Uno degli aspetti fondamentali della globalizzazione è la possibilità di ricevere informazioni in tempo reale da ogni parte del pianeta. Si è trattato e si tratta di una straordinaria rivoluzione giacché consente di stare per così dire dentro ciò che avviene nel mondo intero e di avere nel contempo la possibilità di conoscere pensieri, attività, problemi di uomini e donne di qualunque parte del globo terrestre. Non solo, ma grazie all’esplosione dei social media, tutti possono anche intervenire, far conoscere e diffondere la propria opinione e diventare in qualche modo protagonisti di quello che accade. Ma come insegna la saggezza popolare ogni medaglia ha il suo risvolto o meglio in questo caso possiamo dire che la rivoluzione progressista impone un alto pedaggio da pagare i cui effetti, appaiono deleteri e negativi e controbilancianomassicciamente i “meriti” dell’osannata contemporaneità. Ormai il diluvio informativo che ci investe ha superato qualsiasi possibilità ricettiva, poter avere cioè il tempo di valutare il flusso di comunicazioni, di metabolizzarle e orientarsi di conseguenza. Viceversa non si fa nemmeno in tempo a selezionare dati e informazioni che già siamo sommersi da ulteriori torrenti di notizie. Paradossalmente la globalizzazione informativa che ci doveva rendere più atti a comprendere ciò che avviene nel mondo finisce per “rincitrullirci”, per farci perdere in un mare magnum d’informazioni dove non si capisce più nulla. E’ l’effetto della cosiddetta infodemia, altro neologismo appartenente alla famiglia dei vocaboli cosiddetti macedonia (formati cioè dalla fusione di due termini, in questo caso info – informazione - e demic – pandemia-) che l’Accademia della Crusca cosi definisce correttamente: “abnorme flusso di informazioni di quantità variabile su un argomento,prodotte e messe in circolazione con estrema rapidità e capillarità attraverso i media tradizionali e digitali tali da generare disinformazione, con conseguente distorsione della realtà ed effetti potenzialmente pericolosi sul piano delle reazioni e dei comportamenti sociali”. In siffatto panorama ci sono anche altre anomalie. L’informazione cosiddetta tradizionale, formata cioè da quotidiani, settimanali, e reti televisive dovrebbe avere l’obiettivo di tenere la barra diritta, vale a dire puntare su una piattaforma informativa attendibile e fidelizzando in questo senso i suoi lettori/fruitori. Il che non avviene, succede anzi esattamente il contrario se è vero come è purtroppo vero che la stampa tradizionale, ad esempio, arretra paurosamente perdendo, senza eccezioni, copie e lettori a profusione al punto tale che qualcuno insinua che fra non molto i giornali non li stamperanno piùle rotative bensì le fotocopiatrici. Di questo c’è anche una spiegazione facilmente plausibile. I canali informativi tradizionali, giornali e televisioni, sono quasi tutti appiattiti su una versione mainstream dove le voci cosiddette dissonanti sono inglobate e spesso coccolate non per ampliare il dibattito delle idee ma per aumentare per un po’ audience e tirature che rientrano inevitabilmente non appena gli improvvisati soloni del nulla vengono abbandonati al loro destino. Senza considerare poi che sono scritti male, come i blog e i post che si susseguono sulla rete la maggior parte dei quali non supererebbe un serio esame di terza media. Molti osservatori si chiedono perplessi e anche un po’ impauriti quale possa essere la via di uscita: ma anche qui fa capolino l’aspettativa rassegnata di sempre, che cioè una volta toccato il fondo non si può fare altro che risalire. E avanticosì. Antonio Filippetti
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