alla conversione del Re Tiridate III, ch dette al Cristianesimo il riconoscimento di religione di Stato; ne seguì una frattura con la Persia, ma il conflitto fu facilmente appianato da Bizantini e Persiani, che nel 387 si spartirono il territorio dell’Armenia. La perdita dell’indipendenza politica non significò tuttavia una soggezione in campo spirituale; anzi, il rifiuto di accettare le conclusioni del IV Concilio Ecumenico di Calcedonia, che nel 451, con la partecipazione di 520 Vescovi, sotto S. Leone Pp. I il Grande e l’Imperatore Marciano, definì che in Gesù Cristo vi sono due Nature, la divina e l’umana, nell’unica Persona del Verbo, provocò una violenta rottura con le Chiese sia di Roma che di Costantinopoli e la definitiva autonomia della ChiesaArmena. - Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalià e ritmi diversi ha riallacciato fraterne relazioni anche con quelle antiche Chiese dell’Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come a dei fratelli che, dopo lungo tempo , si ritrovano nella gioia. La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche Chiese dell’Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche, sociali e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo . . . [Giovanni Paolo Pp. II, Lett. Enc. “Ut unum sint”, 25.o5.1995, § 62, cc. 1°-2°] Al momento in cui comnciarono le imvasioni arabe, nel sec. VII, gli Armeni dovettero accettare la supremazia del Califfato arabo, ma poi,approfittando del declino bizantino e della disgregazione dell’Impero arabo, l’Armenia ebbe due nuovi secoli di indipendenza sotto la dinastia dei Bagratidi, che ricostituì il Regno con capitale ad Ani. Fino al momento dell’invasione mongola, la città di Ani (Anikoy) rappresentò per Kars una temibile rivale; oggi non si saprebbe dire quale sia in condizioni peggiori, se la città o la strada per arrivarci. Fra l’altro, occorre un visto delle autorità militari. Sono da vedere i resti degli imponenti bastioni eretti alla fine del sec. X per difendere l’abitato, edificato su un pianoro in mezzo a due profondi burroni: di queste fortificazioni rimangono quattro porte e numerosi torrioni. Gran parte però delle vestigia del suo glorioso passato, comprendenti anche un buonnumero di Chiese, sono oggi scomparse o ridotte a brandelli di muri slabbrati e diroccati; si cammina in mezzo ai ruderi invasi dalle erbacce e dai cardi di una città-fantasma. Quello che fu un tempo un grande e potente centro di 20.ooo abitanti è oggi ridotto a poco più d’un villaggio. Dopo essere entrati nella città bassa (Anagi Ani) attraverso la Aslanli Kapisi (Porta del Leone) e procedendo sul pianoro si notano: • le rovine di una Chiesa georgiana dell’inizio del sec. XIII; • la Chiesa di S. Gregorio, a pianta circolare, costruita nell’anno 1ooo dal Re Gagik I; • la Chiesa dei SS. Apostoli, risalente a pochi anni dopo; • la Chiesa di S. Gregorio di Abugamrentz, del sec. X, che, con la sua cupola sormontata da un tetto conico, si presenta, graziosa, come tipico esemplare dell’architettura armena. Anche la Cattedrale, uno dei monumenti meglio conservati di Ani, mostra chiari moduli stilistici armeni; nel 1064, 50 anni dopo la sua fondazione, fu trasformata in Càmi dai Selgiuchidi, ma nel sec. XIII i Georgiani la restituirono al culto cristiano e la restaurarono. La Chiesa di S. Gregorio di Honentz risale a un’epoca leggermente più tarda (1215). Si conservano all’interno notevoli decorazioni murali, plastiche e pittoriche. Arroccata sulle alture dominanti il fiume Arpa, anche la Càmi Menùçahr (1072) palesa l’influsso armeno. La pressione dei Bizantini era troppo forte e nel 1045 il Regno armeno fu annesso da Bisanzio, che tuttavia, a causa dei dissidi religiosi con i Cristiani d’Armenia, non si mosse in loro aiuto contro i Turchi Selegiuchidi, ma lasciò che questi invadessero tranquillamentequesta parte dell’Asia Minore. Pochi anni dopo, nel 1080, gli Armeni, che si erano rifugiati in Cilicia, sulla costa mediterranea, fondarono un nuovo Stato autonomo, che fu generoso di aiuto ai Crociati, in cambio di un loro appoggio per l’espansione del territorio armeno. Il risultato fu però che nel 1342 questa’Armenia passò sotto il dominio dei Lusingano di Cipro e, successivamente (1373) sotto quello dei Selgiuchidi; da questo momento l’unica forma di autonomia che gli Armeni riuscirono amantenere fu limitata al solo campo religioso. I pesistenti attriti tra i gruppi armeni e il Governo ottomno di Istanbul si fccero particolarmente acuti – e sanguinosi - tra la fine del sec. XIX e l’inizio del XX; sebbene qusta minoranza cristiana godesse di una formale protezione da parte della Francia, della Gran Bretagna e dell’Impero russo, pure essa andò incontro a una serie di tragiche vicende, culminanti nel periodo della prima guerra mondiale, quando la maggioranza degli Armeni si rifiutò di combattere nell’armata della Turchia, alleata dell’Austria-Ungheria, della Bulgaria e della Germania. Gli Armeni riuscirono a organizzare un movimento di resistenza, che però dovette soccombere di fronte al massiccio invio di truppe turche: l’ultimo atto della tragedia armena si compì sulle pendici del Musa Dag, il Monte di Mosè. Ne lasciò testimonianza il tedesco Franz Werfel in Die Vierzig Tage des Musa Dagh (1933), la più compiuta espressione della sua personalità letteraria.
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