articolo 1571

 

 
 
Tra filologia e archeologia cristiana
In Macedonia :SVETI KLIMENT & SVETI NAUM
 







di Emilio B E N V E N U T O




Il Cristianesimo si era diffuso già prima del sec. IX nella Grande Moravia, predicato da Sacerdoti germanici, i quali però favorivano anche le mire espansionistiche dei Franchi, che aspiravano a estendere la propria influenza politica verso Oriente. Verso la fine dell’862 giunsero a Costantinopoli messi di Rostislav, sovrano di quel Paese, per sollecitare l’invio di missionari   che potessero provvedere alla riorganizzazione della Chiesa cristiana e, nel medesimo tempo, fossero in grado di rivolgersi ai fedeli nella loro lingua, affinchché tutte le  attività ecclesiastiche potessero assumere un colore nazionale. L’Imperatore Michele si rivolse a due fratelli di Tessalonica, Costantino, un teologo che già aveva svolto con successo missioni diplomatiche ed evangelizzatrici,  e Metodio, esperto in questioni politiche e organizzative. I due fratelli conoscevano inoltre la lingua macedone parlata nei dintorni di Tessalonica, che non differiva molto dai dialetti moravi.
Costantino (il quale avrebbe assunto. Im seguito, il nome monastico di Cirillo) ideò un alfabeto che potesse adattarsi alle peculiarità fonetiche degli idiomi slavi, il cosiddetto glacolitico, e, insieme con suo fratello,  partì alla volta della Grande Moravia, dove giunse verso la fine dell’863, dopo avere iniziata la traduzione dei testi biblici, che proseguì. coadiuvato da allievi locali, una volta raggiunta la sede della sua attività missionaria.
Varie ipotesi sono state formulate circa la pertinenza della lingua adoperata dai due fratelli tessalonicesi, chiamata paleoslava  (slavo antico, o slavo liturgico. o antico bulgaro); gli studiosi sloveni Jernej Kopitar  e Franc Miklosic’ sostennero la tesi pannonica, secondo la quale tale lingua sarebbe stata il riflesso delle parlate delle popolazioni slave che, prima dell’invasione magiara, erano stanziate nella pianura pannonica; in seguito,
grazie all’attenta analisi delle caratteristiche grammaticali e fonetiche dei più  antichi testi paleoslavi, si è pervenuti alla convinzione che la lingua usata da  Cirillo e  Metodio deriva invece da un’area jugoslava, appartenente alla cerchia bulgaro-macedone. La confusione dei suoni E e JA, che vengono indicati mediante una sola lettera dell’alfabeto glacolitico, consente di precisare ulteriormente questa convinzione, restringendo il presumibile centro di  diffusione del paleoslavo ad un’area a N-E di Salonicco: sono infatti i dialetti macedoni meridionali parlati in questa zona che, ancora oggi, presentano  il medesimo fenomeno.
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I più antichi testi paleoslavi conservati sono copie che distano da 100 a 150 anni dai loro originali, redatti dai due Apostoli di Tessalonica e dai loro più diretti collaboratori; in questi testi è possibile rilevare certe sfumature fonetiche che consentono di attribuirli  a una o un’altra
area slava: o bulgara, o macedone, o pannonico-slovena, o russa, o serbo-croata. Molti dei più importanti testi sacri in paleoslavo, scritti sia in glacolitico che nel più recente alfabeto cirillico, possono essere assegnati all’area macedone.
Tra i principali codici glacolitici, la cui origine è localizzabile in una zona macedone, sono annoverati i seguenti:
• Codex Assemanianus: conservato nella Biblioteca Vaticana, rinvenuto a Gerusalemme nel 1736 da  G. S. Assemani, è un Evangelario, cioè una scelta di brani evangelici, da usarsi nella celebrazione della Messa; incompleto nella parte finale, contiene 158 fogli; risale alla fine del sec. X o all’inizio del secolo seguente;
