Poiché l’archeologia, come suggerisce l’etimologia, è LA scienza di ciò che è antico, essendo la storia la scienza delle cose passate, si potrebbe ritenere quindi parente prossima della storia e la si è detta e la si dice ancora scienza ausiliaria della storia. Ma è più corretto considerarla come la stessa forma della storia quando, venendo a mancare le fonti scritte, lo storico deve fondare la sua ricerca sui monumenti e su tutte le tracce che la vita umana ha registrato, o anche soltanto dimenticato, nel terreno. L’archeologia non è dunque al servizio della storia, perché essa stessa è storia. Occorre che questo principio sia affermato con chiarezza e forza contro coloro che non vogliono riconoscere la storia se non nei testi, come – e ancor più – contro coloro che, per indolenza e per quietismo, s’adattano facilmente a una archeologia contenuta in modesti limiti. La contestazione dei primi non è che una discussione terminologica. Più dannosi sono i secondi, che vorrebbero ridurre l’archeologia a una vacuità condensata in tre parole: dilettantismo, collezionismo o, ancor peggio, mestiere. L’archeologia è un’attività fascinosa, perché gli uomini sono sempre andati alla ricerca di tesori. Solo l’archeologia offre la possibilità di trovarne, al giorno d’oggi. Oltre al fatto che l’esercitarla non costa mai troppo caro e si svolge quasi sempre all’aria aperta, essa permette, con l’aiuto dell’immaginazione, di guadagnare un po’ di quel prestigio che gli ultimi esploratori del nostro mondo vengono a ridurre in spiccioli in sale d’ascolto o in TV a vantaggio di un pubblico non specializzato. Francamente, non è il caso di adombrarsi contro gli scavatori d’altri tempi, cercatori del pezzo bello o di curiosità: è uno stadio sorpassato, ma non abbastanza. Sono ancora rari gli scavatori che s’impegnino – e siano adatti – a condurre uno scavo dal primo colpo di piccone alla pubblicazione finale, traendo dal terreno tutto ciò che esso racchiude, per la nostra conoscenza del passato. Nessuna scienza ha più empirici dell’archeologia, non soltanto tollerati, ma stimati e ammirati dal pubblico. Tutto continua come se l’archeologia dovesse rimanere un’avventura riservata a praticanti di buone intenzioni, scavatori domenicali, boy-scouts o pensionati: si sa, del resto, che il pieno tempo archeologico non è ancora, in Italia, che un pio desiderio. Se si vuole considerare che le vestigia del passato contano fra i beni più preziosi dell’umanità, si può dire che l’archeologia è una delle scienze più antieconomiche, perché distrugge la quasi totalità di ciò che incontra nella sua ricerca: i documenti che riporta alla luce e che sono raccolti mei musei (quando non si smarriscono nel tascapane degli scavatori) non sono più, per la nostra conoscenza del passato, che un residuo, di fronte alla ricchezza che rappresentava il terreno archeologico quando era intatto. Si dice talora che questi oggetti in nessun luogo sono più sicuri che nella terra. Occorre aggiungere che soltanto là essi mantengono il loro significato scientifico potenziale. Questi oggetti, queste vestigia, in realtà, non hanno senso che nel loro contesto, nella loro situazione reciproca, nella loro totalità. I secoli XIX e XX appaiono già oggi, agli occhi degli archeologi del XXI, l’epoca di un irrimediabile vandalismo. Noi abbiamo consentito – anche per incuria di nostri governanti solo in turpi vicende affaccendati - che fosse distrutto tutto ciò che rendeva possibile un’archeologia. Immaginiamo un archeologo del 2100 ridotto a scrutare non un giacimento, ma uno sbancamento, e scavare ciò che è stato lasciato non dagli uomini d’un lontano passato, ma da noi stessi. “Già coloro che vogliono lavorare a Cartagine – scriveva Georges Ville nel 1972 - sanno che a loro occorrerà talvolta, per localizzare questa iscrizione o quella pietra, rifare la biografia del Delettre, che fu il più celebre scavatore e distruttore della città antica”. E’, ciò meditando, che riprendiamo il nostro viaggio per regioni e città del Mediterraneo, percorrendo il Nord-Africa da Tanis a Cartagine e da Cartagine a Lixos, per poi raggiungere, tornando in Europa, la spagnola Cadice. T a n i s. l’egizia Sa’na, oggi Sen-al-Hagar, è una città dell’antico Egitto, sita su uno dei rami del Delta, La