articolo 2454

 

 
 
Letteratura fuori dagli schemi/La vita di lunedì di Francesca Vitelli
 











Vi sono diversi modi per affrontare il complesso meccanismo di un romanzo, e ciascun autore utilizza per così dire il canone cioè la tecnica che ritiene più congeniale, vale a dire  in  sintonia con la propria sensibilità. L’approccio scelto da Francesca Vitelli per questo suo testo narrativo (“La vita di lunedì: Di sogni e altre quisquiglie”, Edizioni Il mondo di suk, pp.210, 2uro,15,00)  è al tempo stesso  originale e intrigante e potremmo anche azzardare che per un lettore  non proprio “attrezzato” potrebbe risultare persino spiazzante;  ma è proprio qui che risiede poi uno dei pregi del libro. Il testo potrebbe intendersi, infatti, come una forma di autobiografia romanzata del protagonista che parla a se stesso nell’arco di tempo di una vita intera che nel caso specifico comincia negli anni quaranta e arriva fino ai giorni nostri. In questo singolare confronto che il protagonista Vincenzo ha con il Vincenzino che è stato,   si dipanano  le vicende che hanno segnato la  nostra  epoca.  E a questo punto il lettore è messo necessariamente in connessione con tutti quelli che sono stati per così dire i capisaldi delle peculiarità di un periodo storico che ci riguarda e accomuna. Di volta in volta, infatti, ogni capitolo scandisce per così dire non solo il tempo che è trascorso ma ciò che in particolare lo ha contraddistinto. Vengono così a galla i topoi più significativi del secolo a cui  sono legati i momenti essenziali della vita trascorsa e ciò che essi hanno rappresentato. E’ l’evoluzione stessa dell’esistenza che viene richiamata e grazie alla quale è possibile ricongiungersi al proprio passato ma più ancora ritrovare il senso di ciò che è stato e la ragione per cui siamo come siamo. Ed è come se parlassimo di e a noi davanti allo specchio per ritrovare o giustificare scelte esistenziali e percorsi sentimentali.
Grazie a questa singolare
rappresentazione il testo ci invita a ritrovare noi stessi o meglio a riflettere sui cambiamenti socio-economici  succedutisi nel tempo ed anche a ricostruire  territori e ambienti rimasti vivi nella memoria. E qui viene fuori anche la città di Napoli, la terra in cui il personaggio è vissuto, con i suoi simulacri ma anche con le trasformazioni che si sono avute e che inducono ora a meditare. Lo scopo di tutto  è arrivare alla fine per potersi finalmente riconoscere, proprio come quando siamo a tavola ed è necessario arrivare alla fine: ce lo ricorda  in epigrafe l’ultimo capitolo: ”L’importante è arrivare al dolce, non alla frutta, a quel dolce che racconta chi sei, da dove vieni e chi hai scelto di diventare. Quel sapore te lo porti dentro dall’infanzia e, quando rischia di scomparire, si impone in tutto il suo valore, solo un insieme di ingredienti penserà qualcuno ma quegli ingredienti sono la tua identità e il tempo che hai impiegato per arrivare dove sei”.
Occorre dire anche che in uno schema narrativo costruito in maniera così essenziale, risulta quanto mai pertinente l’avere adottato una tecnica lessicale che alla lingua convenzionale unisce il dialetto in modo misurato ma funzionale e bisogna dare atto alla scrittrice di avere  saputo dosare il tutto con acutezza e discrezione,  il  che aiuta la lettura e ne fa addirittura un elemento  supplementare  di pregio narrativo.
Antonio Filippetti



2022-12-16