articolo 1436

 

 
 
SACRALITA’ DEL GARGANO
DA MONTE SARACENO ULTIMA DIMORA DEGLI ILLIRI DI PUGLIA
ALLA BADIA BENEDETTINA DI MONTE SACRO
 







di Emilio BENVENUTO




Chi,  pugliese,   abbia  la  buona  ventura  di  rileggere, di Alexandar Stipc’evic’, “ Gli Illiri ” (Milano, il Saggiatore, 1966) e di poter leggere, ove conosca l’albanese, il più recente, di Neritan Ceka, “ Ilire’t ” (Tirane, Migjeni, 2005), si troverà trasferito, come in sogno, nel mondo dei nostri lontanissimi avi. Riscoprirà nel verde Adriatico quasi un lago, le cui coste, ripercorse dall’Epiro, in senso antiorario,  alla Venezia Giulia e dal Friuli alle  Puglie, erano quasi tutte densamente popolale  da Thesproti,  Caones, Bylliones, Encheleae, Parthini, Pirustae, Labeates, Plerei, Ardiei, Dalmates, Liburni, Japodes, Histri, Veneti, Picentes, Dauni, Peucetii e Messapii.
Nella terra dei Dauni, uno sperone di roccia a picco sulla baia di Mattinata, il Monte Saraceno, rappresenta, sul Gargano, uno dei maggiori siti archeologici di questo  mondo illirico.
L’importanza di quest’area è dovuta al ritrovamento di circa 500 tombe, scavate nella roccia calcarea organogena, che costituiscono la necropoli detta di Monte Saraceno, che si intravede tra i rosmarini della macchia mediterranea, appena sferzata dal vento. Le tombe risalgono a un periodo compreso  tra il sec. XII e la fine del sec. VI a.C. Esse si presentano in forma di utero, quasi volessero rievocare il ritorno del defunto alla vita prenatale. I cadaveri vi sono deposti rannicchiati, secondo i riti  dell’originaria Illiria. In cima si mostrano scoperte, come delle cavità, ma sempre presenziate da segnacoli in pietra, teste, steli, scudi o falli, simbolo, questi ultimi, di fertilità.
Nelle tombe, sparse in gran parte del monte, sono stati rinvenuti  corredi funerari degli oggetti ai defunti  in vita più cari: vasi  predauni e dauni, kartiz (= spilloni),  tokes (= fibule), fogliate e ad aree,  vath (= orecchini), etc. Il ritrovamento
di questi oggetti ha dato la possibilità di delineare una certa sequenza evolutiva.  Specialmente le fibule, in bronzo, mostrano come la comunità di Monte Saraceno  prediligesse i rapporti con le altre comunità illiriche dell’Adriatico. Interessante è, inoltre. la presenza di materiali cosiddetti preziosi, che documentano la volontà di evidenziare  il ruolo dell’inumato, il suo stato sociale e il desiderio dello stesso di far sfoggio della propria ricchezza.
Numerose tombe hanno restituito ricchi corredi ornamentali  in bronzo,ambra e pasta vitrea, nonché statue antropomorfe riproducenti le sembianze dei defunti, con teste simili a quelle scolpite dal Modigliani. Le tombe sono ricoperte da pietre e lastre, costituenti le più complesse orditure delle stele daune, che ritrovano proprio qui, tra le rocce bianche del Gargano, le loro radici.
Le abitazioni di quell’abitato che fu l’antichissimo Matinum circondavano la necropoli ed erano costituite, probabilmente, da capanne di frasche e pelli, di forma circolare o a ferro di cavallo, sorrette da un palo centrale.
La popolazione di Monte Saraceno rappresenta, fra gli insediamenti della prima età del ferro in Italia e in Europa, un punto di riferimento culturale essenziale per la sua concezione, profonda e originale,  dell’aldilà, come testimoniano le sue sculture funerarie: forme espressive elaborate, che precedono di gran lunga i tentativi di arte astratta nella preistoria.
Monte Saraceno è a circa km. 4,5 da Mattinata. Si risale la strada statale n° 89 fino alla diramazione di Sellino Cavola, sito panoramico di grande effetto. Poi si percorre, a piedi, per circa un chilometro, una stradina incassata fra roccia e pini marittimi, avendo costante la veduta del paese,  della  piana densa di oliveti e della  baia di Mattinata e del sovrastante profilo di Monte Sacro. Il sentiero percorre in cresta l’intero sperone roccioso di Monte Saraceno.
L’altezza non è rilevante,
250-260 metri circa, ma il netto divario altimetrico, tra mare, pianura e roccia, ne accentua quel senso di vuoto, che ne caratterizza il profilo storico-culturale.
