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Il destino dell’informazione |
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Si fa da sempre un gran parlare sulle condizioni del sistema informativo in Italia (ma non solo) e si tirano fuori dati, indici, tabelle per confermare in fondo un solo dato obiettivo: che l’informazione di stampo tradizionale, vale a dire quella relativa a giornali, riviste e comunicazione televisiva “generalista” versa in condizione di crisi. Ed è un po’ la scoperta dell’acqua calda se si pensa che il tema in questione è sotto la lente d’osservazione da decenni, purtroppo senza costrutto. Le tirature (e le vendite) dei quotidiani sono ridotte ormai al lumicino e basterebbe dare un’occhiata in giro per verificare la chiusura delle edicole, una volta transito e diffusione canonica di giornali e riviste. Si dice che ciò è dovuto in buona parte all’esplosione incontrollata dei social media con milioni di utenti che si improvvisano loro stessi comunicatori nel senso che forniscono senza alcun controllo informazioni a getto continuo e per di più a costo zero e senza nemmeno “imporre” il fastidio di doversi recare all’edicola. Se tutto ciò risponde a verità ci saremmo aspettati se non altro un tentativo da parte del “sistema” ufficiale di correre in qualche modo ai ripari, “inventando” se non altro qualcosa di nuovo e attrattivo. Di fronte a questo stato dell’arte il panorama si presenta viceversa in condizioni disastrose. La sensazione è che non ci troviamo di fronte ad un atteggiamento indifferente come chi, pur di fronte a gravi problemi, si gira per così dire dall’altra parte. In questo caso ci dobbiamo confrontare con chi si arrocca sempre di più tenacemente sull’esistente trangugiando avidamente gli ultimi residui di un pasto in qualche modo luculliano ma prossimo alla fine. C’è un esempio in questo contestocha ha del clamoroso ed è quello che è avvenuto di recente nella rai pubblica sulle nuove nomine dirigenziali. Da sempre a Viale Mazzini vige la logica dei quattro cantoni, uno spostamento fittizio di personaggi in qualche modo affiliati a padroni e padrini politici chiamati a sostenere impunemente le posizioni dei loro rappresentati. Qualcuno si era illuso che col sospirato nuovo corso “dell’uno vale uno” qualcosa sarebbe finalmente cambiata. Ma si è trattato di una pia illusione. La conferma in qualche modo paradossale è venuta proprio dall’irritazione dell’ex premier Conte che denunciava giustamente una spartizione selvaggia ma nello stesso tempo si dava per così dire la zappa sui piedi reclamando una parte del bottino per sé e il proprio gruppo, rientrando in questo modo ed anzi avallando la logica della spartizione partitica dell’informazione televisiva. Ma in questa vicenda c’è ancora un dato piùsorprendente ed è la spregiudicatezza con cui si entra e si esce dalla stanza di comando senza un briciolo di correttezza deontologica o meglio di vergona. Chi ha già fatto il presidente della Rai, tra l’altro senza lasciare tracce memorabili, può tranquillamente sedersi sulla poltrona di direttore di una rete giornalistica, qualcosa che ha dell’inverosimile e che può accadere, o accade soltanto in un sistema malato destinato a consumare le sue ultime (?) ore in un crescendo di stupefatta ridicolaggine che fa rivoltare nelle tombe quei comunicatori che hanno sempre pensato che l’informazione debba essere il cosiddetto quarto potere e non lo scendiletto dei potenti di turno. Antonio Filippetti |
2022-01-01
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