articolo 2173

 

 
 
JAN FABRE
GLASS AND BONE SCULPTURES 1977-2017
 






Venezia, Abbazia di San Gregorio
dal 13-05-2017 al 26-11-2017




JAN FABRE

Le ossessionicreative diJanFabre
JanFabre ha delle ossessioni. Per quanto palesi, non sono tuttavia lampanti comela passione per lo studio di teorie, metodi, mezzi e pratiche che culmina nella totaleidentificazione di lavoro e vita nonché nell’approccio interdisciplinare e nell’esperienzadel gesto artistico. Tali “ossessioni” non sono solo quelle fondate su profondeconvinzioni e solidi rimandi: ce ne sono infatti anche di non altrettanto radicate epersistenti, eppure legate all’ammirazione per monumenti e artisti del passato e alritorno in certi luoghi.
Se la sua Anversa resta sempre base e rifugio, nonché il riferimento essenziale della suaarte, altre città come Atene e Venezia ricorrono fra le nuove mete dell’artistaAtene rappresenta per lui il locus da cui trarre costanti e frequenti rimandi allafilosofia e alla mitologia dell’antica Grecia: il processo di ibridazione (creature mitiche,centauri, sfingi e così via) e di trasmutazione (umani in nuvole, pioggia e piante), laposizione intermedia degli dei, l’esistenza dei semidei. Tutte queste trasformazioni,insieme all’essenza della tragedia greca, lo hanno indotto a promuovere quali temi efondamenti principali della sua intera opera l’elevazione dell’essere umano tramitela deificazione o la mortificazione del divino tramite l’identificazione con l’umano eil “bilanciamento” di condotte e passioni positive e negative come ira-serena felicità,impulso sessuale-amore, edificazione attraverso il dolore, vita-morte, bellezza deldeterioramento.Nel caso di Venezia, la città diventa un vasto spazio espositivo che ospita lamostra di quest’anno dal titolo “Glass and Bone Sculptures, 1977–2017”. Oltre allapartecipazione al Padiglione nazionale del Belgio nel 1984 e, in seguito, a diversemostre collettive, JanFabre continua a tornarci fin dal 2005, in occasione dellaBiennale, con importanti mostre personali o installazioni. All’osservatore sensibilenon sfugge come la sede sia parte integrante del lavoro. I siti emblematici da lui scelti– che si tratti di palazzi, ex edifici ecclesiastici (scuole, chiostri, chiese) o struttureindustriali (Spazio Thetis) – confermano infatti l’intenzione di ambientare il lavoroin luoghi attivi, un tempo o ancora, che sono stati testimoni del fiorire dell’intellettoumano e della produzione artistica o che sono stati segnati dall’esercizio di varieforme di autorità e dalla limitazione delle passioni umane. Collocandole in talicontesti, Fabre fa sì che le sue opere vengano lette attraverso il rapporto dialetticofra passato e presente, al tempo stesso riattivando il sito e conferendogli nuovosignificato. Lo spazio, già latore di espressione culturale e vestigio storico di un’altraera, accoglie così le opere che, più o meno apertamente, propongono la loro lettura ditemi intramontabili dotandoli di nuovo senso proprio grazie allo spazio. Tale praticaspiega l’ossessione – o, se si vuole, la strategia – per
installazioni-happening visivi neimusei (come il Museo Reale delle Belle Arti di Anversa, il Museo Reale delle BelleArti del Belgio di Bruxelles, il Louvre e l’Ermitage, per citarne alcuni). Questi luoghistraordinari, che si tratti di interni o esterni, permettono a JanFabre di attraversarenon solo spazio, tempo e storia locale, conversando con loro, ma anche diversi mondi,ere, ceti sociali, teorie e idee politiche a seconda del ruolo formativo, religioso, politicoo misto per cui ogni edificio era stato costruito.
La Mostra e la Città
Con la mostra “Glass and Bone Sculptures 1977-2017”, JanFabre amplia lostudio dei dualismi che adopera nel suo lavoro, vita-morte, bello-brutto, sublimevile,interno-esterno, fragile-resistente, trasparente-solido, come anche dello spaziocircostante, lo spazio reale, evidenziando il principale dualismo di questa città unica:terra e acqua.
