articolo 2176

 

 
 
MARINO MARINI
Passioni visive
 






Pistoia, Palazzo Fabroni
dal 16-9-2017 al 7-1-2018





Riflessioni e scritti di Marino Marini

Cavalli e Cavalieri
C’è tutta la storia dell’umanità e della natura nella figura del cavallo e del cavaliere in ogni epoca. Da bambino io osservavo questi esseri, uomo e cavalo ed erano per me un punto interrogativo. All’inizio vi era armonia fra essi, ma alla fine a contrastare questo tutt’uno, arriva violento in mondo della macchina, un mondo che lo cattura in maniera drammatica, ma non meno viva e vitalizzante.
C’è tutta la storia dell’umanità e della natura nella figura del cavaliere e del cavallo, in ogni epoca. E’ il mio modo di raccontare la storia. E’ il personaggio di cui ho bisogno per dare forma alla passione dell’uomo, una cavalcata.
I Cavalieri rovesciati sono i Miracoli. Ad un certo momento l’idea parte fino a distruggersi. Questa idea infuocata, la poesia di questo cavaliere che ad un certo punto si rompe, vuol andare in cielo, non sta più bene né sulla terra né in cielo, vuol bucare la crosta terrena o vuole addirittura andare nella stratosfera, ma non vuole stare tranquillo sulla terra in mezzo agli uomini che non sono più tranquilli, che sono diventati dei matti. Tenta di scappare: o buca la crosta terrestre o esce fuori nello spazio e finisce per distruggersi, per essere addirittura distrutto da questa idea.
Il cavallo cade e il cavaliere quasi si perde, come nel Miracolo del 1954. Questo è il periodo della tragedia ancora un po’ umana; poi, da ultimo, la tragedia c’è ma non è quasi più umana: il cavaliere è diventato un fossile, un elemento già bruciato, costruttivo. Perché alla fine, essendo bruciati, i cavalieri si cominciano a  ricostruire, si ricreano delle linee, possono anche rovinare sul mondo ma rovinando si ricostruiscono, ritornano costruttivi, perché altrimenti è la morte. Si deve ricominciare a costruire un’architettura vaga. Seguono delle idee lunari, degli spazi lunari: questo guarda il cielo o il sole, gira col sole, cioè si tratta di una forma che riceve. Prima era una forma che si innestava, che dava: è lei che entrava nell’universo, mentre adesso riceve dall’universo. La forma si appiattisce e , invece di forme concave son forme convesse che ricevono la luce.
Pomone
Le mie Pomone vivono di un mondo solare, di una poesia solare, di un’umanità piena, di un’abbondanza, di una grande sensualità. Rappresentano una stagione felice che si rompe col tempo tragico della guerra.
Il colore
Il rapporto fra la mia pittura e la mia scultura è un rapporto legatissimo: non comincerei mai una scultura senza passare attraverso il colore e mi spiego perché : non si può spiegare come nasce un’opera d’arte perché è molto difficile e noi stessi non lo sappiamo, ma ad un certo momento ci viene addosso un’emozione che a certi artisti arriva in forma descrittiva e a certi altri in un mondo di colore. Nel mio caso arriva il colore, per
esempio ho un colore che mi tormenta - mettiamo un rosso, un blu, un giallo - per cui continua questo colore ad arrivarmi nella testa ed io comincio a toccare su un foglio di carta questo colore, ad immaginare su questo colore dei disegni. A un certo momento questi disegni cominciano a prendere forma, la forma e questa forma diventa vera...
I ritratti
Stravinskij, personaggio così vivo, così nervoso, così apprensivo, mi interessava per la sua forza così sensitiva, per cui procurava grandi difficoltà, e mi dava anche grande gioia. Poi c’è stato Chagall, una specie di pazzo innamorato del colore; anche nella sua forma fisica rispecchiava la vivezza della sua espressione di artista; era difficilissimo da realizzare: un altro interessante spazio per la fantasia.
Miller è un personaggio che quando cercavo di riprenderlo, sfuggiva da tutte le parti; non lo si poteva fermare. Dovevo immaginarlo, dovevo serrarlo, dovevo chiuderlo in qualche modo: ho dovuto realizzarlo in dieci minuti.
Vari
Ho cercato nel colore l’inizio di ogni idea che doveva divenire qualcosa
(..) Io sono mediterraneo! La luce, il mare rendono il colore più necessario per noi - diversamente che per i nordeuropei noi abbiamo il colore dentro, già quando si nasce, lo dobbiamo riconoscere.
Anche quando io ero sereno, c’era l’idea che non sarei mai rimasto sempre sereno. C’è l’idea o c’è leggermente  il preannuncio di una tragedia che io vivo, di questa Storia che io devo raccontare, del mio periodo, e che si sviluppa tragicamente.
