Sta facendo molto discutere in questi giorni l’installazione di Gaetano Pesce collocata in Piazza Municipio a Napoli proprio di pronte alla sede del comune, intitolata “Ti si ‘na cosa grande”, nell’ambito di un progetto di valorizzazione artistica. Le discussioni e le polemiche intorno all’opera nascono in primis dalla forma della scultura e al suo riferimento fallico. Il problema appare tuttavia posto male. Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha detto una cosa giusta e inconfutabile e cioè che l’arte fa discutere. Ora il punto è proprio questo: l’arte fa discutere, tutto ciò che arte non è dovrebbe essere lasciata perdere, ed è il caso appunto dell’opera di Pesce che potrebbe essere catalogata alla voce scherzo (o capriccio) estetico che con l’arte ovviamente non ha nulla da spartire. Viceversa si è aperta un’accesa disputa tra i sostenitori e i detrattori ma tutti apparentemente consapevoli di stare a discettare di arte: ifavorevoli hanno richiamato precedenti illustri come i dipinti dell’antica Pompei o le performance delle avanguardie artistiche mentre i contestatori hanno fatto riferimento a diversi slogan pubblicitari, ricorrendo anche a espressioni più schiettamente goliardiche, con le femministe che ne chiedono addirittura la rimozione. La constatazione più vera e amara è che ci si muove in un contesto di falsificazione, nel senso che si discetta di un qualcosa che non è, inverando quello che già alcuni decenni fa preconizzava uno studioso come Michel Butor, vale a dire di vivere atteggiamenti e ruoli esistenziali all’insegna del “come se fosse”, certificando comportamenti fasulli. Naturalmente la società della globalizzazione ha concesso pressoché a tutti un passaporto d’inclusione, ovvero la possibilità di entrare in tutti gli ambiti della vita civile, culturale, politica, ecc. senza badare né alle facoltà dei singoli né alle conseguenze che ne derivano. Il risultato è un immensoBarnum in cui si infilano tutti con la pretesa di avere voce in capitolo. Nella confusione che ne deriva si mescola di tutto: la maschera di Pulcinella, il cuore e l’amore per Napoli, la fertilità nel richiamo fallico, la ripresa del titolo di un grande successo di Domenico Modugno e così via, per la buona pace di tutti coloro – e sono tanti – che scendono nell’agone della disputa per fare sentire la propria voce. Mentre l’arte, quella vera, continua ovviamente a dormire altrove. E allora sorge anche un legittimo dubbio: i soldi spesi per realizzare simili imprese potrebbero essere impiegati per iniziative magari meno appariscenti ma più utili alla cittadinanza e cominciare così un percorso virtuoso per cercare di fare davvero ‘na cosa grande”. Antonio Filippetti
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