località, scavata da Augusto Mariette (Boulogne 1821- Cairo 1881) e, più tardi, da Sir William M. Flinders Petrie (Charlton 1893- Gerusalemme 1942), fu oggetto di una ventina di campagne a opera di una missione francese a partire dal 1929. Non tutti concordano sull’importanza di Tanis nel Regno Antico, perché le iscrizioni deli antichi Faraoni Pepi e Unas, ivi rinvenute, potrebbero essere state oggetto di reimpiego. Così pure si discute se debba essere identificata con Avaris, la piazzaforte degli Hyksos. Certo è che, dopo la loro cacciata, rimase pressoché in abbandono durante tutta la XVIII dinastia e rifiorì soltanto per il favore di Ramesse II (1301-1235) a.C.) che vi era nato e che la valorizzò come centro militare sulla via per l’Asia. Egli vi costruì un grande Santuario di Amon di cui resta nen poco: colossi, obelischi e statue di sfingi. Sotto la XXI dinastia (1085-950 a.C.) Tanis divenne capitale, pur mantenendo l’aspetto di una città piuttosto borghese, con piccole case e giardini. Le tombe di diversi Faraoni, tanto della XXI quanto della XXII dinastia (950-730 a.C.) furono scoperte nel 1940 presso un angolo del grande tempio di Amon: quella di Psusenne I na restituito una bella maschera d’oro del sovrano e quella di Senonchi III il sarcofago d’argento. In seguito, la prevalenza di Sais interruppe lo sviluppo di Tanis, che continuò tuttavia a essere un centro prospero fino all’età romana. A l e s s a n d r i a d ’ E g i t t o fu fondata da Alessandro Magno nel 332-331 a.C., tra il Mediterraneo e il Lago Mariùt, di fronte all’isola di Faro, secondo un piano urbanistico dell’architetto rodiese Dinòcrate, eseguito da Cleomene di Naucrati. Nel giro di pochi anni essa sostituì completamente le antiche capitali egizie, come Menfi, e divenne uno dei centri più importanti della vita politica, culturale e religiosa del mondo antico: ruolo che sostenne fino alla conquista araba del 642 e alla fondazione del Cairo. Gli antichi autori, specialmente il geografo Strabone di Amasea (63 a.C. – 19 d.C.), descrivono Alessandria come una città grandiosa, ma la maggior parte dei suoi monumenti è scomparsa, anche a causa delle costruzioni dell’Alessandria moderna, a partire dall’inizio, nel sec. XIX, dell’età dell’oro dei “palazzinari”. I primi studi sulla città antica si debbono a El-Falaki (1872), che ne pubblicò una pianta ancora oggi valida. Importanti scavi furono eseguiti alla fine del sec. XIX sotto la direzione di Von Sieglin; altri ebbero luogo in seguito, in parecchi quartieri della città, soprattutto in periferia e nelle necropoli, spesso diretti da Evaristo Breccia (Offagna 1876 – Roma 1867) e altri studiosi italiani. Prima della fondazione di Alessandria, la località era stata occupata in due siti: a Rakotis, un avamposto faraonico sul mare, e nell’isola di Faro, davanti alla quale le ricerche submarine hanno rivelato grandi dighe che probabilmente risalgono al II millennio a.C. Ma i più grandi monumenti furono costruiti in età tolemaica. Dopo la conquista romana del 30 a.C., l’attività edilizia si rallentò, ma si riprese durante l’impero di P. Elio Adriano ( 117-138) e di Antonino Pio (138-161). Nel sec. IV si costruirono basiliche cristiane, mentre andavano distrutti grandi santuari pagani (come il Serapeo, tempio di Serapide, dio egiziano dell’oltretomba e dei defunti, invocato nelle malattie, per ottenere da lui la salute) nel 389 da Teofilo d’Alessandria. La città aveva la forma di un rettangolo allungato, con una pianta a scacchiera tipicamente ellenistica: si estendeva per 30 stadi, su una profondità da 7 a 8 (= km. 6,3 x 1,3), ed era racchiusa in una cinta muraria di circa 15 chilometri. L’asse urbanistico era la Via Canòpica (oggi Via Rosetta), una delle sette arterie longitudinali, da oriente a occidente, intersecate da undici vie dirette da mezzogiorno a settentrione. I piani visibili sembrano essere stati rialzati a più riprese, dall’età tolemaica alla bizantina. Almeno un terzo dell’area urbana era occupato dai palazzi reali con le loro dipendenze. I sobborghi principali portavano i nomi di Eleusi e Nicopoli. Di grande importanza erano i due porti, il maggiore a est e il minore, detto Eunosto (= del buon ristorno) a ovest, collegato all’isola di Faro mediante una diga chiamata, per