Il Meltemi è un vento forte che soffia da Oriente. Porta con sé il profumo del mare e di genti che per questo Occidente, stanco e confuso, sanno ancora di esotismo. Non è l’unico che soffia da Est, naturalmente. Eppure è quello più deciso, quello con più carattere. Forse è il vento che meglio di altri sa impastare, una volta giunto al centro del Mediterraneo, gli umori dei popoli che ha attraversato. Meltemi come metafora dell’intreccio, quindi. Meltemi come simbolo di una ingiustizia millenaria che invece di seguire l’andirivieni delle maree si complica sempre di più e sembra non trovare sfoghi di alcun tipo. E’ con questa doppia chiave che va letto l’agile romanzo di Oliviero Vittori, Meltemi , (Albatros, pp. 195, euro 14.50) scrittore non professionista ma appassionato e con molte cose da dire. Una tra tutte, la tragedia della guerra tra palestinesi e israeliani non può essere rimossa attraverso la categoriadella "notizia". E’ una vicenda che ci appartiene. E non vale sentirsi distanti stando al di qua del mare. Quel mare, in realtà, è proprio ciò che ci unisce. E l’ultima drammatica vicenda della "Flotilla" lo ha dimostrato ancora una volta. Vittori prende spunto dall’attentato del 2004 a Madrid che ha rappresentato il punto più avanzato dell’offensiva di alcuni gruppi islamici in Europa e nel mondo. Uno degli attentatori, è questa la tesi forte, è "uno di noi". Non perché nato in uno dei tanti "non luoghi" del Vecchio continente. Non perché parla anche spagnolo. Non perché, infine, vive immerso fin nel midollo nella cultura e nel consumismo dell’occidente. Hasin, questo il nome del protagonista, è uno di noi perché a lui porta uno dei tanti intrecci che nascono da qui, dalla cosiddetta "sponda Nord" del Mediterraneo. Relazioni, storie, sentimenti, liason, passioni, interessi: il mondo reale, fortunatamente, lavora ad intrecci molto più ricchi e importanti di quanto riesca a fare laStoria. E’ lì che Vittori punta. Con una pazienza certosina va alla ricerca di tutti i possibili legami personali, e di gruppo, che da Roma, o da Sperlonga, da Londra o da Milano portano a Gerusalemme ed oltre, passando per Madrid o Barcellona. Li fissa, come un esperto incisore, sulla lastra, e li stampa, per poi completarli con colori densi e fantasiosi. A volte sembra perdersi in particolari del tutto secondari. In realtà in un intreccio che si rispetti quasi nulla è secondario. Hasin e Juan, fratelli di latte e di giochi, legati da un destino crudele. Il grande amore di Juan, Sara, verrà stroncata proprio la mattina di quell’11 marzo del 2004 mentre lo stava raggiungendo su un treno metropolitano. «Le nubi erano cariche di pioggia e qualcuno, da bambina - scrive Vittori nel passo finale del suo romanzo - le aveva detto che quando piove è il cielo che esprime la sua tristezza piangendo. Piange le sventure passate, il coraggio del presente e il nulla del futuro. Aveva avutobisogno di grande coraggio per raggiungere Madrid, per tentare di cambiare la direzione della sua vita, per seguire i suoi desideri, ma non aveva avuto fortuna». Il Mediterraneo ha già fatto nel corso della sua lunga storia un miracolo. La sua vocazione naturale all’intreccio delle diversità ha finito per produrre la scintilla della civiltà. Oggi, abbandonato e oltraggiato un po’ da tutti, il Mediterraneo sarebbe pronto per preparare la sua rinascita. Quale miracolo potrebbe donarci? Non la pace, esperienza per la quale si è già speso duemila anni fa senza un grande risultato. Forse potrebbe riproporci in una variante più articolata, quella capacità di percepirci come uomini, finiti e infiniti, impotenti e geniali, che abbiamo smarrito da un pezzo. Se è vero quello che sostengono alcuni storici, è proprio dall’aver voltato le spalle al Mediterraneo che sono nati i guai del nostro mondo. Aver pensato che ci fosse una via breve per bypassare la contaminazione araba e raggiungere cosìla cornucopia dell’India ci portò dapprima nell’oceano e poi verso il falso oro del Sud America. La navigazione in mare aperto fu la sventura di Ulisse. E la hybris della ricchezza senza confini portò gli europei a credersi talmente onnipotenti da bruciare centinaia di generazioni a venire. Al di là delle facili formule storiche, forse è proprio al Mediterraneo, e a quella umanità finita così intensamente dedita allo scambio, che dobbiamo tornare per scoprire contemporaneamente radici e temi del futuro. Vittori un po’ ci crede a questa possibilità.
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