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Il deserto del presente civile e politico |
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Potremmo cominciare dal Festival di Sanremo. Cosa c’entra la sagra della canzone con la politica e la società civile? Cercherò di chiarirmi elencando alcuni punti fondamentali. Si è fatto un gran parlare sulla rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Se ne sono dette tante e molti si sono messi in vetrina sull’argomento per cui già questo potrebbe essere un indizio che fa pensare al circo canoro sanremese. Tutti sono scesi per così dire in campo senza un minimo di credibilità e consistenza, lanciati in un’arena del tutto priva di senso e di equilibrio tattico. Tanto per starci insomma, proponendo questo o quel nome salvo poi ritrattare un attimo dopo. I teatrini in questione erano soprattutto quelli della politica da una parte e dell’informazione dell’altra. Tutti a ruota libera e tutti a martellare senza costrutto, senza alcun discernimento tanto è vero che nessuno ha azzeccato una previsione. E a ben guardare non poteva poi andare diversamente visto che da lungo tempo gli uni – i politici - e gli altri – i comunicatori, se la giocano tanto per dire o fare qualcosa ma sono del tutto disancorati dalla realtà concreta del paese. E rappresentano ormai soltanto se stessi (nel caso dei comunicatori gli interessi dei rispettivi editori). Oltretutto non sono mancati gli effetti comici. Ad esempio durante il discorso d’insediamento del Presidente Mattarella davanti al Parlamento a camere riunite, i deputati, i senatori e gli altri grandi elettori applaudivano a getto continuo ( si sono contati 55 applausi, record assoluto per un discorso d’insediamento presidenziale) proprio per quelle cose che il Presidente segnalava come priorità ineludibili e che sarebbe stato proprio loro compito e dovere averle fatte: un applauso paradossalmente indirizzato alla loro insipienza e incapacità; ma allora per quale ragione sedevano su quei banchi dai quali scattavano come molle per applaudire? Sono stati usati toni entusiastici, come quando si è vinto un mondiale di calcio o roba del genere. Altri, i più ostinatamente critici ma anche loro con poco sale nella zucca, hanno gridato al fallimento visto che non si è stati in grado di avvicendare il prode Matterella con altro nome. Ignorando in questo caso due postulati lapalissiani: il primo che fa capo allo scadimento ormai irreversibile dell’arena politica, agitata più che frequentata da veterani nemmeno più arzilli e sicuramente ignari di cosa siano novità e dignità ( non parliamo di fantasia e coraggio). L’altro aspetto trascurato rimanda al fatto che in ogni assemblea, se un amministratore ha operato bene (in questo caso addirittura innalzato ad unico eroe nazionale), non si vede poi la ragione per cui debba essere cambiato, correndo il rischio di fare un salto nel buio. Quei 55 applausi al discorso dell’insediamento rimandano proprio a Sanremo laddove si sprecano consensi entusiastici per tutti e soprattutto per una manifestazione capace di riunire intorno al televisore una massa sperduta di appassionati. Si inneggia ai risultati dello share mai così alti e sontuosi come quest’anno. Solo che quest’anno addirittura più che in passato è stato imbastito un carnevale dove sono stati imbarcati un po’ tutti, dai ragazzini rap agli ottuagenari imbalsamati, soltanto con l’obiettivo di fare entrare tutti in gioco. Verrebbe allora da dire proprio come il governo Draghi voluto da Mattarella. Con buona pace di armonia in un caso e di selezione democratica nell’altro. Ma le similitudini tra Sanremo e Montecitorio sono anche altre: i due eventi hanno molto in comune, potremmo dire che sembrano sempre più interscambiabili. Infatti se i deputati offrono diversi siparietti da avanspettacolo, sul palco sanremese si discute di cose serie, come il razzismo e la malavita. Un personaggio come Saviano, per fare un solo esempio, va proprio a Sanremo a recitare il suo monologo contro la malavita. Si dirà che viviamo nella società dello spettacolo ed in fondo anche questo è vero se pensiamo che anche il papa va da Fazio per una “storica” intervista, e a questo punto possiamo immaginare che una prossima volta, con il Pontefice sul palco dell’Ariston, lo share balzerebbe sicuramente al cento per cento. Ma c’è qualcosa che viene colpevolmente ignorato ed è, per così dire, l’altra faccia del paese, vorremmo dire il paese concreto di chi lotta e soffre davvero e malgrado tutto manda avanti la barca. Se Sanremo riunisce davanti alla tv tredici milioni di spettatori, ce ne sono più del triplo che non solo non guardano il festival ma combattono ogni giorno per se stessi e la propria famiglia. E’ il cosiddetto paese reale che non ammira i festivalieri e non si occupa dei parlamentari e nemmeno del Presidente della Repubblica giacché è da tempo disilluso e non si aspetta più nulla tanto è vero che non si reca nemmeno più a votare avendo smarrito ogni speranza per l’avvenire ed avendo maturato un giudizio del tutto negativo su quella classe dominante e privilegiata che applaude a comando o sconsideratamente come avviene al teatro Ariston o a Montecitorio. Ma probabilmente l’immagine che più si adatta agli uni e agli altri – politici e festivalieri – è quella del “come se fosse”, vale a dire l’espressione di una falsa generalità, il voler illudere e illudersi di essere ciò che non si è (più): espressione di un’armonia musicale da un canto e portatori di valori etici dall’altro, laddove ciascuno potrebbe perfino sostituirsi all’altro: una tragica apoteosi “dell’uno vale uno” che fa tornare alla mente il profetico finale della “Fattoria degli animali” di George Orwell. Antonio Filippetti |
2022-03-02
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