(…)
La Francia ha avuto la fortuna, invece di arrestarsi come noi ad un certo momento, di continuare la sua civiltà attraverso i Cézanne, gli Utrillo , i Braque, i Picasso, mente noi siamo stati un po’ fermi. La nostra civiltà ad un certo momento si arresta e dà un Ottocento italiano un po’ casalingo, un pochino borghese, episodico, senza una grande luce. Questo dipende dal fatto che la Francia aveva saputo creare Parigi che era il centro dell’Europa, del mondo. Lì, naturalmente, l’artista beve una civiltà: attraverso questa possibilità sviluppa maggiormente le sue idee anche nel campo dell’arte figurativa.
(…)
Io direi che nel periodo svizzero si sente già realmente un artista che comincia  a vivere nel Nord e ad assaporare il clima nordico. Per esempio, uno dei primi miracoli- che è la faccia desolata di quel gesso fatto a Basilea- è proprio fatto sotto l’impressione di un paese che ha delle montagne. Queste specie di Alpi, che diventano come delle canne di organo, danno una musica molto differente da quella che io potevo avere in Italia. Anche se stavo a Milano non avevo percepito ancora esattamente quello che poteva essere un mistero nordico. E questo mistero si sviluppa proprio nella parte più nordica della Svizzera: allora esce fuori una specie di accostamento, qualcosa d’intimità assolutamente nordica al cento per cento. E lì nasce il periodo del primo Miracolo, che è quella
testina tragica col piccolo busto. Poi nascono gli arcangeli:  Arcangelo, Arcangela … tutto quel periodo un pochino triste, ma ancora leggermente realista, che poi, alla fine della guerra, si stacca da questo realismo e diventa tragico in un realismo differente. Un realismo più lontano. Non un realismo di un cerchio più vicino, un realismo di un cerchio più lontano, più vasto. Una musica più vasta.
Tutta questa preparazione pittorica viene sempre prima del fatto della scultura. Cioè, è un po’ un’eliminazione: c’è l’idea, anzi tante idee sull’idea, e le elimini dipingendo, perché dipingendo crei una composizione. Vai a cercare gli elementi che ti serviranno; poi via via elimini, elimini: ne fai due, tre, quattro, fino ad arrivare all’essenza. Poi, quando sei arrivato all’idea sicura, passi alla scultura, ma prima di arrivare alla scultura ci sono una serie di cose che possono essere interessanti come composizione e come colore. Siccome io dipingo con i “pentoli” e non combino il colore sulla tavolozza, tingo e dipingo, dipingo e tingo. Creo un colore vicino ad un altro e poi ci disegno sopra, ci ritorno sopra fino a che non si creano delle incrostazioni le une sulle altre, che poi danno la materia da sé. È un po’ come quando descrivo in che modo lavoro il bronzo. A forza di romperlo, a forza di scalfirlo diventa una patina misteriosa, più bella e più naturale. È lo stesso procedimento che poi torna sul bronzo.(…)
In fondo bisogna sempre pensare che un artista che viaggia per i continenti riceve delle emozioni; per esempio, entrando a New York, entrando in questa città così ultramoderna e così raffinata- questa superstruttura di stile, di realismo stilistico che potrebbero essere le donne così raffinate, così fatte dalla città- mi ha dato la sensazione di un’umanità che vive proprio come nei barattoli, cioè non ha nessun rapporto con la campagna. Perché  New York è talmente grande che, prima di arrivare a sentire l’odore di una foglia, devi sorpassare il cemento armato, e quindi ti formi attraverso queste sagome di architettura(…) Lì ti dà il senso di uno stile sullo stile, di una raffinatezza che acquista anche un certo senso primitivo, una certa bellezza, magari fredda, ma piena di idee moderne. Mi ha fatto pensare alla musica di Stravinskij, a Mondrian, ad un mondo tutto differente dal nostro, immediato ma diabolico, senza la tradizione paterna dell’Europa , il romanticismo dell’Europa  che ti fa camminare piano e con tanti dubbi, che è quasi un peso. (…)
…quasi tutte le materie mi piacciono perché in fondo basta capire la materia per trovare il modo di lavorarla. Ma quella che mi piace meno è forse il marmo, perché è freddo e mi addiaccia. Tutte le altre materie, ad esempio la terracotta, il legno, il bronzo, la pietra, a me interessano molto. Il legno è magnifico perché puoi lavorarlo per secoli, riprenderlo: ci dipingi sopra, lo rilavori, tagli un pezzo, ne aggiungi un altro. È meraviglioso perché si presta alla
lavorazione. La pietra si presta meno, però nella pietra c’è la gioia di scoprire, cioè levando aggiungi. Anche il gesso è meraviglioso perché col gesso puoi arrivare ad alcune finezze. Il gesso lavorato può essere una cosa qualche volta meravigliosa…
(…). C’è poi la lavorazione del bronzo che è meravigliosa, una tradizione prettamente dell’Italia centrale, toscana. Si diceva che Donatello mangiava il bronzo, addirittura. C’è proprio la gioia di rompere questa specie di superficie così dura e così tenuta, di cesellare e dare vita a delle forme che effettivamente, quando escono dalla fusione , possono essere morte; invece, riprendendole, le ravvivi, diventano un pezzo di bronzo che vive. Generalmente quando escono dalla fusione sembrano sempre delle cose ingolfate, mi sembra ci sia qualcosa che non mi appartiene più; allora lo riagguanti, lo rompi, prendi un martello, lo spezzi, lo tormenti e diventa vivo, e più che lo tocchi più è vivo.
