L’epoca in cui viviamo è probabilmente la più chiassosa (per usare un termine “lieve”) della storia. Basta guardarsi in giro per averne conferma. Tutti sembrano avere idee non da comunicare ma da gridare e per farlo usano tutti i mezzi (media) che hanno a disposizione. Gridano non solo i tifosi scalmanati nelle curve degli stadi, ma anche i politici, gli “opinionisti” ed altri esperti auto proclamatosi tali negli insopportabili talk shows che si susseguono da mattina a sera nelle varie televisioni e nelle stazioni radiofoniche, urlano i manifestanti nelle piazze anche per dare voce (è il caso di dirlo) ad istanze spesso create nel giro di poche ore e senza supporto critico; strillano i giovani nelle interminabili movide del sabato sera, nei bar, sulle metropolitane e altri mezzi di trasporto. Ma poi esistono per così dire anche altri modi di sbraitare cheriguardano le espressioni corporali, ovvero la tendenza sempre più diffusa a presentarsi e farsi notare in atteggiamenti “estremi”, anch’essi possiamo dire gridati, che intendono sottintendere una forma di minacciosa aggressività. In un panorama di questo tipo scompare ovviamente qualsiasi aspirazione alla razionalità, poiché tutto è affidato se così si può dire ad una “filosofia” della sopraffazione. Viene da chiedersi ovviamente a chi possa giovare tutto questo e se poi tutto ciò non sia in funzione di un disegno perfino involontario che mira a frastornare, a disorientare perché prevalga in definitiva un caos inconcludente e illegittimo. Qualche studio sociologico ha avanzato l’ipotesi che ci sia in questo un’ aspirazione alla “performance” vincente ossia la determinazione a sentirsi sempre e comunque il primo della classe, rompendo tutti gli schemi finora praticati. Alcune considerazioni fanno pensareperò anche ad altro. La determinazione a voler apparire sempre in prima fila, a sentirsi in qualche modo vincitori, viene considerata come un’espressione d’avanguardia, di rottura di tutti gli schemi; i paladini della storica contestazione degli anni cinquanta e sessanta la pensavano tuttavia diversamente; ad esempio, uno degli slogan più famosi della “beat generation” e di Jack Kerouac sollecitava una caparbia assenza dal contesto: “che tu sia sempre stupidamente assente” era uno dei motivi conduttori a cui attenersi, vale a dire il non farsi coinvolgere dalla realtà invadente, l’esatto contrario di quello che registriamo oggi. Ma poi c’è anche un’altra osservazione che riguarda l’esito di tutto il chiasso che ci circonda, vale a dire l’impossibilità di procedere in questo assordante bailamme ad una verifica e interpretazione raziocinante di ciò che accade. Non a caso sicuramente il finaledell’ultimo film di Federico Fellini, “La voce della luna” acquista il valore di una lucida ammonizione ed è racchiusa proprio nella battuta che pronuncia in chiusura il protagonista della storia, il poeta Ivo, che suona così: “se abbassassimo i toni, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”. E’ per così dire la rivincita del silenzio, ed anche il modo più eloquente per contrapporsi all’immarcescibile gabbia del nulla nella quale sembra essere rinchiusa la nostra esistenza. Antonio Filippetti |