In ricordo di Maria Pasquinelli
 











Non passa giorno che qualche data di ormai lontani eventi cancellati dalla iconoclastia storica di truffaldini umanoidi e-o plurietnici abitanti, presunti eredi, oggi, degli un tempo autoctoni nativi delle terre nord orientali istro-adriatiche, si ripresenti alla soffocata loro memoria per qualche ragione di inventato interesse.
L’evento suscita necessità di nuove manovre di bassa manipolazione politica, ovvero di recupero di fatti, soppressi volutamente in momenti passati, a cominciare dopo la I guerra mondiale, all’unico fine di accaparrarsi nuovi benefici acquistabili dalla non ancora completata - dopo secoli – sistemazione di quella regione europea, per semplificare chiamata Balkania, sede di infiniti conflitti interni d’ogni genere, ininterrottamente esportati al di fuori dei suoi molteplici, da quelli geografici a quelli storico-religiosi-civili-etnici, confini. Divisioni e conflitti le cui varie conseguenze si sono manifestate in Europa e soprattutto nellesue aree mediterraneo-adriatiche, coinvolgendo o –meglio - sconvolgendone gli equilibri specialmente causati dal malaugurato ingresso della aliena potenza extra-europea Stati Uniti d’America e del suo anglosasssone alleato.
Quella del contingente britannico, il cui Comandante, nella città di Pola, nel mezzo degli eventi post 8 settembre 1943 fino alla Pace di Parigi 1° febbraio 1947, incontrò la morte per mano di una eroica donna, pronta a sacrificare, con la propria vita, quella del Generale de Winton, convinta così di richiamare l’attenzione dei vincitori al rispetto dei proclamati diritti universali degli stessi vinti. Le tante volte richiamate - anche su la benemerita Rinascita - vicende delle nostre guerre mondiali, prima e seconda, al confine orientale, e gli esiti delle stesse, di cui si conposcono bene le date incancellabili, non hanno invece dato mai risalto a una di quelle, di incomparabile gravità, che notizie di cronaca, attuali, provenienti dalla trascurata meglio,vergognosamente usurpata, vita culturale di Trieste, mi hanno suggerito di recuperare.
Non è facile esprimere il peso con il quale misurare l’indignazione accumulata per anni e che ha accompagnato la presa di coscienza via via sempre maggiore dell’allontanarsi, anziché dell’accrescersi, dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica - guidata da una inerte, impreparata “intellighenzia” – sul passato e sul presente delle terre e delle isole – quante! – perdute. Una ”revisione”, una giusta ricerca storica della verità sugli eventi avvenuti nella regione istro giuliano dalmata, finora come noto negativamente bollati come politicamente fascisti, rimane proibita. E lo rimarrà per altri decenni, anche giuridicamente se verrà varata dal parlamento una odiosa legge di condanna del libero pensiero e della libera ricerca sugli eventi storici da restituire alla verità liberati dalle imposte falsificazioni.
Nelle cronache storiche triestine, ad esempio, molti fatti, molte verità sonoletteralmente scomparse e sono state ridicolmente sostituite da qualche loro vago brandello pressoché.
Rari nantes in gurgite vasto” di sbiaditi frammenti galleggianti sperduti su mari percorsi in tempi andati, di cui si ignorano e si ignoreranno i punti di partenza e d’arrivo.
Chissà se e quando le cronache di Trieste si interrogheranno ancora sul rapporto tra due tragiche date che riguardano la città giuliana: quelle dell’8 settembre 1943 e del 10 febbraio 1947. Purtroppo l’indifferenza, la cecità e l’oblio sembrano aver reciso la memoria storica che congiunge queste due date al nome di Maria Pasquinelli, una donna italiana che, nella città di Bergamo – così mi si riferiva – ha appena compiuto i cent’anni di età. Una donna italiana che trovò nel suo cuore l’ispirazione, la forza, la resistenza, la convinzione nata dal più sublime amor di Patria, anche a costo di sacrificare ad esso la propria vita, suscitando la ribellione contro la resa a quella pace, alla invasione deimassacratori stranieri, da cui un intero popolo stava per essere, come tutto dimostrò, derubato. Tutto: non è un modo di dire. Privi di storia, di cultura, di lingua, oggi in Istria persino i “rimasti” - ma chi sono? quanti sono? - non conoscono più nemmeno le parole delle loro deliziose canzoni popolari, da secoli gioia e sorriso delle vite dei loro avi. Conosciute e amate ovunque la parlata veneta era diffusa. Melodie divenute anch’esse, come la loro pronuncia straniera, straniere. E che rivestono testi senza passato, ormai senza futuro.Maria Renata Sequenzia






2012-12-13


   
 



 
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