Venezia è inoltre l’esempio della capacità dell’uomo di manifestare il suo destino,ma anche di plasmare il futuro realizzando l’impossibile: ciò a cui ci si può accostaresolo con poteri soprannaturali. La sua esistenza poggia infatti sulla solidificazionedell’elemento liquido. Tale conquista divenne permanente, spiccando quale esempiodi trasformazione nella sua forma più estrema e imponente. È il segno della volontàumana sulla natura, la lotta dell’effimero contro il permanente. Una testimonianza“monumentale” dell’uomo e, al tempo stesso, un’ecatombe: per costruire la città,infatti, persero la vita in tanti. Venezia è il trionfo della mente e della forza di volontàumane, non senza esibizione di potere ed esercizio dell’autorità sui più deboli – operai,schiavi, detenuti – che guidarono tale gloriosa vittoria. È l’ennesima, strana versionedel rapporto sempre incostante fra “natura madre-natura morta”.
Non è certo la prima volta che JanFabre lavora con il vetro e le ossa né la primain cui le sue opere rappresentano un memento mori. Fra gli esempi più emblematici dilavori realizzati solo con questi due materiali, quelli della mostra “From the Cellar tothe Attic – From the Feet to the Brain” esposta alla Kunsthaus Bregenz.
All’Abbazia di San Gregorio il pubblico non segue un percorso prestabilito ed èchiamato a decifrare oggetti inaspettati, a rintracciare i legami fra loro e con le saleche li ospitano e a elaborarne allusioni e proiezioni nel tempo presente.L’idea di una siffatta presentazione – una mostra d’arte contemporanea nelle sale diun edificio storico – viene letta come eterotopia, una rappresentazione marginale cheinnesca la dimensione allegorica ed espande concettualmente la dinamica dell’assunto.Le eterotopie, “specie di utopie effettivamente realizzate” secondo Michel Foucault,aiutano l’osservatore a liberarsi del luogo specifico e a considerare la mostra come unqualcosa di diffuso e dinamico. Le immagini, ambigue, anticonformiste e autorevoli,si susseguono, conversano tra loro, suscitano forti impressioni, s’impongono e creanotrappole visive: interpellano e
sono interpellate, affermano cose che vanno al di làdell’evidenza, sollevano dubbi che restano insoluti perseguendo il compimento tramitela partecipazione. Vanno incontro al destinatario attivandone meccanismi cognitivi epercezione, cercando e forzandone il coinvolgimento emotivo, attirandolo e sfidandoloa partecipare a un’esperienza ermeticamente personale eppure, per definizione,collettiva.
Il vetro, materiale ambiguo né solido né liquido, affascina Fabre proprio perché èsospeso fra due stati: solido, con i relativi attributi di stabilità, permanenza e tenuta altempo, e liquido, comunemente associato a mutevolezza e fugacità, all’impermanenza.Anche visivamente si colloca tra il solido e il trasparente. La scelta del vetro comemateriale per una mostra a Venezia, la città del vetro, connota una serie di concettilegati alla storia locale. La difficoltà, ma anche il pregio del vetro, sta proprio nelfatto che non si può incasellare. Qualsiasi tentativo di spiegare l’“assurdo miracolo”oscillerebbe fra l’assoluta profondità e la totale idiozia.
Nel pensiero di Fabre la morte e il vetro sono presenti da tempo, come si legge inun appunto del suo diario che risale al 1983:
Gand, 11 ottobre 1983
Stanotte ho completato il mio ritratto di Jean-Henri Fabre fino a farlo sembrareincompiuto.“I love the sound of destruction. I love the sound of breaking glass”,ho scritto sul disegno prima di apporvi la mia firma.
A che cosa pensavo?
Katerina Koskina
Immagini del mondo remoto dell’essere e non essere
JanFabre torna a Venezia con una grande mostra intitolata “Glass and BonesSculptures 1977-2017”. Un titolo a cui potremmo tranquillamente aggiungere iltermine “Bic”, visto che l’inchiostro blu della celebre penna a sfera è materialefortemente presente nelle oltre quaranta opere esposte. “Bone, Glass, and BlueBic Ink” conferirebbero un senso di maggiore completezza alla materia impiegatae messa in opera in questa mostra. La materia, in Fabre, non è celebrazione delmateriale in senso fenomenico, ma portatrice di simbologie remote legate al corpototale dell’essere. In questa ricerca dell’“Essere o del non Essere”, Fabre mette incampo un’arte che non misura la storia come portato dell’attualità e, dunque, dellasociologia, bensì come il corpo a corpo della materia metamorfica la cui memoria sidissolve nella remota notte dei tempi.
