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Artisti > Corrado Cagli > Biografia > Opere > Critiche > Mostre > Il teatro

Il teatro

"Il Misantropo" di Menandro - Benedetto Marzullo
Le miniere di zolfo - Gino Tani
Agnese - Riccardo Muti
Bacco e Arianna, Cagli e il teatro in musica - Pietro Argento

"In musica, in letteratura, in tutte le arti, è lo stesso bisogno di stupore e di piimordio che si fa sentire, la stessa angoscia di abbandonare il frammento e, liberati da un complicato intelletto, farsi i muscoli e il fiato per un'arte, ciclica e polifonica".
(C, Cagli, Muti ai pittoti, in "Quadrante", 1933, p. 19).
Come si legge in questo corsivo degli anni Trenta, Cagli già pone come essenziale la "polifonia" delle arti e fa emergere un'esigenza di coralità che puntualmente rileva E. Crispolti: " (...) le sue esperienze iniziali di muralista, e le riflessioni teoriche che alimentarono all'inizio degli anni Trenta la sua famosa domanda di "muri ai pittri" sono rimaste operanti nella sotterranea vocazione sia ad una coralità della proposizione immaginativa, sia ad una continua accettazione della sfida che l'occasione teatrale poteva venire a porre appunto per il comunicare"
(E. Cdspolti, cat. mostra, Il teatro di Cagli, Milano 1984, p - 3).
Lo stesso Cagli dice a L. Cacciò in un'intervista del 1975: "Le dico ora una cosa curiosa: se faccio un determinato quadro so che può non essere capito; se da quel quadro ne derivo un arazzo so che la gente lo capirà meglio; se, infine, la stessa idea la realizzo sulla scena so che sarà capita ancora meglio" (L. Cacciò, Incontro con C. Cagli, in "L'Unità", 1975, p. 8).
Il teatro resterà sempre per Cagli non un'esperienza a sé stante, ma una palestra di sperimentazioni in cui confluiranno le sue ricerche pittoriche, scultoree ecc. e che a sua volta sarà stimolo per nuovi cicli creativi.
" (...) La saldatura così verificata tra pittura e scenografia porta questa, per Cagli, dal piano d'una accessione al piano d'una vocazione organica ed essenziale, e perciò la scenografia cagliana è inseparabile dalle altre manifestazioni della sua espressione" (C.L. Ragghianti, in Cagli scene e costumi 1952-1972, Firenze 1974, p. 6).
"Per Cagli l'impegno nel teatro non è stato mai soltanto occasionale né si è risolto in un semplice trasferimento di modi figurali della pittura alla scena (...) da una parte Cagli giungeva nello spazio della visualità teatrale con un bagaglio di esperienze pittoriche eccezionali, arricchendovi subito di colpo il livello di qualità visiva, dall'altro tuttavia, accettando la pratica della scena non come occasione di riporto e di adattamento, ma come possibilità nuova di sperimentazione visiva e di fenomenologia figurale, nella diretta pratica spaziale, tanto a livello immaginativo, quanto a livello tecnico (...)
(E.
Crispolti, cat. Mostra I Percorsi di Cagli, Napoli 1982, p. 52).
Ad ulteriore conferma di ciò lo stesso Cagli specifica ancora nel 1975: " (...) io amo dire pittore per il teatro e non scenografo, per quanto riguarda questa mia attività".
(L. Cacciò, op. cit., 1975).


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