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La poetica di Francesco Terrone vive di lampi gioiosi e fugaci, squarci essenziali e improvvisi, in un’esistenza legata a doppio filo alla sorgente che li risveglia – un amore senza limiti - nel bel mezzo di momenti davvero speciali per il soggetto che li vive. Solo in tal modo egli può giungere a godere appieno del loro celestiale compiersi. In questo lavoro ci presenta una silloge di liriche brevi, a volte brevissime, ma capaci di conquistare uno spazio immenso, inconoscibile per tanti mortali, nel quale trovano vita e fioritura sentimenti profondi e bisogni irrinunciabili di un uomo che crede nell’Amore come manifestazione completa dell’essenza vitale e unico mezzo per tentare di penetrare il mondo dell’altro, la donna amata in primis. Mondo inconoscibile nell’ambito dei ristretti limiti disponibili se non vivificato dalla luce ardente del soffio, creatore e rigenerante, della passione. Solo questo sentimento ha la potenza unica e singolare - partendo da due corpi, cioè due entità distinte - di edificare una sola anima, capace di volare possente alla fonte dell’unica somma vita alla portata. E qui non scordiamo che la manifestazione dell’Amore può seguire diverse strade fino alla totale esaltazione mistica per qualcosa di trascendente. Ma l’amore terreno, come ogni evento che colpisce in qualche modo l’esistenza umana, possiede di sicuro due facce, e nessuno può prevedere – come per una moneta ritta in bilico – dove finisca col cadere nel tempo seguente. Può subentrare un’estraneità riflessa, e ancor più assoluta, tra due esseri prima congiunti, e allora davvero tocca bere il calice più amaro che questo ineffabile sentimento possa offrire: “I sogni non smettono / mai di incantare, / anche chi… / purtroppo non sogna più.” “Quando capirai / l’amore che ti voglio, / forse sarà tardi, / troppo tardi per viverlo.” “un cuore senza amore / non è cuore” L’amore può costituire anche una indispensabile direzione d’orientamento, una bussola che riesce a dirigere il nostro cammino sempre incerto in un mondo ostile quanto mai e pronto a confondere in ogni modo sul passo da compiere: “Confuso è il mio vivere / tra la gente che sembra / palafitte costruite su sabbie mobili.” Non è forse questa la fondamentale caratteristica che lo distingue da ogni altro sentimento? Antonio Filippetti – scrittore, giornalista ed editore partenopeo - efficacemente individua nell’ispirazione di questo Autore tre “linee guida” fondamentali. La prima: “la bellezza e la gioia di vivere”. Alla fine sono sempre questi binari ad averla vinta contro ogni avversità passeggera, quale finisce con l’essere la stessa vita umana se non vivificata da pensieri al di là dell’ordinario. “le tue mani… / ali di speranza dove la vita allunga i sogni” “aggrappati a me, tu che voli sincera / per le rotte dell’infinito; / aggrappati a me, isola in un mare senza fine.” Gli occhi come porta principale dell’essere, esperienza nota a tutti eppure, ogni volta, è come fosse la prima che affondiamo le mani in un forziere sconosciuto dove speriamo di scoprire le gemme più preziose. Emozione intensa, richiamata più volte nelle liriche di questa raccolta: “Teneramente apro i tuoi occhi / e mi ci tuffo dentro, / cerco di accarezzarne i colori / e sentire per sempre / il sapore dell’amore. “il sole penetra nei miei occhi / ogniqualvolta guardo i tuoi… / pieni di poesia.” “Ho i tuoi occhi stampati nei miei. / Solo così sono meno solo” La seconda chiave è “il sentimento del tempo”, nel suo corrosivo scorrere inarrestabile e tumultuoso. “Bisbigli di parole confondono la mia mente / mentre il sole illumina il tempo / che inesorabilmente corre / nell’etere della vita e dei sogni.” “La vita è un sogno / che si perde / nel tempio dell’eternità.” Il tempo, la maledizione che incombe su di noi, contro il quale possiamo solo cercare palliativi illusori che ci aiutino a contrastare la sua tirannia perpetua. E l’elemento tempo è strettamente collegato alla terza direttrice individuata dall’attento prefatore: “l’elegia della memoria”.“La vita è un vento forte / che avvolge e sconvolge / granellini di sabbia.” “Mi sorridi appena, / eppure io sono con te / a gioire sui nostri ricordi” Memoria, capacità vertice sommo delle facoltà umane. Attraverso di essa il nostro vivere può assurgere a una parvenza di immortalità, breve certo ma valida per nutrire appieno l’animo del singolo, la sensibilità personale, e questo molto più estesamente della fragilità dell’evento in sé che scorre via, inesorabilmente veloce, nel breve volgere della sua durata effettiva. La memoria dunque, per noi mortali, è l’unico modo di fermare il tempo, interrompere la corsa precipitosa che accelera sempre più con l’allungarsi della vita e alleggerire il carico collegato che si deposita gravoso sulle spalle di ciascuno. Un lontano ricorrente ricordo mi possiede, di estrema tenerezza e profondo significato. Un giovanottino di meno di quindici anni si rivolge alla nonna, molto avanti negli anni, chiedendo: “nonna, com’è stata la tua vita?”. E lei, dopo un’accorta pausa pensierosa, risponde “n’acchiantata ‘e fenesta” (il chiudersi di un’anta di finestra). Un minuto esempio di come un ricordo possa perforare intemerato decenni e presentarsi di vivezza immutata, quasi fosse accaduto il giorno prima… (personale? forse). Michele Cucuzza, giornalista e famoso conduttore RAI televisivo e radiofonico, nella sua introduzione, sa individuare un’altra interessante prospettiva nell’orizzonte guizzante di questo profondo e meditativo ingegnere, ricco nella vita sia di successi professionali che legati all’imprenditoria di rilievo: “si fa strada (in lui) l’intuizione che la pace si possa trovare solo comunicando con gli altri, rendendo parola le nostre azioni, la nostra esperienza. Pena la morte della storia.” Sono elementi particolari e a un tempo spettacolari che allargano ancor più la visione che questo interessante e dotato Autore ci propone con le sue rime, nell’intento di voler allargare ancor più gli spazi del nostro mondo intellettivo. “Scrivo, riscrivo i miei sogni / ormai privi della tua presenza. / Mi sento solo, / abbandonato e stanco, / ma non demordo.” “Nei tuoi occhi vedo il colore degli aquiloni, / vedo la vita che corre verso il mare, / vedo la strada dei sogni / che si restringe e si allarga” Francesco Terrone - campano di Mercato San Severino (SA), detto l’ingegnere-poeta - dimostra di muoversi a perfetto agio in un registro fresco e genuino, molto invogliante alla lettura, e di padroneggiare pienamente un ricco repertorio di emozioni e sentimenti che fanno di lui un cantore non comune, la cui gamma di espressioni, accorate e partecipi, arricchisce il nostro animo e ci addita disinvoltamente nuove prospettive da acquisire con riflessione. “Stanotte ho sognato / una stella. / Era così bella / che non riuscivo a guardare. / Solamente ricordo il suo nome: / era il tuo nome, / amore mio.”
Luigi Alviggi Francesco Terrone: IL CAMMINO DELL’AMORE Prefazione di Antonio Filippetti Introduzione di Michele Cucuzza Guida Editori, 2019 – pp. 80 - € 10,00 |
2020-11-07
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