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Il teatro
Sul
metodo analitico di Cagli
a
cura di Enrico Crispolti
"Ci
sono pittori e scultori apparentemente illogici nel loro manifestarsi.
La realtà è che in arte una sola logica è dannosa;
perciò pittori e scultori, che siano grandi, hanno una seconda
logica della quale non fanno mai
a meno senza per questo fare a meno della prima. E quando gli altri
uomini, che per l'occasione potrebbero chiamarsi monologici, si
scandalizzano di tale eccesso, non vedono che ai temperamenti plastici
sono necessarie due logiche, come alla forma per rivelarsi è
necessaria la copula della luce e dell'ombra. L'eclettismo apparente
del pittore moderno dipende dall'avere scoperto la natura dei "generi
pittorici". Come l'arte poetica ha i suoi generi (lirica, epica,
idillica) così la pittorica ha i suoi che non sono paesaggio,
figura e natura morta, ma sono l'astratto e il formale. Superato
il dissidio Ira i due generi (si può fare èpica e
lirica senza mutare anima) si riscatta l'astrattismo dalla polemica
per trasportarlo nell'arte".
Così scriveva Corrado Cagli nel 1933 in un "corsivo"
in Quadrante, la rivista di Bontempelli e Bardi, che raccoglieva
quasi tutte le esperienze di punta dell'arte italiana in quegli
anni. Ed è una dichiarazione rivelatoria, nel senso che può
suggerirci come fin dall'inizio Cagli avesse coscienza critica della
propria intenzione di apertura molteplice rispetto alle possibilità
fenomenologiche dell'intervento pittorico. E si può anzi
dire che, spostata la duplicità logica - e trasformata anzi
questa in molteplicità - dal piano dei "generi"
a quello di una pluralità di ipotesi compresenti strutturalmente
nell'esercizio stesso dell'espressione pittorica, si avrebbe subito
la chiave per intendere rettamente il senso della centrifuga complessità
che caratterizza tutta l'attività creativa di Cagli dagli
inoltrati anni Quaranta, ad oggi, da quando cioè, dopo la
parentesi bellica, il pittore ha potuto porre a nuovo frutto, in
un momento per di più assai stimolante, le esperienze precedenti,
proponendo una gamma quanto mai vasta di ipotesi di ricerca.
Ecco dunque configurarsi interamente, a conclusione delle lontane
intuizioni già dell'esordio degli anni Trenta, la misura
della problematica analitica tipica al processo creativo ed al metodo
di ricerca di Cagli. Una misura che il pittore stesso sente rispondere
alla tematica centrale dell'arte contemporanea, come ha scritto
in un testo in Ulisse, nel '59: "Nessuno sa della psiche se
non il perimetro di un impenetrabile labirinto ove, tuttavia, i
processi associativi sondano e traggono, da una illimitata congerie,
argomenti, vocaboli, forme, sensazioni, al fine di comunicare e
esprimere. Nessuno, però, più dei moderni ha investigato
lo spessore di quei sedimenti che occultano, in semi sparsi., la
memoria della storia dell'uomo. I moderni, da Cézanne a Mondian,
da Picasso a Klee, hanno in questa congerie
gettato per primi come sonda i differenziati processi dell'automatismo
analitico ". Ed ecco allora riproporsi la futilità del
dilemma "astratto" o "figurativo"
- già intuita nel "corsivo" del '33: - "Le
pressioni del mondo esterno", può precisare Cagli nello
stesso testo del '59, "sarebbero quanto mai sfavorevoli al
divenire di un artista se tali fossero le corna del dilemma e mera
pressione esterna appare la scelta che si pone tra astratto o figurativo,
come se l'apparire della immagine si ponesse a noi moderni nei termini
non anacronistici ai tempi di Spinello Aretino o di Domenico Ghirlandaio.
Allora si disegnava una sinopia e su quella si procedeva con uno
strato leggero di colletta e con le terre e i pennelli si eseguiva
un affresco. Dalla sinopia in poi l'immagine era preconcetta, e
prevedibile il senso dallo spolvero al giorno della consegna. Ma
nel nostro tempo è avvenuta l'inversione del moto creativo,
nella cronologia stessa dei momenti nei processi tecnici, e l'immagine
può risorgere dall'oblio, sia essa individuale o ancestrale,
andando, per intenderci, a ritroso, come se Spinello fosse andato
dal colore alla sinopia. Non è moderno, in questo senso,
resistere alle tentazioni come S. Antonio, e negare a priori il
passo a una " ballerina " su una tela chiamata futilmente
superficie numero trecentotrentatre, perché tale superficie
è stata a priori consacrata a un "segno".
Per ragioni analoghe, sarà inutile chiamare a gran voce gli
spiriti dei licei
artistici se tali spiriti dentro non vanno dettando, e dunque noi
non li
potremo significare ". "Ma un grande pittore nel mondo
moderno, deve
da solo accogliere nell'orbita della sua creatività una dialettica
ben più complessa, lasciando la propria funzione maturare
nel magma delle contraddizioni interne, a suo rischio e a suo danno".