L’opera tua la puoi segnare nel cervello e la segui nell’amore, la costruisci, l’arricchisci, ma , nel modo e nel momento giusto di cominciare a produrla in grafica, rischi di perdere tutta questa grande gioia di poesia; allora devi realizzarla subito, affinchè diventi intensa, viva e non perda niente; questa è l’idea (…)per arrivare direttamente da tutte le piccole cose alla cosa infinita e superiore, dal momento che tu percepisci questa idea, devi essere velocissimo a buttarla fuori perché il tempo che perdi l’avvilisce sempre di più, la rende sempre meno viva, in quanto più riflessiva, e più diventa riflessiva e più si raffredda: è come la superficie di una grande scultura, tu la puoi distruggere ; l’armonia, è quasi come l’obiettivo fotografico.
Solo in un certo senso quando sei stato in studio e hai creato e anche distrutto nel creare, cioè te n’è venuta quasi la nausea, lasci lì, rientri dopo tre mesi, e già l’hai ricostruito dentro in un’altra maniera, cioè gli hai dato un altro calore, e questo altro calore ti riporta ad un’altra grande cosa per cui ricostruisci su quello che c’era prima altre cose, con altre visioni, con altre idee, con altre sensibilità, certo come la natura. Noi siamo molto più vicini alla natura, agli animali e all’idea di essere degli uomini col cervello, perché in fondo siamo degli animali che ad un certo momento hanno bisogno di parlare di ragionare, ma non bisogna esagerare in questo, perché se tu li uccidi allora diventi peggio dell’animale, bisogna saperlo sfruttare questo ragionamento, altrimenti diventa più animale dell’animale stesso, difatti la tendenza è evidente
(…) l’artista deve agire in piena forza, in pieno cervello cioè anche in piena attività fisica e in pieno lirismo; questo lirismo non viene tutti i giorni, ci sono dei periodi in cui non arriva; se venisse tutti i giorni si annullerebbe; viene ogni tanto, ti si accumula interiormente, tutta l’umanità che ti è vicina ti nutre di tante cose che poi si risolvono in una sola, tu sei gravido, arriva il
giorno che espelli.
Il mondo è grande ma è l’artista che dà il senso della storia in ogni periodo, non è un impiegato, è un personaggio strano , cioè una pila ricevente più forte degli altri e che riceve e che dà per forza innata. Allora non puoi dire: è un uomo comune, questo non è vero.
L’artista è un po’ come il camaleonte, a un cero punto cambiando zona, cambiando parte d’Europa, si immedesima e avverte una certa poesia che non è di propria parte ma che sta là, cioè intuisce un’arte nordica che prima magari non sentiva, perché stando qui in Italia subiva un influsso mediterraneo; passando al nord si percepisce tutta un’altra espressione, tutto un altro vivere, e lì lo capisce come Artista cioè un’intelligenza aperta: percepisce tuta la storia della generazione nordica e su che cosa si basa, cioè su un frutto del cervello che scende verso il cuore, con la differenza che , da noi mediterranei, dal cuore passa al cervello. Laggiù diventa un nordico, forse uno dei nordici più spietati. Certo, soprattutto perché quando ho visto i cavalieri del nord di conseguenza ho pensato ai miei; quando ero qui non ci pensavo perché facevano troppo parte di me stesso, cioè della mia propria carne e della mia propria passione: non li vedevo più.
(…)di conseguenza, per il fatto mio, per esempio, agisce molto essere lontano dal paese e ritornare al proprio paese; allora, vedo la verità delle cose molto più prepotentemente di quando io ci sto. Quindi questo bisogno di uscire continuo è proprio per capire meglio quello che c’è da capire, di più che non stando a contatto.
