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Solo qualche anno fa, per l’esattezza era il mese di giugno 2017, l’allora presidente della Rai, Monica Maggioni (successivamente “trasferita” alla guida del TG1) affermò solennemente: “non so se la Rai avrebbe retto senza Fazio”, volendo intendere chiaramente che la presenza del conduttore era da ritenersi fondamentale per le sorti di quella che ancora viene considerata la maggiore industria culturale del paese. Ora che Fazio sta lasciando Viale Mazzini dovremmo concludere, per deduzione, che il destino di mamma rai è segnato per sempre (e non pochi potrebbero affermare con giubilo “finalmente!” ). Ma aldilà dei giochi di potere che hanno segnato e ancora segneranno le evoluzioni e gli avvicendamenti sulle varie poltrone della cosiddetta stanza dei bottoni, alcune considerazioni sorgono spontanee anche perché fanno luce, se così si può dire, su quello che è lo stato dell’arte della politica culturale del Belpaese. Intanto l’attendibilità delle affermazioni di amministratori e dirigenti di una struttura che conta circa dodicimila dipendenti e che da sempre fa leva su uno striminzito plotone per mandare avanti la barca che pure fa acqua da tutte le parti. Ma poi gli stessi protagonisti di quelle imprese mediatiche non si vergognano di fare addirittura le vittime quando decidono di lasciare la presa per saltare su altri vascelli e correre per altri lidi con gratificazioni magari raddoppiate o comunque ben più lucrose. Per il caso in esame il discorso sembra incentrarsi su un’eterna “querelle”, quella che contrappone due opposte fazioni; da una parte coloro che gridano all’epurazione politica e dall’altra quelli che esultano per aver finalmente posto un argine ad un monopolio divenuto insopportabile. Ma la cultura a cui si è fatto cenno in precedenza può davvero risolversi in questo modo? Il paese di Dante e Leopardi, di Michelangelo e Giuseppe Verdi si divide e arrovella per una questione di questo tipo? Se così stanno le cose, vuol dire che siamo davvero alla frutta o, peggio, oltre ogni limite di sopportabile decenza. il mondo della televisione (vale per tutte le reti) è quello dei teatrini che non cambiano mai e mettono in scena all’infinito il medesimo spettacolo con l’unico scopo di reiterare senza sosta le idee (idee?) e le aspettative del carro di cui fanno parte e di cui sono anzi “per contratto” indefessi paladini. E quando non bastano ci sono sempre le “piattaforme” a supportare e incoraggiare. I più furbi (o forse i più indecorosi) ne traggono tutti i vantaggi che possono; gli altri, la maggioranza, subiscono rassegnati o si lasciano sedurre (o sedare), magari inconsciamente, dalla perversa pratica del lavaggio del cervello. Antonio Filippetti |
2023-06-01
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