Prima di procedere, tuttavia, vorrei aprire una parentesi per dare la parola allostesso Fabre. Come egli vuole farci sapere: “Le ragioni filosofiche e poetiche che mihanno portato a lavorare insieme vetro e ossa, sia animali sia umane, provengono dalricordo di quando vedevo mia sorella minore giocare con un piccolo oggetto di vetro.Questo mi ha fatto pensare alla flessibilità della struttura delle ossa umane e dellalavorazione del vetro. Alcuni animali, ma certamente tutti gli essere umani, escono dalventre materno come il vetro fuso da un forno. Essi possono essere modellati,
curvati,e possono prendere forma con un sorprendente grado di libertà”.
Vorrei sottolineare come l’opera di Fabre si regga su una paradossale dualità, comemolta arte fiamminga che si colloca tra il delirio visivo di Bosch (1450-1516) e ilconcreto realismo di van Eyck (1390-1441), per fare soltanto un esempio.
Ossa e Vetro, ovvero durezza-fragilità, opacità-trasparenza, natura-artificio, ombraluce,materiale-immateriale, morte-vita…, risiedono nel centro poetico dell’artista,che è lo stato instabile della metamorfosi, il cambio d’essere dell’esistenza e, dunque,ancora dell’“Essere o del non Essere”. È il rito di passaggio dei regni: dall’umanoal vegetale, dall’umano all’animale, dall’umano al minerale. È l’opera che si compienell’HolyDungBeetle with LaurelTree[Il sacro Scarabeo Stercorario con l’alberod’alloro] (2017), qui nella versione in vetro, come somma di due esseri metamorfici:l’animale scarabeo e il vegetale alloro. Il motivo dello scarabeo in JanFabre vienedalla sua fascinazione per le pitture fiamminghe ispirate al tema della vanitas, in cuilo scarabeo compare come la rappresentazione simbolica del passaggio fra la vita e lamorte, la morte e la vita. Lo scarabeo è anche il kheperer, lo scarabeo sacro degli egizi,che richiama il Khepri, il sole, sempre degli egizi, il quale sorge e risorge, levandosidalla terra, dando vita a un nuovo giorno che si relaziona con l’alloro odoroso,medicamentoso, sempreverde e quindi immortale, eterno, vittorioso e glorioso. Piantadel Serto profumato, sacro ad Apollo Dio del Sole, delle arti e del futuro che vedecompiersi, davanti a sé, una delle più significative metamorfosi del mondo antico:l’amata Dafne che fugge dal Dio tramutandosi in alloro. Allora, ancora una volta,si va verso e si ritorna dal materiale allo spirituale, dall’umano reale all’umanoimmaginario. Umano animale, umano vegetale, umano materiale, umano spiritualenella formazione simbolica di immagini e forme remote dell’Essere o del non Esserefabriane, come in ShittingDoves of Peace and Flying Rats[Colombe della pace cacanti e Ratti volanti] (2008), in vetro colorato blu Bic applicato a mano. Vive e morte, lecolombe sono animali della pace, spiritualità, elevazione della purezza del bene edella rettitudine, già per gli Assiri, dacché Semiramide era volata in cielo in forma dicolomba. Colomba compagna di Venere, animale oracolare che indica il luogo delramo d’oro per accedere agli inferi, quale unico animale cui era concesso avvicinarsi altempio di Delfi. Essere animale e Essere spirito trinitario. Al contrario i Ratti volanti,che non appartengono alla famiglia dei roditori, sono piccioni grigi, tetri e litigiosi:l’altra faccia della colomba. Dunque, colombe della pace e piccioni della guerra,quest’ultimi detti Ratti volanti in Europa: dai “Ratti del cielo” di Venezia e Berlinoai “Ratti volanti” di Parigi e Madrid, fino ai “Ratti con le ali” e ai “Ratti della mortesulle ali” di Londra.
Essere della vita e non Essere della morte, essere
della carne e non Essere delle ossa.Alla morte sono associate le ossa, la nostra struttura solida, dato che tutto il resto delcorpo animale è fatto di tessuti molli. Sono le ossa a resistere al tempo e conservandosinel corso dei millenni ci permettono di sapere chi siamo, da dove veniamo e doveandiamo nel ciclo nascita-vita-morte.