Ed una misura che, come suggerisce chiaramente - e con un'indicazione
culturale della maggiore importanza - lo stesso Jung, pone quale
fondamentale strumento euristico il medesimo processo creativo:
nel senso appunto più schietto della intenzione analitica.
Il metodo di Cagli è appunto quello analitico, a "logiche
molteplici", ed antitetico dunque, direi per principio, alle
situazioni espressive routinières (anche le più autentiche,
ma non perciò meno caduche) "monologiche". Ed in
questo senso la sua opera, sia attraverso le intuizioni già
varie e molteplici e la fondamentale inquietudine di ricerca degli
anni Trenta, che sopratutto nell'apertura problematica svariatissima
(e culturalmente estremamente stimolatoria) dello scorcio degli
anni Quaranta,come dei decennio successivo, fino ad oggi - sia pure,
ovviamente, in momenti di diversa intensità -, acquista un
significato esemplare di grande importanza, proprio di fronte al
diffuso e
del resto non immotivato (profondamente ed umanamente) ricorrente
costume di esiti brevi, " monologici ", decennali o poco
più (ma spesso anche assai meno), per intensissimi e profondi
che possano essere stati (come è dei capisaldi dell'Informale
europeo e nordamericano). In questo senso Cagli sta dalla parte
della durata di un Klee, di un Ernst, o altrimenti di Picasso: durata
che non è ripetizione, bensì continuo scandaglio,
continua ipotesi analitica, continua ricerca, come è di una
vita che cresca nella forza della sua maggiore possibilità
d'apertura e sperimentativa; e non sta, chiaramente, da quella,
pur così alta, di Wols, o di Gorky, di Pollock, o di Burri.
Il discorso su queste diverse misure è ancora tutto da porre:
mi sembra che resti interamente incomprensibile, per ora, alla critica,
o affascinata immensamente dalla umanissima - ma ormai chiaramente
storica - dimensione dei capisaldi della stagione informale, oppure
stoltamente credula in un avvenuto superamento - di fatto per banale
via restaurativa di vecchie e logorate tesi degli anni Trenta -
di tale stagione, senza averne minimamente spesso neppure sospettate
le più intime ed autentiche ragioni. Ma non sarà invece
proprio nell'indagine critica su tale misura il modo di offrirsi
un tema di interna e motivata estrazione, per discorrere non a vanvera,
di "superamento?". Ecco allora che l'opera di Cagli, almeno
per suggerire una tale problematica, acquista un'attualità
critica di grande rilievo. E dico almeno per suggerire tale problematica,
giacchè altro è poi l'interesse sia qualitativo che
di stimolo culturale che nei vari momenti quest'opera sollecita,
come poi nella sua stessa natura di analitica riflessione critica
al più alto livello.
Ma cerchiamo intanto di comprendere meglio il significato di questa
fondamentale problematico dell'arte contemporanea in senso analitico,
quasi a tracciarne rapidamente la ricorrenza, e per intendere cosa
si muova dietro, e in qualche caso fiancheggia l'opera di Cagli,
sia nell'arco intero del suo percorso, che sopratutto nel quindicennio,
circa, più intensamente rivelatorio.
Picasso, Klee, Ernst sono esempi capitali da addurre subito (il
discorso altrimenti potrebbe complicarsi proponendo, per esempio,
da una parte Balla e dall'altra Duchamp) per questa linea di ricerca
aperta e molteplice, corrispondendo la loro opera ad uno scandaglio
che ben si può dire diretto a sondare quel mondo psichico,
che costituisce ragionevolmente un crogiuolo capace, per usare parole
di Cagli, "di rendere attuale il remoto e mnemonico il futuro",
e ponendosi dunque come apertura problematico dall'imminenza del
presente, capovolto, sia pure diversissimamente, appunto in dimensione
psichica profonda, e si può dire, con Jung "collettiva",
" simbolica ", e "tipica " (anziché meramente
"sintomatica"). D'altra parte la loro grandezza è
proprio in quest'arco tesissimo e al tempo stesso straordinariamente
ampio che riesce a collegare la problematico culturale del nostro
tempo a profondità di sedimentazioni remote ed ataviche,
riscattate nella loro vitalità esaustiva e liberatoria più
autentica.
E' sperimentazione analitica, ogni volta da capo riproposta, ogni
volta posta nuovamente in gioco, caratterizzata in un singolare
processo, in un esito tipico ed unico; scandaglio continuo, ipotesi
che continuamente e variamente si rinnova: volontà ispettiva
nel senso più ampio ed arrischiato; concreta rispondenza
rivelatoria alla fenomenologia psichica appunto proprio nel senso
junghiano; e quindi continua sollecitazione, instancabile riprova:
e non naturalmente in astratto bensì nella concretezza degli
strumenti, nel farsi stesso del processo: esiti che appunto "appaiono
solamente nella materia formata, quali principi regolatori della
sua formazione .
in questa sfera problematica si pone consapevolmente l'opera di
Cagli, ed appunto in questo senso il suo caratteristico sperimentalismo
acquista un significato profondo e motivazioni non provvisorie ed
effimere. La critica tuttavia è ancora ben lontana dal riconoscerlo.