(…)Quando io ho visto per esempio il cavaliere a Bamberg , quella specie di cavaliere si potrebbe dire molto fiabesco, molto immaginativo nel senso dello stile dell’Architettura, mi ha fatto pensare ai cavalieri miei, molto più virili e molto sensuali; è lì che ho riflettuto e ho ricreato nel mio cervello l’idea del Cavaliere. Tornando dalla Germania ho iniziato quella specie di musica nuova
…per capirlo e per realizzare tutto quello che c’è stato in arte, bisogna andare da un’altra parte, capire il perché degli altri per capire il perché tuo. Così la tua fisionomia viene fuori. Sono i contrasti; non puoi dipingere senza contrasti: allora vedi il rosso, il giallo e il verde ma se c’è un colore solo non vedi più niente, no? Accanto a un rosso vedi un giallo e un giallo valorizza il rosso, il rosso valorizza il giallo e non potrebbero definirlo rosso, impossibile, è come nella società, c’è troppa gente, a volte, che la pensa a suo modo; va tutto bene perché nel tutto c’è l’equilibri; perché c’è l’operaio, l’artefice, c’è l’Artista, c’è il nobile, c’è il palazzetto, tutti vanno bene nell’insieme di tutto perché tutti danno calore l’uno all’altro e tutto diventa un teatro perfetto, meraviglioso. Ci vogliono tutti. Certo, tutto arricchisce questa umanità che è fatta di gente semplice, di gente raffinata, di gente anche un po’ malata, intelligente di gente anche un po’ degenerata nel
cervello…
IL SOGNO
“ feci una volta un sogno, di questa calotta che , da grande sfera diventa sempre più piccola: vedevo le lenzuola che si muovevano e io ero lì dentro; ogni tanto guardavo e tutto a un tratto esco fuori e una specie di respiro, di vuoto mi porta su, su e più che mi allontanavo e più vedevo questa enorme calotta che diventava sempre più piccola e scompariva e sentivo una musica di grande apertura, vedevo una terra molto viva, molto pulita; l’idea di questo pampano verde freddo con quest’uva viola, come quando è carica e sopra c’è la rugiada. Vedevo dei colori meravigliosi, e grandi campi di grano ondeggianti al vento.
Tutto questo colore e tutto nell’armonia di questa grande musica. Mi sono sempre più allontanato e finalmente dico “ Che fortuna, io non credevo che la morte fosse così bella”. È stato un sogno che io mi sono sempre ricordato particolarmente per tutta la vita. I colori, la grande sinfonia una musica che non aveva limiti, tale era quella e poi questa idea “ah, che fortuna…!!”
Noi facciamo parte di qualche cosa che esiste, che non sappiamo, che non possiamo individuare, per cui questo che noi viviamo qui, è solo un teatro, è solo una commedia che dura trenta, cinquanta, settanta, novanta anni. Morta la commedia tutto finisce.
Alla Germinaia venne un giorno un grande psicanalista americano strano, ho dimenticato il suo nome: una persona molto conosciuta che godeva di grande fama. Marino gli raccontò un suo famoso sogno. Lo raccontava spesso e diceva che lo ricordava in tutti i dettagli e anche ricordava i colori. Questo si è impressionato d’un simile racconto, lo ha interessato estremamente e ripeteva “me lo racconti ancora, me lo racconti ancora”. Poi volle ritornare a trovare Marino per discutere su questo sogno. Ma lui provava disagio e imbarazzo e aveva quasi paura si questo genere di persone.(nota di Marina Marini)
Non c’è differenza, per me, fra scultura astratta e figurativa, sempreché si tratti di scultura. Importa soprattutto la qualità di un’opera d’arte. Sono un uomo dell’area mediterranea: posso esprimermi liberamente soltanto con la figura. Però riconosco e ammiro ogni altra forma espressiva nella misura in cui abbia qualcosa da esprimere. Un fiammifero può essere più stimolante di una colonna dorica, ma sarebbe assurdo ammettere in partenza che una scatola di fiammiferi ha la stessa importanza del Partenone.
L’artista attinge alla natura, la trasforma spiritualmente e la restituisce nella forma da lui percepita. Questa è Arte.
La Toscana per me è un punto di partenza, cioè qualcosa che è in me, fa parte della mia natura e perciò, senza accorgermene, manifesto nel mondo qualcosa che a questa regione appartiene; perché sono di questa terra.
Il mio amore della realtà lo devo forse agli Etruschi: una realtà che appare in forme che hanno lo spessore dell’elementare e sulle cui superfici gioca la luce. La semplificazione può, visibilmente, scostarsi dalla natura-
ma ad essa riconduce perché tende all’essenziale.