Gli ultimi ritrovamenti scheletrici indicano che veniamo dall’Africa. Ossa, corna,carapaci di tartaruga, elitre per alcuni insetti (scarabei) sono, non a caso, parti delcorpo di animali da sempre presenti nell’opera di Fabre. Ossa, quindi scheletro che,quando la carne scompare, resta in nostra rappresentanza, anche figurativamenteparlando e che, dunque, rappresenta lo stato ultimo dell’esistenza dopo la morte e ilsuo ultimo testimone di realtà. Tuttavia, come il vetro, le ossa non sono indistruttibili.Come il vetro, le ossa si rompono denotando la nostra fragilità e transitorietà. Comedetto, le ossa sono in generale associate alla morte e al negativo, anche quando informa di scheletro umano hanno un aspetto divertente, come gli scheletri che ridonoe saltellano nella Danza della Morte, tipica soprattutto delle culture nordiche, acui Fabre appartiene. Teschi e tibie, o scheletri interi, sono presenti in molte opered’arte, soprattutto del passato, come nei citati Trionfi della morte e nei Mementomori. Questo e altri usi simbolici interessano Fabre, come quello mutuato dai piratidella bandiera nera con teschio e tibie incrociate, o quello presente nei tatuaggi deicarcerati, HellsAngels e simili, quale linguaggio alternativo di vitalità negativa esegreta. Non possiamo né dobbiamo, infatti, dimenticare che in “Pietas”, la mostratenuta da Fabre a Venezia, nel 2011, presso la Nuova Scuola Grande di Santa Mariadella Misericordia, l’opera centrale era una rivisitazione in scala 1:1, sempre inmarmo, della Pietà vaticana (1497-1499) di Michelangelo, in cui la Madonna nonaveva più il viso di una giovinetta, ma il volto di un teschio, ovvero l’immagine dellamorte. La mostra attuale ha certamente continuità con quella di allora, come contutta l’opera di Fabre, tuttavia se ne differenzia: almeno perquel che concerne il materiale, l’artista toglie figuratività alle ossa frammentandole,spezzettandole come fossero piccole tessere di un mosaico che l’artista utilizza performare altre immagini. Tutta la figuratività delle ossa, di cui parlavamo sopra, vienein molti casi sottratta e, quando rimane, è scheletro: come nella nuova serie di sediciSkulls[Teschi] (2017) di vetro, in cui pappagalli, rospi, talpe, tartarughe… e altrianimali simbolo delle corporazioni medievali di Anversa, sono tenuti tra i denti disedici teschi di vetro.
Sempre di vetro sono le “are” di ossa umane coronate da vagine e falli ossei,come nelle opere The Future Merciful Vagina and Phallus[Il futuro misericordiosodella vagina e del fallo] (2011), in cui essi vengono in soccorso dell’Essere e, quindi,della vita a venire. Come a dire morte e vita che si
sovrappongono, organi sessualigeneratori di vita fatti di ossa su cumuli d’ossa umane di vetro, di nuovo Essere o nonEssere.
Giacinto Di Pietrantonio
Solo l’immaginazionesopravvive
Vetro e ossa sono i più antichi materiali utilizzati dall’uomo e due media basilari per JanFabre, due elementi stabili della materia prima dell’artista. Il vetro moderno è un’invenzione dell’uomo, le ossa costituiscono una parte fondamentale dell’essere umano e degli animali; il vetro è trasparente e puro, le ossa sono opache e racchiudono in di una struttura vegetativa numerose informazioni complesse. Fabre realizza superfici con pezzi di osso, si pensi alle opere della serie Tools [Strumenti] del 1991, che risultano piatte quasi quanto il vetro; oppure modella quest’ultimo per dargli la forma di osso, come in The Future MercifulHeart for Men and Women[Il futuro cuore misericordioso di uomini e donne] (2008). Attraverso l’unione e la sovrapposizione di vetro e ossa crea significati con riferimenti storici a più livelli e studia i valori culturali di base dell’essere umano.
