Ogni periodo storico è contraddistinto per così dire dal sentimento che più l’ha segnato o in qualche modo caratterizzato, una specie di marchio di riconoscimento utile soprattutto per capire e far capire anche ai posteri quale sia stato l’atteggiamento (il mood) che l’ha segnato. Senza voler andare troppo indietro nel tempo, possiamo riconoscere alcune “etichette” che dal cosiddetto secolo breve giungono fino a noi. E’ storicamente riconosciuto in primis il marchio dell’età dell’ansia, espressione applicata felicemente al periodo compreso tra le due guerre mondiali (famoso in proposito un testo di W. H. Auden), laddove l’umanità tutta avvertiva un senso di allarmante provvisorietà destinato a sfociare proprio nel secondo tragico conflitto. Con il corollario non proprio felice dei timori derivanti dalle successive trame della cosiddetta guerra fredda. Il che ha fatto poi datransito per quella che è stata definita l’età dell’incertezza, l’aver perso in pratica convinzioni consolidate nel tempo per doversi affidare inesorabilmente all’onda incerta delle probabilità e del rischio. In un momento successivo, a noi più contemporaneo, si è prepotentemente imposta la stagione dell’incompetenza che per tanti versi non abbiamo ancora smesso di verificare. Grazie allo straordinario successo dei mezzi tecnologici di massa e allo strapotere dei social media, si è radicato infatti il convincimento sintetizzato nell’espressione dell’”uno vale uno”, vale a dire la presunzione di ciascuno di poter essere protagonista e veicolo di sapere, bypassando per così dire qualsiasi pratica di controllo e verifica. In altri termini si è consolidata la sensazione che a poco o niente serve studiare con continuità e metodo per attingere al sapere visto che all’occorrenza è sempre possibile servirsi di Wikipedia e sefacebook fornisce migliaia e migliaia di informazioni a getto continuo e per di più a costo zero. Il rifiuto più o meno consapevole della conoscenza e la sfrontatezza di poter discutere di tutto senza disporre di adeguate basi scientifiche o culturali per farlo, produce una società sempre più balorda, narcisista e autoreferenziale, pronta a discettare su tutto anche se in effetti non sa nulla. Dell’era dell’incompetenza si è occupato in uno studio accurato Tom Nichols, docente all’Harward Extension School, il quale ha evidenziato come questa situazione possa avere ripercussioni negative sulla democrazia. Ma lo stesso studioso ha preconizzato che questo stato di negazione della conoscenza potrà finire soltanto con l’avvento di una guerra o l’insorgere di una pandemia: previsioni in qualche modo apocalittiche che sembrano tuttavia quanto maiazzeccate se pensiamo a quello che stiamo al momento verificando nell’intero pianeta. E proprio alla luce di ciò che sta avvenendo pare profilarsi ora un nuovo orizzonte ovvero l’avvento di stagione che potremmo definire come l’età della rinuncia o della solitudine (in paradossale contrasto in questo caso con l’idea di poter essere perennemente “connessi”, ovvero in contatto col mondo intero). Difatti le limitazioni imposte da quasi tutti i governi per contenere la diffusione del covid 19 determinano una condizione di isolamento sociale, la rinuncia appunto alle relazioni interpersonali, con la conseguente risoluzione a nascondersi dietro la maschera protettiva, a ridurre drasticamente contatti di ogni genere. Anche qui viene in mente un precedente letterario illuminante, vale a dire quanto profetizzato da Aldous Huxley con la descrizione della società distopica rappresentata in “Brave New World”, laddovel’affermazione secondo cui “ognuno appartiene a tutti gli altri” sembra fare da vestibolo all’”uno vale uno” cui si è fatto cenno in precedenza. A ben guardare dobbiamo prendere atto di un’amara conclusione: tutte le definizioni con cui siamo soliti catalogare le recenti epoche della nostra vita volgono per così dire al peggio, infondono tristi presagi o addirittura incutono timori. E’ come se l’umanità non fosse mai (ancora?) riuscita a uscire da un raccapricciante terrore socio-esistenziale e a immaginare e costruire una società ispirata finalmente alla fratellanza e alla solidarietà. Antonio Filippetti |