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Finzioni (ma Borges non c’entra) |
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Ci sono alcuni episodi della vita di ogni giorno che appaiono secondari o del tutto trascurabili, eppure rappresentano più di altri eventi - quelli ritualmente o unanimemente celebrati - i veri indicatori del periodo storico che si vive. In altri termini, è in queste cose apparentemente piccole o insignificanti che si manifesta il “mood” del tempo che ci tocca vivere. Una delle caratteristiche più pregnanti che segnano i modi in cui si dipana la nostra quotidiana avventura è quella di una rappresentazione fittizia dell’essere; non si tratta tuttavia di una estensione per così dire della vita nelle forme teatrali (o viceversa) quanto dell’attribuirsi un ruolo e una funzione in realtà sostanzialmente inesistenti ma che vengono unicamente assunti all’insegna del “come se fosse” secondo la formula che già diversi anni fa un studioso, come Michel Butor segnalava come una cifra caratterizzante del nostro tempo. In parola più semplici, fingiamo di svolgere un’attività o di assolvere un compito che pur non esistendo affatto nella realtà appaiono veri in tutto e per tutto. Si tratta, potremmo dire, di una dilatazione della realtà virtuale che finisce per affascinarci, non solo, ma per essere vissuta come appunto fosse una cosa reale. Il piccolo ma significativo esempio, così come ricordato in apertura che ci viene in questo caso prepotentemente in soccorso, è quello delle finte nozze del cavaliere Berlusconi con Marta Fascina. Tutto s’è svolto secondo la prassi usuale di un simile evento: location, abbigliamento, banchetto, invitati, tutto come appunto abitualmente avviene in una normale cerimonia nuziale, solo che era tutto finto poiché mancava il fondamento del vincolo matrimoniale che è quello che impone legami e obblighi giuridici e civili. Se nel Truman show sono gli “altri” che osservano e controllano un individuo che svolge una sua vita “normale”, qui sono tutti protagonisti di una burla vissuta tuttavia come un’esperienza assolutamente reale. Questo episodio al tempo stesso esemplare e macroscopico ci fa da guida per riflettere su una condizione esistenziale assai diffusa che coinvolge fondamentali e decisivi aspetti della vita sociale, culturale e politica. La pratica del “come se fosse” è attuata costantemente. Così accade che un personaggio “mordi e fuggi” si trovi a operare “come se fosse” un ministro o semplicemente un onorevole (anche se onorevole! ricorda la battuta del grande Totò nella scena famosissima del vagon lit), un altro spara idiozie in tv “come se fosse” un anchor man, un altro ancora scrive un libello “come se fosse” uno scrittore. Su altre sponde c’è chi opera guidando una squadra di calcio “come se fosse” un allenatore o chi sale su un palco a starnazzare “come se fosse” un cantante. E potremmo continuare a lungo, l’elenco, infatti, sembra non finire mai. Ora poi con l’imminente esplosione del Metaverso gli avatar potranno sembrare perfino più reali dell’originale che li ha prodotti. E allora bisogna forse dare ragione a Edmund Husserl, il padre delle ricerche nella psicologia cognitiva e l’intelligenza artificiale, quando si ostinava a difendere l’interpretazione della realtà dall’invasione dell’irrazionale in un mondo come affermava con amarezza “in cui il nome di razionalista è diventato un’ingiuria”. Antonio Filippetti |
2022-04-02
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