articolo 2198

 

 
 
Mapi
Colori dell’anima
 











L’arte di Mapi vive di dualità, di colori accesi e di evoluzione. Le sue opere sono percorsi emotivi profondi che nascono e crescono nel dualismo complesso e sempre diverso del rapporto dell’artista stessa con il supporto sul quale lavora. La carta. E’ questa ha trasmetterle vibrazioni, sensazioni nel suo stesso modellarsi, nel suo emergere dal fondo, creare percorsi, tornare ad addensarsi. E l’artista non smette mai di modellarla, bagnarla, stirarla, continuando un lavoro di sovrapposizioni di piani evidenti anche nei continui scrostamenti, nella ricerca di ciò che è nascosto in profondità.
L’evoluzione stessa del suo percorso creativo nasce, in un primo momento, dal figurativo per poi ripiegare subito verso un astratto deciso ma dalle tinte più tenui e crescere poi nell’attuale atmosfera dai colori squillanti, decisi, in forte contrasto gli uni con gli altri. Stesso discorso per la grandezza dei suoi lavori. Dopo cinque anni ininterrotti di attività, durante i quali la pittrice ha partecipato ad eventi e concorsi tra cui il Premio Internazionale di Berlino, il Premio Internazionale Arte Milano, l’artista ha sentito crescere l’esigenza di confrontarsi con tele sempre più grandi e raggiungere una consapevolezza sempre maggiore della qualità dei suoi lavori e del superamento emotivo del suo passato. “Inconscio” è l’opera che sancisce nettamente la chiusura dal suo trascorso emotivo e l’apertura al nuovo, ad un capitolo del suo percorso personale ancora tutto da scrivere.
Ed è qui, precisamente da questo punto, che nascono lavori consapevoli e forti, l’inizio del nuovo come il suo “l’albero della mia felicità” nel quale Mapi si concentra solo sulle fronde perché sono libere di muoversi nel vento, come si sente lei stessa senza radici.  Nel primissimo piano dell’albero l’attenzione si ferma su di una piccola altalena, fuori misura, ferma e sola nel tempo, messa lì come un simbolo della fanciullezza terminata ma che ognuno di noi porta ancora con sé. In basso, relegato in un piano quasi fuori dalla tela, la sagoma di un uomo che cammina nell’acqua, quasi il fantasma di una presenza, qualcuno che si allontana probabilmente dal suo presente, una sagoma che la tela ha reso all’artista stessa, una presenza non cercata ma che, nel costante e ininterrottorapporto con il supporto stesso è emersa da solo, una linea di colore, una sgraffiatura, un’emozione terminata.
Gocciolature, tagli di colori, sgraffiature continuano infatti incessanti sulle sue tele e, l’instancabile voglia di sperimentare, la porta a volte a tagliare la tela, smembrarla, dividerla, eliminarne alcune parti, concentrarsi solo su alcune ma cambiandone i rapporti interni con un continuo rimescolare le carte, senza mai essere del tutto soddisfatta: ciò che era sopra passa sotto, ciò che era a lato finisce al centro senza seguire un ordine preciso, se non la sua continua necessità di trovare l’incastro giusto, l’emozione nascosta
dietro al suo colore.
L’artista nasce come arredatrice e la geometria delle forme ritorna spesso nei suoi lavori come un sottofondo di cui lei non né è del tutto consapevole. Così il suo lavoro ricorda a trattiChagall ma punta spesso verso Mirò in alcune fantastiche composizioni geometriche che nascono in accostamenti cromatici dissonanti sfruttando le linee verticali. L’opera dove maggiormente è presente l’idea di verticalità intesa come percorso dal basso verso l’alto è “Burka” nato e premiato vincitore nel 2015 per il Concorso “Storie di donne” dal critico d’Arte Giorgio Palumbo.  Secondo un puzzle di strati e materiali il burka per Mapi assume l’aspetto di un sipario, qualcosa che cela la donna che è dietro ma che la stessa donna, una guerriera africana, non ha caso scelto dall’autrice,non indossa, bensì è posta solo dietro, ma è come se lo stesso velo non le appartenesse. Provocazione intensa per un quadro politico sociale forte che lavora sui colori scuri, a tratti scurissimi, arricchito con elementi di oro inteso come luce forte, spiragli di luce accecante.
E poi ci sono le aperture. Le ritroviamo come un leitmotiv in tutti i lavori di Mapi. Sono piccoli spazi, per lo più squadrati che d’improvviso appaiono sulle tele. “Sono vie di fuga” mi dice l’artista, “piccole scappatoie”, come se a un tratto il colore, le dimensioni, le forme richiedessero un respiro, un respiro della tela stessa da se stessa, una fuga della pittrice, una sorta di ancora di salvezza dai suoi stessi lavori, una dimensione altra per gli osservatori dei suoi quadri che d’improvviso catalizzano la propria attenzione proprio lì, dove la tela si ferma un attimo e fugge da se stessa.
Maria Pia Depollo, in arte Mapi, ha all’attivo numerose personali e altrettante partecipazioni ad esposizioni. Iniziando ad esporre a Parco dei Principi nel 94-95 con lavori in pasta di sale e stoffa, a poi esposto perla fiera Moacasa nel2017, alla Galleria d’Arte San Vidal a Venezia per il Carnevale del 2017 “L’Arte tra maschere e colori del carnevale”, a Spoleto per “Spoleto Art Festival” 2016, per la Rassegna Culturale sul mondo femminile “Storie di donne” a Roma nel 2016, ad Ostia Antica per il pleinAir “Colori di Maggio”, ancora per “Donna, Natura e fiore nell’Arte” in Via di Santa Maria Maggiore a Roma nel 2016.
Ma quello che resta palpabile è la freschezza di un fare arte in divenire. Quando le chiedo il perché e il come dei titoli delle sue opere la risposta e secca e diretta “non scelgo il nome del lavoro prima, è la tela stessa che mi indicherà quale sarà il suo nome, sarà l’evoluzione stessa del lavoro”. Così nasce, tra gli altri, “Fish swimming between the rocks”, perché è dalla tela che è emerso il protagonista del lavoro, un pesce, perché la sua arte è una sfida, la più grande, tra l’artista e il suo supporto, una sfida ad andare avanti, a non accontentarsi, a continuare a sperimentare, mettere in evidenza, ripassare ed evidenziare fino al raggiungimento della
pace interiore, unconfronto con se stessa e quello che può ottenere. E se Mapi nasce e vive in Africa per i primi dieci anni della sua vita, di questo continente le è certamente rimasto dentro la fierezza, la forza, la grinta a non arrendersi mai di fronte a qualsiasi tipo di sfida, ad andare avanti nonostante tutto e a ritrovare infine se stessa, una se stessa che non si aspettava neanche lei di trovare.
Annarita Cardaropoli



2018-02-26