L’addio A DAVID FOSTER WALLACE
 







di Emanuele Trevi




David Foster Wallace

La statura del grande scrittore, a differenza di tanti suoi coetanei bisognosi di più lenti apprendistati, David Foster Wallace l’aveva già rivelata nel suo libro d’esordio, La scopa del sistema , pubblicato a venticinque anni. Era il 1987 e l’autore, ex promessa del tennis americano, era appena uscito dall’Amherst College, la testa piena di Derrida e di Foucault. Manco fosse un vecchio consumato a tutti gli esperimenti, aveva già sviluppato a un grado mirabile sia le risorse che derivano da uno stato di incanto, sia quelle che provengono dal disincanto. Nell’esistenza concreta, tenere in vita questo tipo di contraddizioni è a dir poco rischioso. Manierista di razza, David Foster Wallace ha sempre concepito l’immaginazione come il banco di prova di logiche ulteriori: più vere del vero, e più finte del finto. Qualcosa di simile doveva trovarlo sugli impervi altipiani della teoria matematica, addentrandosi peresempio in quel concetto di infinito che lo affascinava tanto da dedicarci un libro intero, illeggibile per i profani. Infinite Jest , poi, è anche il titolo del suo capolavoro, uscito nel 1996: più di mille pagine, senza contare - labirinto nel labirinto - le altre centocinquanta di note, stampate in corpo minutissimo. Ambientato in un futuro abbastanza prossimo, il romanzofiume procede con l’accuratezza della miniatura, del poème en prose . A parte le note, che spesso contengono pezzi di meravigliosa fattura, il saggismo prende spesso e volentieri il sopravvento, complice la volontà di tentare l’affresco, la sintesi significativa del mondo, vent’anni quasi esatti dopo L’arcobaleno della gravità di Pynchon. Ma come si vedrà anche meglio in molti racconti successivi (gli otto di Oblio escono nel 2004), il saggismo di David Foster Wallace non rappresenta una terraferma, un’isola nella corrente della visione. Come tanti scrittori prima di lui, anche l’autore di Infinite Jest ha volutosuggerire, con l’evidenza stessa della mole, un’enciclopedia. Ma un’enciclopedia davvero contemporanea, qui sta la novità, non può che essere un’enciclopedia senza un punto di vista . Anche il ragionamento più futile potrà produrre sublimi architetture di sillogismi, inaspettate simmetrie, colpi di scena rivelatori. È celebre una delle prime scene del romanzo, nella quale condividiamo, quasi in tempo reale, l’intera ridda dei pensieri, un vero inferno di ipotesi e di contro-ipotesi, di qualcuno che aspetta chiuso in casa l’arrivo di una ragazza che ha promesso di vendergli un certo quantitativo di marijuana. Il realismo grottesco, che è una delle grandi risorse di David Foster Wallace, nasce da una precisa e feconda intuizione: nel nostro mondo non c’è cosa così sciocca, futile, opinabile da non generare in alcuni un estremismo, una dedizione esagerata, una specie di mistica. È qui che lo scrittore attende al varco la sua umanità, quando un’acre venatura satirica prende il sopravventonella sua ispirazione. David Foster Wallace era un intellettuale coltissimo, una mente prodigiosa dove sedimentavano una enorme quantità di lessici, informazioni, citazioni. Ma non gli sfuggivano le supreme risorse dell’oralità: modi di dire, accenti locali, livelli sociali e indizi di gravi nevrosi... Si può leggere anche in italiano una lunghissima e appassionante recensione scritta nel 1999 in occasione dell’uscita del Dictionary of Modern American Usage di Bryan Garner (si trova nel volume di saggi titolato Considera l’aragosta , Einaudi 2006). Non è certo un caso se il 1999 è anche l’anno delle magnifiche Brevi interviste con uomini schifosi , che in questa direzione dell’analisi linguistica è il libro più riuscito e memorabile tra quelli scritti da David Foster Wallace. Alla vocazione enciclopedica di Infinite Jest , senza rinnegarla, si impone un ritmo diverso, un montaggio rapidissimo e imprevedibile di stili e registri, un caleidoscopio di prospettive. Si contano davvero sullapunta delle dita libri contemporanei così liberi e arditi nell’invenzione della struttura, nelle variazioni di tono che rendono ogni singolo brano un’avventura stilistica a sé. La disarticolazione come forma suprema e paradossale dell’unità di un libro: era la strada aperta dal vecchio Capote, da Musica per camaleonti alle Preghiere esaudite , e solo un talento supremo come quello di Foster Wallace è stato capace di proseguirla. Girata la boa del nuovo secolo, sono arrivati i racconti di Oblio (alcuni dei quali della lunghezza di un romanzo breve) a confermare i risultati raggiunti e insieme a sperimentare nuove strade. Ma quando abbiamo letto quei libri, avevamo la certezza di ammirare qualcuno con una lunga strada davanti a sé. Ora è inevitabile, oltre che molto triste, conferire la solennità di una «tappa» ai vari stadi di un avvenire che fino a ieri ci appariva del tutto aperto, ricco di sorprese, venato di una follia che poteva sembrare allegra. E in quello che ci era sembrato unpassaggio, o una premessa, siamo adesso costretti a riconoscere un bordo estremo, un testamento. Con sempre maggiore tenacia David Foster Wallace, nei racconti degli ultimi anni, aveva sviluppato una prodigiosa tecnica descrittiva, cesellando dettaglio su dettaglio con precisione fotografica, ai limiti del maniacale. Era in cerca di quel particolare grado di nitore che inevitabilmente finisce per suggerire l’allucinazione. Ma quanto più la pagina è gremita, senza distinzione tra spazi esterni e meandri della mente, tanto più in Wallace si incrina la stabilità minima richiesta a un punto di vista - per schifoso che sia. E certo, ogni racconto è infiltrato di menzogna, pensiamo di ascoltare un racconto e invece stiamo ascoltando una menzogna. Ma l’ultima, residua speranza di David Foster Wallace sembra essere stata riposta nell’involontario eccesso di ricchezza della visione, nel dettaglio periferico che appare trascurabile e in realtà è l’inizio di un altro mondo, il lampo dellapossibilità nella prigione della necessità. Ed è scontato che, rileggendo la sua opera, in qualcuno di quei dettagli riconosceremo l’indizio, l’annuncio - crittato ma evidente - del destino di chi l’ha scritta.de Il manifesto






2008-09-18


   
 

 

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