Un antico proverbio suggerisce: “pochissimo di sé, poco degli altri, molto delle cose”. I proverbi, come si sa, rappresentano la saggezza anonima di un popolo che ha tuttavia sperimentato nel tempo le proprie “sentenze”. In un periodo storico come quello che stiamo vivendo nel quale il popolo viene venerato come sommo sacerdote della sovranità indiscussa, l’antico ammonimento di cui sopra viene stranamente ignorato, o peggio, “capovolto” a getto continuo, senza colpo ferire. Basta dare uno sguardo in giro ovvero leggere i giornali e i libri, guardare la televisione e ascoltare la radio, ma anche andare a teatro o al cinema o fare un salto tra i social e i blog vari per avere una schiacciante riprova di quello che è al momento lo stato dell’arte. Intanto si discetta sempre delle medesime cose: qualunque sia il campo di discussione – politica, cultura, economia, sport, spettacolo e così via- gli argomenti sono perennemente gli stessi; se poi c’è un problema di più stringente attualità, nessuno ha la compiacenza di tacere, tutti vogliono far sentire la propria voce, appellandosi a un diritto democratico che non tiene quasi mai conto tuttavia di competenza e conoscenza. Ma ahimè non si tratta solo di questo. Basta sfogliare un giornale o accendere la tv (per non parlare dei social) ed ecco che ci ritroviamo catapultati in una vetrina di luoghi comuni, una sinfonia di bla-bla-bla triti e ritriti presentati ogni volta come una sorta di vangelo, di verità assoluta ed incontrovertibile; la cosa strana non sta soltanto nel veder concedere un incredibile lasciapassare a idiozie di ogni genere ma più ancora nel dover constatare che chi si espone lo fa col piglio sempre autoreferenziale del “ve lo avevo detto”, “l’avevo previsto”, ecc. ecc. Iltono dell’enunciazione, sia per iscritto che a parole, è asseverativo e non ammette confronto; di qui anche l’inevitabile rissa verbale o la conseguente requisitoria offensiva o volgare. Sembra che la conoscenza sia ormai tutta acquisita e per sempre. A farla da padrone è il culto di sé, una forma endemica di egolatria che non lascia spazio ad alcuna alternativa. Eppure il motto secondo cui “dubium sapientiae initium” di cartesiana memoria dovrebbe ancora insegnare qualcosa. Ma niente di tutto questo. Chi parla si veste da oracolo, rivendica la sua coerenza (?), la capacità divinatoria del proprio pensiero che lo pone autorevolmente al di sopra e al difuori di ogni contestazione. Così se si parla di politica il nostro vate ha la soluzione per tutti i mali del paese o della città in cui vive, se di discetta di cultura, il libro o il film che ha appenafinito è il capolavoro a cui le future generazioni dovranno necessariamente ispirarsi, se commentiamo poi un evento sportivo il solone di turno ha già capito tutto in anticipo e sa bene come andrebbe affrontato e sconfitto l’ avversario del momento. Tutto insomma sembra risolversi felicemente. Poi accade di chiudere il giornale o il libro, di spegnere la televisione o disconnettersi al computer e ci si ritrova in un altro mondo: quello reale, purtroppo, sempre più incerto, precario e maledettamente “liquido” in cui si rischia di essere travolti e affogare. Antonio Filippetti
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