• Codex Marianus: conservato nella Biblioteca Pubblica di Mosca, trae il suo nome da quello del Monastero Mariano del Monte Athos, cui originariamente apparteneva; contiene complessivamente 172 dei suoi 174 fogli, perché i due fogli iniziali si trovano nella Biblioteca Nazionale di Vienna; questo
codice è un Tetravangelo e risale all’incirca alla prima metà del sec. XI; le caratteristiche di questo testo fanno pensare a un’area macedone non distante dall’area serbo-croata;
• Codex Zographensis: conservato nella Biblioteca Pubblica di S. Pietroburgo, già proprietà  del Convento del pittore Giorgio Zograf sul Monte Athos,che è tuttora un Monastero bulgaro,  contiene 303 fogli, di cui 238 scritti in glagolitico e 65 im cirillico; il codice, un Tetravangelo, fu completato tra la fine del sec. X e l’inizio del secolo successivo;
• Euchologium Sinaiticum, di cui 106 fogli sono conservati nel Monastero di S. Caterina sul Monte Sinai  e tre fogli nella Biblioteca Pubblica di S. Pietroburgo: il testo, gravemente mutilo (mancano  circa 336 pagine) contiene preghiere per varie occasioni (benedizione dell’acqua, decessi, malattie, taglio rituale della barba e dei capelli) e testi del Messale; l’originale risaliva all’età cirillo-metodiana, dato che alcuni brani
sono tradotti dal latino o dal tedesco, mentre la maggior parte del codice rispecchia modelli greci;
• Psalterium Sinaiticum: conservato nel Monastero di S. Caterina, sul Monte Sinai, contiene, in 177 fogli,  i Salmi 1-137; l’originale doveva essere molto antico, perché alcuni moravismi, che vi sono conservati, fanno pensare all’età  cirillo-metodiana; la revisione generale e la stesura definitiva di questo testo ebbero luogo in Macedonia nel sec. Xi e per l’ultima redazione fu effettuato un accurato raffromto col testo greco del Salterio.
Meno ampi sono i testi scritti in cirillico attribuibili all’area macedone, sebbene anch’essi  siano alquanto numerosi e sempre più se ne vadano trovando. Il documento più importante di questo tipo è lo splendido Psalterium Bononiense, conservato a Bologna, che venne scritto nel villaggio di Ravne,  presso Ohrid, al tempo dello Zar AsenII (1217-41).
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La vastità degli interessi culturali che
caratterizzò gli ambienti colti della Macedonia nei ss. X-XI, attestata dai codici paleoslavi sopra citati, ebbe la sua manifestazione più rilevante nell’istituzione di una specie di scuola letteraria e teologica che ebbe la sua sede a Ohrid, che costituiva, accanto a Preslav, uno dei maggiori centri di vita culturale al tempo del primo Impero bulgaro. La Scuola di Ohrid, che presentò caratteri spiccatamente conservatori, ebbe i suoi maggiori esponenti in S. Clemente  e S.Naum.
Nato in Macedonia tral’835el’840, Clemente (kliment) dovette conoscere Metodio, nel tempo im cui quest’ultimo era kybernìtis d’una provincia bizantina, e prese parte ai preparativi della missione in Moravia, collaborando alla versione di testi sacri, che i due fratelli di Tessalonica approntarono prima della loro partenza verso il Regno di Rastislav.
Anche egli si mise in viaggio alla volta della Grande Moravia nell’863, insieme con i due Apostoli, e  seguì le alterne vicende dei missionari, fino
