Molti osservatori stranieri, ma anche del nostro paese, esprimono nutrite riserve sul cosiddetto governo giallo-verde, imperniato sul “contratto” tra i grillini ed i leghisti e non mancano anzi coloro che ritengono l’esecutivo in carica una vera e propria declinazione della commedia dell’arte. Ma più che al teatro il governo attuale fa pensare, specie se si fa riferimento alle ultime rivendicazioni del suo “leader maximus” , alla messa in scena cinematografica del capolavoro dei fratelli Marx, intitolato La guerra lampo dei fratelli Marx (in originale Duch Soup), soprattutto alla luce di determinati convincimenti popolari che vedono nel capo leghista una specie di dominus del nostro paese tanto è vero che comincia a circolare la definizione di Salvinia, come dire che la terra che ha dato i natali a Dante e Michelangelo, a Leopardi e GiuseppeVerdi sta diventando anche geograficamente proprietà privata del leader padano. Le coincidenze, a ben guardare, cominciano a essere davvero tante e paradossalmente assai sorprendenti. Il film in questione realizzato nel 1933 è un’illuminante parodia del fascismo e non a caso ne fu vietata all’epoca la diffusione sia in Italia che in Germania (proprio in quell’anno saliva infatti al potere il nazismo) ed anticipa di ben sette anni un’altra indimenticabile caricatura, quella di Chaplin de Il grande dittatore. La trama è semplice ma l’opera in questione è un capolavoro non solo per la recitazione dei famosi fratelli ma perché pone in essere una serie ininterrotta d’indimenticabili gag e situazioni comiche che oggi ci appaiono di una straordinaria attualità. Il film fa pensare, tanto per intenderci, proprio a Salvinia e agli altisonanti proclami del suo comandante. E’ presto detto. Al centro della trama troviamo un improbabile emaldestro dittatore (Firefly/Groucho) che è a capo del fantomatico stato di Freedonia; costui è andato al potere col sostegno economico e per volontà di una ricchissima vedova, (l’egemonia del denaro che tutto può) e oltre a imporre una serie di leggi bizzarre e impraticabili, dichiara guerra alla stato di Sylvania (altro nome di fantasia) in funzione di una smania di potere senza freni e fine a se stessa. Ogni sua azione risulta di una comicità demenziale senza limiti, le battute del film del resto fanno parte della storia della cinematografia mondiale. Per richiamare ad esempio un’assonanza col fuoco amico di cui riferiscono oggi le cronache politiche parlamentari, nel film il dittatore ordina a un certo punto di sparare senza rendersene conto sulle proprie truppe e una volta scoperto offre cinque dollari al proprio aiutante per non dirlo a nessuno, offerta che ritira subito dopo (“ridammi i cinque dollari e dillo pure a chi vuoi”). Ma ognicosa è tragicamente ridicola, a cominciare dai tempi della contesa: tutto si svolge freneticamente nell’arco di ventiquattr’ore, dalla dichiarazione di guerra del mattino alla stipulazione della pace con relativo ballo finale alla sera. Si tratta non a caso di un’opera che ha ispirato i maggiori autori satirici e non solo del cinema. Woody Allen, ad esempio, dichiarò che “La guerra lampo è uno di quei film che danno un senso all’esistenza umana”. E l’American Film Institute ha inserito la pellicola al quinto posto tra le migliori commedie americane di tutti i tempi. Naturalmente tra le numerose, acclarate deficienze della nostra classe politica c’è da segnalare la scarsa consuetudine con la cultura e, in questo caso, con l’arte cinematografica ed è anzi molto probabile che dei mille parlamentari di Montecitorio e Palazzo Madama ben pochi avranno visto questo (e altri) film se non altro utili per indurre a qualchefruttuosa riflessione, visto che più di ogni altro genere, la satira aiuta a capire il proprio tempo e migliorarsi; ma sarebbe oltremodo auspicabile se anche le reti televisive, che continuano a riproporre come un’ossessione maniacale sempre gli stessi stupidi film, pensassero ad integrare almeno i propri palinsesti con opere come questa per dare se non altro ai teledipendenti la possibilità di riflettere, magari involontariamente, sui guasti correnti, facendo ricorso a una “memoria” che appare, al momento, sempre più labile e “liquida”. Antonio Filippetti
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