In Italia il passato artistico impregna tutta la nostra esistenza. Perché si vive in mezzo alle sue testimonianze. La scoperta dell’arte Etrusca, cinquant’anni fa, è stata un grande avvenimento. Perciò la mia arte si appoggia piuttosto a temi derivati dal passato, per esempio il rapporto fra uomo e cavallo, che a un soggetto moderno come il rapporto fra uomo e macchina.
L’inquietudine dei mie cavalli cresce con una nuova opera: i cavalieri sempre più deboli hanno perduto il dominio sull’animale , e le catastrofi che vivono sono paragonabili a quelle che hanno distrutto Sodoma e Pompei. Vogliono toccare il cielo e non appartengono né al cielo né alla terra, vogliono penetrare la crosta terrestre e nello stesso tempo volare nella stratosfera: in nessun caso vogliono rimanere fra gli uomini poiché hanno perso la tranquillità e sono impazziti. Vogliono fuggire forando la superficie terrestre o volando nello spazio.
Ho sempre sentito il bisogno della suggestione sensoriale del colore, per dare inizio ad una forma: è il colore che mi dà la spinta e il sentimento per fare qualcosa di creativo. Così comincio con il colore e dopo il colore vedo una linea e vedo una forma.
Pittura e scultura non sono bipolari. Si rispondono, si fondono nel concetto del valore dell’esistenza.
La vita è fonte di vitalità infinita e gioiosa. Se la limiti perdi la vivacità.
Un artista che viaggia un poco i continenti riceve delle emozioni. Ma questi luoghi che mi sono familiari ogni volta, in modo differente, me ne comunicano altre non meno stimolanti. 
Gli artisti e i bambini non appartengono a culture differenti.
In quello spazio meraviglioso creato da Dio, l’uomo sceglie delle piccole strade. Poi tutta l’umanità che gli è vicina lo nutre di tante cose.
La pittura per me è un fatto di colore che mi allontana sempre più dalla forma reale. L’emozione del colore, cioè l’apposizione di un colore su un altro o il rapporto di un colore con un altro mi sollecitano la fantasia più che la realizzazione della forma umana col mezzo del solo colore pittorico.
Forse non si può parlare di ritrattistica per i cavalli; si può immaginare una  ricerca della forma perfetta e intelligente. Mi ha dato tanti suggerimenti anche in rapporto alla figura umana.
Il miracolo non è definito con una forma o una linea – tutto rimane in una immaginazione più lirica, più poetica. Quando si parla di Miracolo è per me non definire una forma- o una linea- tutto deve stare nell’infinità delle cose.
Concepire una forma per me è accorgersi del colore- visione di colore- animosità della vita- animosità della forma. Ho cercato nel colore l’inizio di ogni idea che doveva divenire qualcosa. Dipingere è mettersi nella poesia del fatto, e il fatto nel fare diventa vero.    
Venne il sole e rischiarò la terra. Gli uomini vivono l’ora del loro destino.
La mia visione artistica è nella realtà- una
realtà immaginata.
Non combatto l’astratto- espressione di un’arte cerebrale. Questa liberissima architettura- ai suoi inizi mi trova difensore accanito- solo se diventa conseguenza accademica, la respingo.
Non esiste opera d’arte se non si completa attraverso queste due espressioni.
Se questi elementi si fondono daranno la vita- il che è arte.
Nelle origini della pittura e della scultura ci sono tendenze intellettualistiche che devono fondersi e amalgamarsi per avere la vera espressione dell’arte.
Per mio conto quando si parla di Arte al superlativo, questa comprende tutta quella natura che intensifica le varie idee le quali sono composte di forme vive, di cuore e di altre fonti vive dell’intelletto.
L’elemento cavaliere è per me una cosa viva, serve ad immaginare e a raccontare. La poesia la trova quando si inserisce nella vita umana.
I progetti non si descrivono- il descriverli e raccontarli vuol dire perderli- non resta che aspettare.
L’elemento cavallo e cavaliere è un pretesto per raccontare e immaginare le emotività nell’arte- l’elemento cavaliere subisce e si trasforma attraverso questa immagine poetica.
Cavaliere.
Una forma nello spazio.
La realtà viva e realistica del cavallo e cavaliere- tema principale da me trattato- qui si scompone e diventa una irrealtà costruttiva.
La chiamo costruttiva perché il senso dell’opera si avvicina all’architettura e la realtà cede il passo alla struttura cubica della forma.
L’espressionismo a un certo momento è un desiderio di una conquista più precisa, soprattutto nell’espressione delle cose, è il riassumersi di varie emozioni e di un’entità di forma e di colore.
L’ultimo periodo che riguarda la scultura è costruttivo- per costruttivo si intende un indirizzo verso l’architettura- ,è il volere di un’idea più lontana dalla forma umana ma tanto più vicina alla linea costruttiva e statica.
