Un paese in emergenza
 











Michel Bersce
Comunicazione
olio su tela cm 50x70

Si discute molto in questo periodo della situazione emergenziale che il nostro paese sta vivendo e dell’opportunità di imporre per via  governativa quelle misure restrittive applicabili appunto  esclusivamente  in condizione di emergenza nazionale. Molti giuristi vedono in questo un pericolo non di poco conto  se si pensa che tale imposizione   sospende di fatto  lo stato di diritto fondamentale in ogni democrazia liberale  preconizzando addirittura, senza ovviamente passare per il parlamento sovrano, lo stato di eccezione, tipico di  una situazione di vero e proprio conflitto bellico.
Si discuterà con ogni probabilità a lungo su  questa  situazione anomala creata ovvero imposta dall’epidemia da coronavirus e le  diverse formazioni politiche  si confronteranno  ancora aspramente, ciascuna tirando l’acqua al proprio mulino nella speranza di ricavare qualche profittodall’insolita contesa.  
L’emergenza  del momento, si dice, richiede misure straordinarie.  Il punto è questo, non tuttavia in senso strettamente giuridico ma per così dire  più pragmatico ed elementare. Viene infatti da chiedersi: abbiamo vissuto fino a ieri o l’altro ieri in condizioni normali? Ecco il  nodo fondamentale.  Chi impone oggi leggi emergenziali (ma non solo) dovrebbe farsi un esame di coscienza e valutare  la situazione con maggiore  obiettività. Come dobbiamo infatti rispondere ad un simile interrogativo? Vediamo solo alcuni aspetti, riferendoci a pochi punti nodali come la salute pubblica, la formazione, i trasporti, le relazioni umane.  E’ una condizione  di vita normale, ad esempio,  quella di un  cittadino che deve attendere anche un anno per una radiografia o una visita specialistica? O anche di quel sanitario che si vede aggredito e picchiato al pronto soccorso dove sta facendo il proprio dovere?E lo studente che si vede crollare in testa il soffitto della scuola dalla quale conta di  uscire oltre che illeso anche  con le   linee guida utili per  svolgere una vita civile,  magari senza doversene fuggire all’estero? E il viaggiatore pendolare che si aggrappa al treno dei sogni mattutino per recarsi al lavoro è registrabile in un vademecum   di normalità? E se poi nel tempo libero quello stesso sventurato   al bar o al ristorante si vede fatalmente   falcidiato per futili motivi  “altrui” e che   nemmeno lo coinvolgono? E’ ancora tutto perfettamente normale?  Possiamo affermare, infatti,  che tutte le strutture di competenza non si trovino in casi come questi – che sono all’ordine del giorno -  in uno stato di emergenza? Allora verrebbe forse da  specificare che c’è emergenza ed emergenza. Ma mentre quella “occasionale” può e deve finire, l’altra, quella diremmo endemica e strutturale,è perfino più pericolosa.  Del resto nel nostro paese, forse per pudore o per non cadere nel ridicolo, tra i tanti incarichi assegnati con   titoli talvolta  immaginifici, non s’ è mai pensato  a quello più utile e funzionale: avremmo cioè bisogno di un ministero ma anche di  tanti assessorati delegati all’emergenza, la sola, unica funzione di cui c’è assoluto bisogno e che, ahimè, non passa.  Ma  ammetterlo, mettiamo in mancanza di un’ epidemia, sarebbe  forse troppo scandaloso.
Antonio Filippetti






2020-09-03


   
 

 

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