alla loro espulsione dal Regno grande-moravo nell’885. Nell’886 ritornò in Macedonia e ivi svolse la sua attività pastorale  nella Kutmic”evica, regiome che aveva i suoi centri principali  a Devol. Glavenica e Ohrid, istruendo Sacerdoti e fondando Chiese e Monasteri, finché nell’873 venne nominato dallo Zar Simeone Vescovo di Velika, a E  della Kutmic”evica. Fu proprio in quegli anni che nel corso del Concilio di Preslav (893-94), convocato per impulso del sovrano bulgaro, venne affrontata e definitivamente risolta la questione dell’impiego della lingua slava nell’ambito della liturgia: contro gli avversari dell’uso di quella lingua, fu solennemente proclamato il diritto, già riconosciuto dal Romano Pontefice, di adoperarla nelle cerimonie ecclesiastiche. Questa circostanza portò a una prima fioritura di attività culturali in Bulgaria, promosse e incoraggiate dallo stesso Zar, e a tali attvità prese parte anche Clemente.
Quale sia stato in concreto il ruolo svolto
dal Vescovo in questo campo è difficile precisare, data la frammentarietà delle notizie che si hanno al riguardo; alcuni studiosi, tuttavia, hanno formulato l’ipotesi che a lui vada riconosciuta la paternità di almeno una delle più antiche biografie di Costantino-Cirillo e Metodio, opere di notevole impegno, non soltanto storico, ma anche dottrinario e ideologico: in queste vite, infatti, ai brani puramente narrativi si alternano pagine polemiche, nelle quali viene abilmente dibattuta la questione dell’ammissibilità della lingua slava per impegni religiosi.
A Clemente di Ohrid è stata pure da qualcuno attribuita la riforma dell’alfabeto, ossia la sostituzione dell’antico glacolitico, creato da Costantino-Cirillo,  col più moderno e maneggevole cirillico. Ma questa tesi è stata sottoposta ad acute critiche. Del Vescovo di Ohrid  sono una quindicina di Sermoni, alcuni dei quali vengono chiamati Pouc”enije (= ammaestramento) e altri Pochvala (= elogio), e una versione dal
greco del rituale della Messa da Pasqua a Pentecoste, nota per tradizione col nome di Cveten Triod (Triodo fiorito). In questi scritti, l’autore si rivela perfettamente padrone delle risorse stilistiche e dei mezzi linguistici, come appare evidente dall’efficace alternarsi di diversi moduli sintattici più lineari e piani oppure più complessi ed elaborati, a seconda che si rivolga a persone d’umile condizione oppure ad ascoltatori o lettori di ceto elevato.
La Chiesa di Sveti Kliment a Ohrid fu costruita nel 1295 per volere di uno stratigòs bizantino e dedicata alla B. Vergine. Nel sec. XIV, quando i Turchi trasformarono la Cattedrale di Sveta Sofija, divenne Cattedrale di Ohrid col titolo di S. Clemente, di cui custodisce tuttora le reliquie. Ha forme tipicamente bizantine: navata unica absidata, cupola al centro e nartece; i conci, di diverso colore,  sono pazientemente disposti a formare motivi geometrici. Gli affreschi furono eseguiti nel 1295 dai pittori Mihajlo ed 
Eutihios, che lavorarono in quasi tutti i principali Monasteri  macedoni: la loro caratteristica è data dall’estrema vigoria del tratto e dall’accesa campitura cromatica,  così da creare forti contrasti carichi di pathos.  I vari cicli illustrano la Vita della B. Vergine, il Vecchio Testamento  e la Passione: di quest’ultimo ciclo notevoli sono la Cena, che riprende temi dell’Ellenismo, e la drammatica Deposizione. Dietro la Chiesa  c’è la Cappella di Sveti Dimitri, con affreschi della prima metà del sec. XIV.
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Tra i  maggiori esponenti della Scuola di Ohrid fondata da S. Clemente, che svolse una rilevante azione culturale durante tutto ilsc. X, va annoverato  S. Naum. Anch’egli fu allievo dei SS. Cirillo e Metodio e partecipò alla missione nella Grande  Moravia. Espulso da questo Paese nell’885. dopo la morte di Metodio, andò in Bulgaria e svolse la propria attività a Preslav, passando poi nell’893 a nella