Quando realizza un teschio piuttosto che una coppa da un blocco di vetro, tale teschio diviene immediatamente un’inversione culturale rispetto all’antica tradizione di realizzare coppe con veri teschi, una tradizione che si ritrova nel Kapalatibetano, ma anche in ambito europeo,nelle prime coppe rituali ricavate da teschi e rinvenute a Gough Cave, Cheddar Gorge (Regno Unito) e non solo. La prima fonte scritta di tale usanza si ritrova in Erodoto e nella descrizione di come gli Sciti realizzassero coppe a partire dai teschi dei nemici: “segato tutto il teschio al di sotto delle sopracciglia lo ripuliscono; e chi è povero lo tiene così, rivestendolo esternamente soltanto di pelle di bue non conciata; chi invece è ricco stende sì attorno la pelle ma dopo averlo indorato internamente, usa il cranio come una coppa. Fanno questo però anche delle teste dei familiari con i quali siano venuti a contrasto e dei quali siano riusciti vincitori davanti al re”.
Le coppe realizzate con ossa del cranio sono antecedenti a quelle in vetro. Eppure, storicamente, vetro e ossa sono elementi che si avvicinano molto, pur nelle loro differenze. Si trovano parallelismi tra i due materiali sia in natura che nella cultura, il più noto è la famosa immagine europea dello scheletro che tiene la clessidra, simbolo della morte dell’essere umano. La trasparenza del vetro consente di vedere quanta sabbia rimanga all’interno del bulbo e di calcolare quanto tempo rimane prima che la morte prevalga sul corpo perfetto e lo consumi fino alle ossa. La morte, sotto forma di scheletro, ci mostra la clessidra per ricordarci l’imminente fine del nostro aspetto umano.
(…) Le ossa hanno forme ben definite. È piuttosto semplice disegnarle o scolpirle in modo preciso, tutto dipende solamente dalla bravura dell’artista. Al contrario è molto complesso disegnare il vetro: quando è rovente si
presenta come una massa caotica in movimento che non può essere rappresentata con un’arte visiva, ricorrendo a una forma determinata; solo un vetraio può riuscire a rappresentarlo. Una volta che il vetro assume una forma, ci si trova di fronte a un oggetto che ha un proprio significato, non legato esclusivamente al materiale con cui è stato creato. Nell’oggetto si può vedere un’opera d’arte in vetro, o un riflesso sulla superficie vetrata. Si può vedere attraverso il vetro ma difficilmente si può vedere il vetro stesso, a meno che questo non sia stato usato in associazione ad altri materiali, o non sia imperfetto, non contenga bolle o corpi estranei al suo interno. Il vetro è stato creato per poterci guardare attraverso, non per essere visto. Nella tradizione cristiana, spesso veniva utilizzato per conservare le reliquie dei santi, le ossa di questi venivano inserite all’interno di reliquiari in modo che potessero essere osservate e venerate. Protette dal vetro tali ossa appartengono al mondo eterno della morte, dopo aver condotto una vita pia.
(…) Il vetro deve essere pulito, chiaro, trasparente. Per sua natura si discosta profondamente dal concetto di morte, spesso simboleggiata da ossa in decomposizione. Fabre ribalta tale concezione utilizzando un vetro colorato con inchiostro Bic per rappresentare in ShittingDoves of Peace and Flying Rats[Colombe della pace cacanti e Ratti volanti] (2008), luride colombe morenti. Persino se utilizzato per rappresentare qualcosa di sporco e in decomposizione il vetro rimane paradossalmente pulito e chiaro.
(…) Le ossa e il vetro sono materiali dal carattere flessibile. Per Fabre, la relazione tra i due è da ricondurre a uno tra i primi ricordi dell’artista: “la motivazione filosofica e poetica che mi ha portato ad unire vetro, ossa umane e di animali è da ricercarsi nel ricordo  di mia sorella più piccola che giocava con un oggetto in vetro, ho quindi pensato alla flessibilità della struttura ossea umana e alla flessibilità con cui il vetro viene prodotto. Alcuni animali e tutti gli esseri umani nascono da un utero proprio come il vetro fuso fuoriesce da un forno. Entrambi possono essere fusi, piegati, gli si può dare una forma con una certa libertà”. Tale affermazione permette di comprendere meglio lo stretto legame tra gli elementi presenti nelle opere di Fabre.