Esiste una parte in me molto viva, nel campo della grafica, l’osservazione è precisa nella linea e il gusto del graffito è quasi nordico. La grafica è cominciata prestissimo, ed è sempre in essere.
La pittura nasce in me come un bisogno spontaneo e vivo di ricerca di colore. Non esiste un risultato scolpito, se non passa attraverso questo stato d’animo.
I soggetti pittorici ricordano e sono molte volte l’inizio al procedere nella scultura.
La personalità si acquista inconsapevolmente nella continua esperienza delle emozioni poetiche vissute nel nostro io.
Ammiro tutta la scultura e la pittura dei primitivi, per i moderni cerco spazio di riflessione.
Gli sviluppi in arte li nascondo anche a me stesso.
Non si può rivelare un mistero che si avvicina a noi stessi.
Apri la strada ai giovani, dagli una lunga via, dagli un sole che gli offende gli occhi, la chiusura degli occhi gli darà immaginazione.
IL COLORE E IL DIPINGERE
(…) il polo positivo per me è il colore. Un giallo, un verde, un rosso. Una mattina, che magari sono quieto,
senza impulsi a creare qualcosa, basta un colore che mi entri dentro a stimolarmi. È il famoso cicchetto. Allora mi metto in moto, allora la fantasia si apre attraverso questi colori. Un colore insiste, un colore diventa tuo e in questo colore scopri una certa immagine. Lì comincia quello che si può definire il sentimento dell’arte, o la sensibilità per l’arte, che non sai dire donde nasca né dove finisca.
Tac! È come una lampadina elettrica che s’accende. 
(Conversazione con Marino Marini, marzo 1972,in M. De Micheli, Marino Marini: i colori, la forma, le immagini in Marino pittore , a cura di M. De Micheli, C.Pirovano, Milano 1987) 
Ho sempre sentito il bisogno di dipingere e non inizio mai una scultura senza prima aver indagato il suo significato pittorico (…) Il dipingere è connaturato in me come un’esigenza incontenibile e originaria a cercare il colore. Non esiste opera plastica che non sia passata prima attraverso questa esperienza(…)
Per me concepire una forma è accorgersi del colore, visone del colore animosità della vita, animosità della forma. Ho cercato nel colore l’inizio di ogni idea che doveva divenire qualcosa. Dipingere è mettersi nella poesia del fatto e il fatto nel fare diventa vero.
(Omaggio a Marino Marini, Milano 1974)
Io dipingo coi pentoli e non combino i colori sulla tavolozza; tingo e dipingo, dipingo e tingo. Creo un colore vicino ad una altro, ci dipingo sopra e poi ci ritorno ancora sopra col colore, fino a che mi viene una specie di mosaico, di incrostazioni e di sovrapposizioni che danno poi da sé la materia.
(Centro di documentazione dell’opera di Marino Marini, a cura di G. e G. Guastalla, Livorno 1979)
IL CAVALLO E IL CAVALIERE
Il cavaliere di Bamberg, quella specie di cavaliere, si potrebbe dire molto fiabesco, molto immaginativo nel senso dello stile dell’architettura, mi ha fatto pensare ai cavalieri miei, molto virili e sensuali. È lì che ho riflettuto e ho ricreato nel mio cervello “l’idea del Cavaliere”. Tornando dalla Germania ho iniziato quella specie di musica nuova. Ho sempre sentito di dovermi spostare a nord, il nord è il punto positivo per me, in quanto essendo impregnato di valori nostri italici, ho bisogno di un contrasto, che è il nord.
( M. Marini, Con Marino, Milano 1991)
Capii che il cavallo era la figura che da tempo cercavo per esprimere il dramma della vita, che è per l’uomo, un animale imbizzarrito che sempre tenta di disarcionarlo, di calpestarlo.
(…)Viaggiando per l’Italia, a Roma, a Venezia, a Padova, non mi ero mai impressionato ala vista di monumenti equestri, ma Bamberg, in Germania, mi fece una grande impressione, forse perché nasce in un mondo di fiaba, lontano da noi, in un angolo sperduto. 
(E. Fabiani, Per lui la vita è un cavallo bizzarro, intervista a Marino Marini, in “Gente” , Milano 23 febbraio 1962)
Rimane la tragedia che io continuo a raccontare. Dopo la faccia imbambolata a cavallo, succedono
dellefaccende scomposte e la faccia dell’uomo diventa un piatto. Il Cavallo diventa una cosa informale, un elemento distrutto, quasi un fossile, perché qualcosa è arrivato sulla terra e ha distrutto anche le cose estreme.