Fin dai primordi, la storia di Mattinata, il vecchio Matinum, coincide con quella di Monte Saraceno. Gli antichi abitatori del territorio furono  i Matini, tribù dei Dauni, sbarcati dalla vicina Illiria alle Tremiti  e di là giunti sul promontorio garganico, in un area già fittamente popolata, come attestano i numerosi insediamenti paleolitici, mesolitici e neolitici rinvenutivi.  Al loro giungere,   attratti  dalla felice posizione della rada, coronata da un sistema collinare degradante a ferro di cavallo, questi Dauni si insediarono nella piana e sul dominante sperone roccioso, che chiamarono Mali Matane (= il monte al di qua) e che  i Romani dissero Mons Matinus. L’attuale nome, Monte Saraceno, deriva invece dall’arroccamento colà  di Saraceni intorno all’anno 1ooo.
La necropoli-santuario di Monte Saraceno, circondata dall’antichissimo paese di Matinum, conserva le più mirabili testimonianze della civiltà matinate: una civiltà pacifica, dedita all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, chiusa nell’intimo di una singola tribù dauna fino all’autoestinzione.  
All’estremità di Monte Saraceno s’intravede ancora la millenaria Via Sacra dei Dauni che lo collega con il sottostante mare, primo segno di una sacralità del Gargano conservatasi fino a questo terzo Millennio:una sacralità della quale una delle maggiori espressioni, sempre a Mattinata, è l’Abbazia benedettina di Monte Sacro.
Questa  è raggiungibile andando, in auto, fino agli altipiani dello Stinco e della Tagliata e poi, a piedi, salendo verso il monte. Due sentieri non disagevoli conducono ai resti della Badia costeggiando i due versanti di Monte Sacro.
Elevandosi sullo Stinco è possibile ammirare un ampio e suggestivo panorama: il golfo di Manfredonia, la piana di Mattinata
e l’arco collinare che dal promontorio degrada come per cingerla.
Procedendo dalla Tagliata, il paesaggio cambia radicalmente: un ambiente montano  con fondi flessuosi, resi particolari dai cutini, i raccoglitori stagionali d’acqua piovana usati per abbeverare le mandrie. Si ammira il verde altopiano che, all’innalzarsi del monte, lascia spazio a una fitta vegetazione di aliterni, roverelle e cedui di lecci.
Giunti alla sommità del Monte Sacro, a quota 816, nel pianoro fra le due  cime, si scorgono i resti dell’Abbazia e, su uno sperone poco distante,la Cappella di un eremo del sec. V d.C., testimonianza d’un primo insediamento monastico. Da essa, sotto la giurisdizione della Badia di S.Maria di Kàlena (Peschici) si posero le basi per l’edificazione del complesso della SS. Trinità, avviata intorno al sec. IX.
Fin da gran tempo prima il monte era sede di culto per Giove Dodoneo, donde la denominazione di Monte Dodoneo.  Con il diffondersi ddel culto dell’Arcangelo Michele, venerato nella famosa Grotta della vicina città di Monte S. Angelo, prelati garganici si recarono sul Monte Dodoneo, ne distrussero i simulacri pagani, ne dedicarono la Cappella alla SS. Trinità e mutarono il nome del monte, che da allora si chiamò Monte Sacro.
Il successivo sviluppò dell’Abbazia causò la progressiva decadenza della potente Badia di Kàlena,, dalla quale, nel 1198, Innocenzo Pp. III la rese indipendente, dichiarandola immediatamente soggetta alla S. Sede.
Nel sec. XII l’Abbazia possedeva gran parte dei terreni coltivabili e gli edifici ecclesiastici di Mattinata e i suoi domini  si estendevano dal Gargano alla Terra di  Bari.
La mala amministrazione di sì grande ricchezza ne avviò, intorno al sec. XIV, la decadenza e  Sisto Pp. IV ne decretò, nel 1481, il definitivo tramonto, assoggettandola alla Chiesa arcivescovile di Manfredonia.
Il complesso abbaziale ha dimensioni ragguardevoli, come testimoniano i resti deì  344 metri
di mura perimetrali, con un’area edificata di mq. 6.450. Oggi, si può ancora ammirare il pronao, con le volte a botte su archi a tutto sesto e massicci pilastri con interessanti capitelli. La Chiesa, di stile romanico,  conserva le navate, il portale, a fasci di colonne con archi a tutto sesto e lunetta con pregevole disegno a intreccio, resti delle celle di preghiera e un ossario.
Chi ne curerà il restauro e la debita conservazione, prima che,  per  l’usura del tempo e l’incuria di uffici e di uomini, tutto si sbricioli, come è già avvenuto a Pompei e sta avvenendo a Grotta Paglicci?



2010-11-19