L’artista non fornisce lunghe descrizioni di quello che fa, pone il visitatore della mostra immediatamente di fronte alla opere. Il significato potente di queste risiede proprio nella forza del legame tra materiali naturali e artificiali, che vengono tra loro mischiati e associati in maniera unica. Da tale presenza scaturisce quindi una domanda: cosa è apparso prima, gli oggetti o il rapporto tra loro? E cosa è più importante? Pensiamo agli oggetti o alla relazione tra loro? Ci confrontiamo con persone diverse o con il mondo? Con l’artista o con l’arte? Tutte queste domande fondamentali divengono ancora più complesse quando si
riferiscono ai materiali biologici che Fabre è solito utilizzare e che sistema nel contesto artistico della propria immaginazione. Come ci rapportiamo con il corpo degli altri? Come percepiamo il nostro corpo, nella sua interezza o come l’insieme di più parti? Cervello, cuore, pene, vagina, sono nostri o appartengono alla tradizione umana della riproduzione? Percepiamo un riflesso chiaro o ancora sfocato di noi stessi? Abbiamo ossa e questa condizione biologica ci rende parte di qualcosa che non riusciamo ad immaginare nella sua interezza. Essendo parte di ciò che chiamiamo biologia, la nostra comprensione del mondo avviene ancora solamente attraverso narrazioni culturali. Fabre pone tutte le suddette domande, non ci dà una risposta ad esse. Utilizzando il vetro dà forma alla trasparenza delle idee, dà vita a una situazione chiaramente simbolica in cui l’immaginazione è libera di farsi domande e di creare, proprio come avviene in uno dei primi progetti teatrali dell’artista dal titolo DasGlasimKopfwirdvomGlas(1987). In un contesto immaginario, le ossa in vetro possono essere viste come oggetti di una cristallizzazione in senso diretto e indiretto. Secondo Stendhal “la cristallizzazione e` l’operazione dello spirito che trae da tutto cio` che si presenta la scoperta di nuove perfezioni nell’oggetto amato”. Tale ricerca interdisciplinare della perfezione è certamente una delle caratteristiche dell’immaginario di Fabre. L’artista cristallizza sia le ossa che il vetro e li rende sacri. Fa lo stesso con l’esistenza umana nella sua presenza temporale mistica nella realtà, guidata dall’immaginazione.
Secondo Fabre, è l’immaginazione artistica la prima dimostrazione dell’esistenza umana; un’immaginazione che egli trova tra ossa e vetro, tra corpo e anima. “L’immaginazione è un luogo privilegiato tra l’anima e il corpo”, sostiene il cavaliere nell’opera di FabreHistory of Tears[Storia delle lacrime] (2005), riferendosi alla teoria dei veicoli dello spirito di Marsilio Ficino, secondo cui la funzione dell’immaginazione non si limita alla rappresentazione di immagini di oggetti sensibili allo spirito ma “influenza e modifica la materia corporea tanto da poterci far ammalare e da curarci grazie alle immagini di malattia e recupero presenti nella nostra mente”. L’immaginazione è in grado di dare forme sempre diverse a quello che produce e può pertanto essere paragonata a un camaleonte o al dio del mare greco Proteo che poteva assumere qualsiasi forma e cambiarla in ogni momento. Con tali paragoni, Ficino suggerisce che meno solida è la materia corporea, più efficace diviene il potere dell’immaginazione nel modificarla. Per cui, tra tutte le parti del corpo è lo spirito ad essere maggiormente suscettibile all’influenza dell’immaginazione, che sopravviverà anche alla morte fisica.
Viviamo nel mondo o lo stiamo semplicemente immaginando? I frutti sacri dell’immaginazione vengono plasmati da Fabre, che ne fa forme in vetro in grado di sopravvivere alla
morte e alla decomposizione. Le forme create imitano quelle del corpo umano, rappresentano idee astratte che affondano le proprie radici nell’alchimia; assumono l’aspetto di quella realtà visiva creata dalla natura o dall’uomo che assembla tra loro materiali di pregio. Nelle forme di Fabre si trovano riferimenti al cristianesimo e alle storie della tradizione europea, storie che andranno perdute e dimenticate dalle generazioni future, che troveranno altri modi per esercitare l’immaginazione. “La decomposizione di una forma libera materiale per prepararne una nuova”, sostiene il dottore-filosofo nel Requiem per una metamorfosi (2007). Con il tempo, nuove storie saranno narrate, che faranno sbiadire e rimpiazzeranno le attuali forme ideali e nuove ossa forti se ne ricaveranno.
Dimitri Ozerkov
-Estratto testi in catalogo Forma edizioni




2017-08-28