articolo 2340

 

 
 
Autoreferenzialità a gogò
 











Un antico proverbio suggerisce: “pochissimo di sé, poco degli altri, molto delle cose”. I proverbi, come si sa, rappresentano la saggezza anonima di un popolo  che  ha tuttavia sperimentato nel tempo le proprie “sentenze”. In un periodo storico come quello che stiamo vivendo   nel quale il popolo  viene venerato come  sommo sacerdote della sovranità indiscussa, l’antico ammonimento di cui sopra viene stranamente ignorato, o peggio, “capovolto” a getto continuo, senza colpo ferire. Basta dare uno sguardo in giro ovvero leggere i giornali e i libri, guardare la televisione e ascoltare la radio, ma anche andare a teatro o al cinema o fare un salto tra i social e i blog vari per avere una schiacciante riprova di quello che  è al momento lo stato dell’arte.
Intanto si discetta  sempre delle medesime cose: qualunque sia il campo di discussione – politica, cultura, economia, sport, spettacolo e così via
-  gli argomenti sono perennemente gli stessi; se poi  c’è un problema di  più  stringente attualità, nessuno ha la compiacenza di tacere, tutti vogliono far sentire la propria voce, appellandosi  a  un diritto democratico che non tiene quasi mai conto tuttavia  di competenza e conoscenza. Ma ahimè non si tratta solo di questo. Basta sfogliare un giornale o accendere la tv (per non parlare dei social)   ed ecco  che ci ritroviamo catapultati in una  vetrina  di  luoghi comuni, una sinfonia  di bla-bla-bla  triti e ritriti presentati ogni volta come una sorta di vangelo, di verità assoluta ed incontrovertibile; la cosa strana  non sta soltanto nel   veder concedere un incredibile  lasciapassare  a idiozie di ogni genere ma più ancora nel dover constatare  che  chi si espone lo fa col piglio sempre autoreferenziale del “ve lo avevo detto”, “l’avevo previsto”, ecc. ecc.  Il tono dell’enunciazione,  sia  per iscritto che a parole, è asseverativo e non ammette confronto; di qui anche  l’inevitabile  rissa verbale o  la  conseguente requisitoria  offensiva  o volgare. Sembra che  la conoscenza sia  ormai tutta acquisita e per sempre. A farla da padrone è   il culto di sé, una forma endemica di egolatria che non lascia spazio ad alcuna alternativa.  Eppure  il motto secondo cui “dubium sapientiae  initium”  di cartesiana memoria dovrebbe ancora insegnare qualcosa. Ma niente di tutto questo. Chi parla  si veste da oracolo,  rivendica la sua coerenza (?), la capacità divinatoria del proprio pensiero   che lo pone autorevolmente  al di sopra e al difuori  di ogni  contestazione. Così se si parla di politica il nostro vate ha la soluzione per tutti i mali del paese o della città in cui vive, se di discetta di cultura, il libro o il film che ha appena finito  è il   capolavoro a cui le future generazioni dovranno necessariamente ispirarsi, se commentiamo  poi un evento sportivo il solone di turno ha  già capito tutto in anticipo e sa bene  come  andrebbe affrontato e sconfitto  l’ avversario   del momento. Tutto insomma  sembra  risolversi felicemente.  Poi accade di chiudere il giornale o il libro, di spegnere la televisione o disconnettersi al computer  e ci si ritrova in un altro mondo: quello reale, purtroppo, sempre più  incerto, precario e maledettamente “liquido” in cui si rischia   di  essere travolti e affogare.
Antonio Filippetti



2020-02-29