“C’era una volta in America”, il più bel film di Sergio Leone, racconta tra sogno e realtà le avventure di un gruppo di giovani malviventi negli anni più burrascosi del secolo sorso. E’ un’opera affascinante che non smette di emozionare e commuovere. Il titolo del film torna ora prepotentemente di attualità alla luce di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti dopo l’elezione di Donald Trump. L’obiettivo del presidente degli Stati Uniti sembra essere quello di cancellare tutto ciò che la nazione americana è stata e cosa ha rappresentato non solo per i suoi abitanti ma per il mondo intero. Lo slogan “Make America Great Again (MAGA), al di là di cosa voglia rappresentate per il presidente Trump, è destinato a distruggere sensazioni, sentimenti, apprezzamenti tutt’altro che secondari. Da sempre il mondo statunitense è stato rappresentato comel’immagine per eccellenza della democrazia, un luogo dove tanti avrebbero voluto vivere affascinati anche da alcuni slogan allettanti (la mela newyorkese, la città che non chiude mai, ecc.) e amando senza remore le proposte yankee come i film della nuova frontiera (trascurando in questo caso ogni considerazione sul genocidio dei cosiddetti nativi che molte di quelle pellicole raccontavano), la musica, la letteratura, il costume (indimenticabile l’”americano a Roma” di Alberto Sordi) e così via. Questo fino a ora, fino a quando cioè Trump non si è insediato alla Casa Bianca. Da quel momento in poi si è rapidamente diffuso un sempre più dichiarato malanimo nei confronti degli Stati Uniti, un sempre più aperto sentimento antiamericano che si estende un po’ in tutti i paesi, mescolando delusione e terrore. E’ come se tutto d’un tratto la fisionomia consolidata del “GrandePaese” avesse perso i suoi connotati fondamentali. Certo anche in passato tanti aspetti della “cultura” statunitense non sono stati apprezzati, specie se si pensa agli anni del maccartismo e alla messa al bando di idee e situazioni ritenute ostili e ”non allineate” al mood corrente (le facili accuse di antiamericanismo, la messa al bando di opere artistiche e letterarie, ecc.). Ma in quel caso nasceva anche e si affermava per così dire una controcultura di resistenza capace di arginare i peggiori atteggiamenti del momento. Attualmente, forse anche per l’improvvisa o inattesa voragine con cui il trumpismo sembra seppellire il recente passato, il dissenso tarda o non riesce ad organizzarsi per cui si afferma semmai un sentimento di diffuso sconforto che allontana sempre più l’immagine consolidata degli Stati Uniti nell’immaginario collettivo provocando altresì uno stupefattodisorientamento che tende via via a ripudiare certezze e convinzioni del passato. Si avvicina forse la fine della bella favola, del c’era una volta, la dissoluzione di un sogno che forse non era nemmeno tale ma che per lungo tempo ha attratto e ingannato. Antonio Filippetti
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