Kutmic”evica, in sostituzione di Clemente,  nominato Vescovo. Proseguì dunque l’opera dello stesso Clemente, occupandosi piuttosto di questioni organizzative che di attività letterarie. Tra l’’altro fondò sulle sponde del lago di Ohrid un  Monastero, ancora oggi intitolato al suo nome, e ivi si spense nel 910.
Il Monastero di Sveti Naum, al ridosso del confine macedone-albanese, si presenta  come un ridotto fortificato, con le celle dei  monaci (più vole rifatte) all’intorno e al centro la Chiesa a croce greca, con cupole e transetto aggiunti tra il sec. XII e il XIII.  Nel nartece le colonne mormorate della tomba del Santo recano iscrizioni  a caratteri glacolitici e cirillici.  Nella Chiesa  si ammirano icone e una scenografica iconostasi del primo sec. XVIII e affreschi firmati dal pittore Trpo, datati 1806.
Alcuni studiosi hanno ravvisato Naum in un misterioso personaggio, che si firmava C”ri’norizi’ci’ Chrabu’ru’, ossia il Monaco
Chrabu’ru’ (chrabu’ru’  significa prode), il quale, in un’età di poco posteriore a quella di Costantino-Cirillo  e Metodio, scrisse un trattato intitolato O pismenechi’ (Intorno alle lettere), dedicato alla difesa dell’alfabeto slavo (il glacolitico), che da tempo veniva criticato e rifiutato da parte degli avversari della liturgia in lingua slava.
Nel trattato viene dapprima tracciato un quadro della situazione  esistente presso gli Slavi al tempo in cui essi, essendo ancora pagani, non possedevano un proprio alfabeto e si servivano di segni e di intagli per leggere (o piuttosto per contare) e per divinare. In seguito, dopo la cristianizzazione,  si provò a scrivere con i caratteri greci, che però si rivelarono insufficienti e inadatti a rendere suoni estranei all’idioma ellenico, tipici delle lingue slave; fu allora che Costantino il Filosofo, detto Cirillo, per ispirazione divina, escogitò un sistema di 38 lettere, in parte servendosi di modelli greci, in
parte creando simboli speciali, secondo le esigenze della fonetica slava.
Sviluppando il suo scritto, l’emigmatico autore passa poi a confutare le obiezioni degli oppositori, secondo i quali una lingua slava non poteva essere impiegata in  usi sacri, dimostrando come non soltanto la creazione di un alfabeto slavo, ma anche l’intera opera di traduzione dei testi biblici compiuta da Costantino, era sempre stata sostenuta dalla grazia divina.
E’ difficile dare un’interpretazione del tutto sicura di questo singolare scritto. Alcuni studiosi sostengono che esso fosse il riflesso di un’ambizione all’indipendenza culturale e, in questo caso,  poteva essere giustificata l’opinione di coloro che  scorgevano nel trattato  un documento ispirato, se non addirittura composto, dallo stesso Zar Simeone, desideroso di potenziare una Chiesa nazionale, contrapposta a quella greca. Altri, tuttavia,  individuano, al di sotto del motivo superficiale, di orientazione esterna,
una sottile polemica interna, condotta da chi, richiamandosi alla genuina  tradizione cirilliana,  difendeva l’alfabeto glacolitico, minacciato dall’espansione del cirillico. In questo caso lo scritto, anche se non direttamente composto da S. Naum, rspecchierebbe in  ogni caso il punto di vista della Scuola di Ohrid, conservatrice e antagonista della Scuola di Preslav. Sarebbe dunque la voce di una Macedonia che, pur nell’ambito dell’Impero bulgaro, tendeva a conservare una sua autonomia spirituale e culturale, contro le mire accentatrici dei sovrani, che avevano il loro maggiore centro politico nella Bulgaria orientale.

 


 



2011-09-21