E d'altra parte anche se non si è accettato comunemente di
dire che Cagli è stato ed è, appunto, uno sperimentatore,
si è poi preferito di dare a tale attività un senso
tutto privato, quasi una sorta di fantasiosa vocazione, scissa appunto
dal contesto storico di situazioni e problemi, verso i quali sarebbe
rimasta indifferente, come tutt'altro che innestata appunto in una
sfera di aperta problematicità, quale invece con chiarezza
intimamente la giustifica.
E, se appunto è in tale prospettiva che va ben più
ragionevolmente e plausibilmente posta l'opera di Cagli, una sua
attenta rilettura, debitamente inquadrata e ripercorsa in tutti
i suoi nessi, può poi subito configurare il significativo
ruolo, a continui ricorsi sollecitativi, di tale opera nella pittura,
in particolare, italiana ed europea degli ultimi decenni. Cioè
appunto Cagli è uno sperimentatore non in astratto, bensì
nell'ambito di un preciso aperto sperimentalismo delle punte dell'avanguardia
artistica contemporanea . Ma qual è poi la natura dello sperimentare
di Cagli? Non è difficile accorgersi come egli sia dalla
parte di Klee, piuttosto che da quella di Picasso: cioè egli
è intento ad un sondaggio interiore, anzichè ad una
estroversione interventistica. Dunque la sua sperimentazione è
portata sulla capacità di risonanza di ipotesi continuamente
rinnovate nella dimensione appunto di una intima (non intimistica)
e vigile meditazione, scarnendo o infoltendo - al contrario - gli
strumenti, secondo che il particolare momento di tale sondaggio,
richieda; e non è la continua riproposta in varianti ed eccezioni
diverse, e variamente ipotetiche, di una sorta di ideografia impressiva
che ruoti poi attorno alla tesi di una immagine - proprio direi
somaticamente - attuale e al tempo stesso "archetipa"
dell'uomo contemporaneo.
Ed ecco dunque che l'area delle preferenze di Cagli tende ad essere
quella del grafismo, del segno, del sondaggio di materia (non "materico
" nel senso comune), della flessione della realtà dell'immagine
interiore da un orizzonte meramente fantastico ad una più
concreta compromissione, con registrazioni quasi corsive, con un
contatto strettissimo insomma e condizionante fra immagine e strumento
(e ciò con vive intuizioni già negli anni Trenta);
e non è invece quella ove presieda - come spesso nella pittura
picassaiana - un furor dimostrativo, ed esperitivo, che può
sfiorare (se non forse le inaugura, almeno per certi aspetti) tesi
di "pittura-azione ".
Forse anzi ad una tale formula, che - come si sa - dobbiamo , per
la pittura nordamericana della fine degli anni Quaranta e degli
anni Cinquanta ad Harold Rosenberg, per Cagli si potrebbe opporre
quella di "pittura-meditazione". E ciò può
avvenire perché l'immagine realizzata da Cagli non è
l'immagine di un gesto, di un'azione, bensì di una meditazione,
di una ricerca nel profondo, di una liberazione le cui radici s'è
detto si collocano ad un livello d'ascolto di particolare complessità:
non si è capovolta nello strumento, al punto da essere immagine
soltanto di un esito strumentale (immagine appunto di un gesto,
fisico, per esempio), ma non ha neppure, al contrario, annullato
lo strumento nell'idealità dell'immagine; vive invece proprio
di questa sottile ma determinante dialettica di un'immagine appunto
intrinseca allo strumento ed al processo, ma anche di una valorizzazione
dello strumento e del processo alla soglia dell'idealità
della immagine.
Cagli insomma sembra non credere né alla pura sfera ideale,
né alla pura sfera materiale: insiste invece sulla realtà
del tramite dialettica - e inverante -, che è poi l'intervento
stesso dell'artista, il suo " fare " come meditazione
analitica e controllo analitico psicologico e sensibile. Ed ecco
dunque appunto quel singolarissimo rapporto, caratteristico della
pittura di Cagli dallo scorcio degli anni Quaranta ad oggi, fra
materia e immagine: una materia-immagine a qualificare una immagine-materia,
nel più dei casi, come accento di un radicale immanentismo
materialistico, ma con tutto un patrimonio anche di eventualità
magico-misteriche, come altro esito nell'analisi del profondo, che
non mancheranno ad un certo punto di rivelarsi chiaramente, ed anzi
in una sua vera e propria svariatissima imagerie, di "archetipi"
come nelle tavolette del '54 e '55. Insomma per artificio, la materia
ha consistenza d'immagine, e correlativamente, l'immagine ha consistenza
di materia. Ed appunto Cagli vuole, si direbbe, dimostrare la stretta
correlazione dei due termini, tradizionalmente antitetici, e che
il tipico materismo informale ha teso invece a risolvere, in un
deciso squilibrio, solo nel primo termine: in una materia cioè
configurata come nuova ed esclusiva dimensione d'immagine. Nelle
famose "carte", fra il '58 e il '60, Cagli ha portato
all'estremo questo motivo, che però già s'afferma
ben distinto in un folto gruppo di dipinti del '50.
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