Sgomberiamo subito il campo a scanso d’equivoci: la figura di Mario Draghi, novello Presidente del Consiglio, non ha niente a che vedere con la classe politica che in tempi recenti ha preteso di governare il nostro paese; per formazione, storia, autorevolezza, prestigio, ecc., la personalità di “Supermario” appartiene a un’altra categoria anche se qualche spirito malizioso si affretta a dire che, sic stantibus rebus, vale a dire considerata l’attuale l’offerta nazionale, ci voleva assai poco per qualificarsi cittadino di un altro pianeta. Ciò detto, qualche considerazione in limine non sembra del tutto peregrina se non altro per capire lo stato dell’arte e riflettere su quello che è al momento lo scenario complessivo nel quale siamo obbligati a “svernare”. L’ascesa di Draghi è stata salutata dall’opinione cosiddetta mainstream in maniera più che eclatante, frutto anche probabilmente della stanchezza di unacondizione avvilente e stucchevole che da troppo tempo sembrava avere preso il sopravvento nel comune sentire. Tuttavia non può sfuggire, ad esempio, come la comunicazione nel suo complesso abbia tirato fuori i più arditi e sicuramente inutili panegirici per elogiare la storia del personaggio, quasi una forma di venerazione, a partire dalle memorie del passato (le vecchie foto con i compagni del liceo) fino alle peculiarità da libro cuore (le mai sopite origini irpine) per finire alle chicche da rotocalco trash, (la figura e il ruolo della consorte), ecc. E c’è da scommettere che nelle prossime ore altri “cantori” si accoderanno al rito celebrativo. E tra questi tantissimi che si affretteranno a salire sul carro del “presunto” vincitore. Per la verità fa riflettere un dato sicuramente più allarmante. In un paese come il nostro nel quale ad ogni piè sospinto si tende ad elogiare la purezza della cartacostituzionale, fa sensazione un rilievo per così dire statistico: in tempi recenti l’Italia non ha avuto al timone, cioè alla Presidenza del Consiglio, un eletto dal popolo e si è dovuta per così dire più volte “arrangiare” con personalità non indicate dalla volontà popolare, figure tecniche quasi sempre chiamate a governare la barca che in un modo o nell’altro faceva acqua da tutte le parti. Avvenne con Carlo Azeglio Ciampi che fu il primo presidente extra-parlamentare nominato nel 1993 e l’episodio si è poi ripetuto più volte, con Lamberto Dini e Giuliano Amato, e poi ancora con Mario Monti e lo stesso Renzi, il cosiddetto “demolition man” di Rignano che si vanta di aver fatto fuori Giuseppe Conte, anche lui catapultato del resto alla guida del vapore senza esser passato per le urne elettive. Ed è strano davvero in questo contesto come lo stesso Conte nel saluto di commiato abbia poi auspicato fortemente un governo politico, lui chepolitico è diventato quasi per caso. Al di là di tutte le esaltazioni o anche i regolamenti di conto personali, probabilmente è più congeniale in siffatto scenario richiamarsi ancora ad un verso del grande Giacomo Leopardi che così denunciava la decadenza civile e morale del paese: “ Piangi, che ben hai donde, Italia mia”. Poi arriverà magari l’ennesimo “gattopardo” a parlarci di cambiamento. Antonio Filippetti
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