(P. F. Listri, Pascoleranno in Boboli i cavalli di Marino, in “Fiera Letteraria”, 30marzo 1979)
C’è tutta la storia dell’umanità e della natura nella figura del cavaliere e del cavallo, in ogni epoca.
(Centro di documentazione dell’opera di Marino Marini, a cura di G. e G. Guastalla, Livorno 1979)
L’ARTE ASTRATTA
Non esiste opera d’arte che non includa un’idea e un’espressione astratta. Si pensi a quello che ha fatto
Cézanne in un tempo in cui della realtà si cercava la pelle cangiante. Egli pose un’idea di struttura mentale,
da cui nacquero Picasso e il cubismo. L’arte astratta ha forse un grave limite: manca cioè del sentimento del reale. Però se fosse mancata nel nostro tempo sarebbe mancato un grande incentivo a rinnovare le immagini del mondo reale. Tutto sta allora, a non credere nella moda, a non lasciarsi imbrigliare dalla formula.
(M. Valsecchi, A Firenze toccai la barba a Rodin, in “Il Giorno”, Milano 8settembre 1959)
Non posso definirmi veramente astratto, a seconda di cosa si può pensare per astratto. Non sono mai stato
astratto al cento per cento; se c’è qualche libertà nella figura, o nella forma, è una libertà che proviene
sempre dalle cose umane.
(Marino Marini <<gli anni del Ticino>>sculture, disegni, Lugano 1981)
La semplificazione si allontana dalla natura soltanto in apparenza: in realtà vi riconduce, poiché ne trae l’essenziale.(…)
La realtà è la forma che sostiene la carne come uno scheletro. Essa si separa dal caso. È forse la via dell’astrazione?
Omaggio a Marino Marini, Milano 1974)
PENSIERI SULL’ ARTE
I miei maestri sono la natura, cioè la verità : tutto quello che è apparizione sulla terra, tutto quello che è creato, quelli sono i miei maestri.
L’arte nasce così, improvvisamente; e contrariamente a tutto quello che noi abbiamo pensato e a quello che abbiamo fabbricato nella fantasia, nasce  qualche volta l’opposto di questo.
Milano l’ho considerata sempre la città più europea dell’Italia, dove c’è una corrispondenza al lavoro, dove c’è un rapporto alla personalità di ogni elemento, dove c’è un dovere verso le cose che valgono qualcosa.
Non esiste un programma in me, se avessi un programma mi stancherei: lavoro e cammino fra gli essere umani. Quando sono gravido di questo vado nello studio e lavoro, sveltissimo, poi ho sosta e riprendo, ho sosta e riprendo, è un continuo arrestarsi e ricominciare, è come un amore: l’amore non viene tutti i giorni ma ogni tanto viene e questo fa lavorare.
Non potrei dire che io mi sia messo in mente di diventare scultore: fino da giovane avevo interesse ad osservare la natura, le cose mi apparivano moltiplicate, un senso del colore e un senso della
forma. Ho cominciato col colore effettivamente, il colore mi ha dato una vivacità, mi ha dato una curiosità, mi ha dato un senso fantasioso delle cose; dopo questo colore ho avuto bisogno della forma.
I primi lavoro sono in terracotta, che è abbastanza una materia calda e ha un certo calore. Certe sculture, per esempio di terracotta, aggiunto un colore sopra, diventavano delle cose estremamente vive. Poi ho fatto molto legno: anche il legno è una materia bellissima, che si arricchisce sempre col tempo; poi bronzo, poi pietra.
Il contatto degli scalpellini o dei tagliapietra , o dei lavoratori della pietra, mi dà il contatto diretto della gioia di conquistare una certa materia e una certa forma. Seguo il lavoro dello scalpellino, perché anche quello è importante come preparazione, e cerco di non distruggerlo, cioè cerco di conservarlo in quanto, su questo che ha fatto lui, completo l’opera.
Io sono un mediterraneo, sono nato nel centro dell’Italia e quindi ho assorbito questa natura così calda, così sensitiva e così sensuale.
La figura femminile sta nella nostra natura, è come uno che cerca il sole, è la stessa cosa.
Il rapporto fra la mia pittura e la mia scultura è un rapporto legatissimo: non comincerei mai una scultura senza passare attraverso il colore, e mi spiego perché. Non si può spiegare come nasce un’opera d’arte, perché è molto difficile e noi stessi non lo sappiamo, ma ad un certo momento ci viene addosso un’emozione, che a certi artisti arriva in forma descrittiva e a certi altri in un mondo di colore. Nel caso mio arriva il colore e, per esempio, ho un colore che mi tormenta- mettiamo un rosso, un bleu, un giallo- per cui continua questo rosso, questo bleu ad arrivarmi nella testa e io comincio a toccare su un foglio di carta questo colore, ad immaginare su questo colore dei disegni. A un certo momento questi disegni cominciano a prendere forma, la forma, e questa forma diventa vera.
Ho sempre visto tutta la scultura- la più grande scultura, la più viva, la più reale, la più immensa- che era tutta dipinta: gli Egizi, gli Etruschi, i Greci, i Romani, gli arcaici … c’era sempre del colore sopra. Perché non dovrei farlo io?
Io vivo molto volentieri nel mondo, anzi, il mondo fa parte di me, non potrei vivere isolato, ho bisogno di sentire l’umanità vicino a me, di capire quello che pensa e di sentire il suo modo di vivere. Questa è ricchezza per la mia arte, io devo nutrirmi di questo, quando sono ben nutrito posso lavorare.
Pistoia è la città dove sono nato, naturalmente e umanamente tutti siamo attaccati alla nostra particella da dove siamo nati. Pistoia è in me, anzi, insegna anche qualcosa, un certo ordine gotico, una certa struttura, una certa costruzione medievale. Ci sono delle bellissime cose a Pistoia, di primissimo ordine, cominciando dal Pisano. Certamente l’artista italiano nasce con questa grande tradizione sulle spalle, ed è una grande fatica perché è difficile misconoscerla.
Il disegno è la
parte più intima dell’artista, è la parte più immaginativa, e quindi è la parte più vera.
Forte dei Marmi è una plaga felice dove c’è una natura meravigliosa, dove le montagne si sposano col mare e il mare si sposa con i boschi. Ci sono delle grandi estensioni di marmi su tutte le montagne, che hanno dei marmi preziosi e perciò ogni artista può sbizzarrirsi e avere la possibilità di avere dei blocchi a portata di mano.
In fondo l’amore per il cavallo è una ricerca in me di una certa architettura che mi ha interessato. La forma del cavallo è l’opposto di quella dell’uomo: è una forma orizzontale, la forma dell’uomo è verticale. Queste due idee architettoniche mi hanno suggerito di indagare e di continuare a lavorare su questa idea. Tuttavia questa idea cambia, perché in un certo momento nasce serena e tranquilla ma attraverso gli anni diventa estremamente inquieta ed espressionista. Anticamente si pensava sempre che l’uomo a cavallo era il personaggio che poteva discutere, dire e dare degli ordini; invece oggi non è più così, esiste un’idea più tragica della cosa, esiste un’idea di distruzione della cosa, tant’è vero che i miei ultimi elementi dell’uomo a cavallo si riducono a delle forme liberissime. Si perde il senso architettonico della cosa: il cavallo e il cavaliere creano una croce precisa e matematica, ma tutto ad un tratto questa croce si distrugge, si sfà, per dar vita a una struttura, a una costruzione più irregolare, più libera.
La ricerca è continua, ho sempre dei momenti che ricerco e provo e faccio dei disegni, ma non vado mai a lavorare se non ho esattamente chiara l’idea di quello che devo fare. Odio di cominciare un’opera se non l’ho ben digerita dentro di me, cioè se non è già nata dentro di me, assoluta. Prima ci sono i preparativi nei disegni o nelle parti di colore: quando ho ben capito e ho ben digerito la cosa, allora passo alla scultura; di conseguenza, quando comincio, la scultura è assoluta. Non è più tentennante, non ci sono più ricerche, è quella forma che io ho visto, che ho sentito, che trasmetto.
Un vero artista non è mai soddisfatto dell’opera che crede di aver finito , perché c’è sempre un’inquietudine su quest’opera, che crede di aver finito ma che non vuole neanche finire perché rischia di diventare un oggetto, un soprammobile; quindi bisogna tenere aperta la porta, aperta la finestra per avere la possibilità di continuare.
Ogni artista ha il mestiere in sé, nessuno glielo insegna: si nasce con questo mestiere, si intuisce il modo di poter lavorare.
La nostra epoca è il mondo tragico di oggi, è la passione di oggi, è il colore, è la fantasia, il corpo che si trasforma, questo giocoliere che prende le forme, le più impensate; qualche volta è pieno di forma, qualche volta è pieno di disegno: questo senso ricchissimo, fantasioso, tocca il cervello degli uomini di oggi, e lo ha sempre toccato, da Picasso a tutti gli altri.
Si pensa sempre di fare un’opera d’arte, se poi sia vera opera d’arte
ci sarà qualcun altro che lo dirà, il tempo lo dirà, il tempo lo potrà ben definire. Noi qualche volta ci siamo troppo dentro per poter dire: <<questa è un’opera>>; non si può dire e non vorrei dirlo, perché non si dicono mai le cose che si devono fare: si spiegano quelle già fatte ma su quelle che si devono fare rimane il mistero.



2017-08-30