la sua lunghezza, l’Eptastadio. Sono stati trovati pochi monumenti che risalgano all’età tolemaica, all’infuori di numerose colonne, rinvenute sporadicamente in tutti i quartieri della città; se ne ricordano i mosaici, come quello degli Amorini cacciatori, eseguito con piccoli ciottoli, del sec. III a.C. Si conosce l’ubicazione di tre templi: quello di Iside, che le tavolette di fondazione fanno risalire a Tolomeo III (246-221 a.C.), il Serapeo, fondato da Tolomeo IV (221-205 a.C.), e il Cesareo, davanti al quale si trovavano due obelischi, ora l’uno a Londra e l’altro a New York (!). Incerta rimane invece l’ubicazione della tomba di Alessandro, forse collocata nell’interno stesso della città. Noti per l’importanza nella storia della cultura sono il tempio delle Muse, o Museo, con l’annessa Biblioteca, la più grande dell’antichità, distrutta all’atto della conquista araba. E’ stata scavata pure una parte delle numerose necropoli, come quella detta di Mustafà Pascià. Le tombe erano di vari tipi: in superficie, sormontate da piccoli monumenti funerari,oppure a ipogeo. Nelle più antiche le camere funerarie erano disposte sia ai lati di un asse, sia intorno a un peristilio, come una vera casa. Non mancavano ambienti circolari o altri, convenzionalmente chiamati catacombe (di Mex o del Wardian). Caratteristica è una tomba del cosiddetto Cimitero Latino, interamente costruita con lastre di alabastro. Il Museo Greco-Romano di Alessandria documenta in modo speciale l’architettura e la scultura ellenistica, sulla base dei ritrovamenti della città e dell’intero Egitto. Fu a lungo diretto anche da Italiani. C i r e n e, città della Cirenaica, derivò il suo nome da quello libico dell’asfodelo. Fu fondata nel 631 a.C. da coloni venuti da Thera (Santorino) e visse a lungo indipendente sotto Re dai nomi Batto e Arcesilao che si alternavano. Alle dipendenze dell’Egitto dopo la conquista di Alessandro, fu lasciata in eredità al popolo romano da Tolomeo Apione nel 96 a.C. Decadde alla fine dell’Impero e scomparve con l’invasione araba. Fino al 1940 fu oggetto di importanti scavi italiani, cne misero in luce alcune parti dell’antica città. L’Area del témenos di Apollo, a nord-ovest, presenta un gruppo di edifici ellenistico-romani singolarmente disposti intorno a un dorico tempio di Artemide. La zona dell’Agorà e del Foro, detto il Cesareo, si stendeva lungo la via principale di un impianto urbanistico ortogonale svolgentesi all’incirca da oriente a occidente. Oltre alle consuete piazze porticate, vi si trovavano edifici a càvea e alcune case, fra cui importanti quelle dette di Giasone Magno e delle Muse, con pavimenti a mosaico. La collina di Zeus Liceo, detto abche Amon, Olimpio e Sotér, a nord-est, era occupata dal tempio di queste divinità, indicato dagli archeologi, per l’importanza delle rovine e dei reperti, come il Gran Tempio, sulla datazione del quale ancora si discute: 540, 520 o 450 a.C. Ai margini estremi della città sorgevano a oriente uno stadio e a occidente un teatro. Una parte delle necropoli, che si estendevano intorno a Cirene, per un’area di kmq. 30, è stata esplorata: esse sono importanti per la varietà e la ricchezza delle tombe, sia ipogee e rupestri che a tempietto, e dei sarcofagi. Le rovine di Cirene hanno pure restituito gran copia di sculture a pieno tondo, tra cui una testa di Zeus, riconosciuta come una delle più notevoli copie dell’originale fidiaco di Olimpia, e la Venere di Cirene, oggi conservata nel Museo delle Terme di Roma. I reperti archeologici di Cirene sono variamente distribuiti tra il Museo delle sculture monumentali, il Museo epigrafico, l’Antiquarium (piccoli bronzi e sculture decorative) e vari magazzini per la ceramica e i pezzi in restauro. L e p t i s M a g n a è città antica della Tripolitania, a est di Tripoli, alla foce dello Uadi Lebda. La sua fondazione da parte dei Fenici risale a un’epoca ancora indeterminata. Durante tutta la sua storia, ha sempre avuto grande importanza quale sbocco marittimo delle vie carovaniere e commerciali che si addentravano nell’entroterra africano. Ricerche eseguite nel sec. XVII dal Console francese a Tripoli condussero alla scoperta di numerose colonne, che furono inviate in Francia. A partire dal 1921 grandi scavi italiani hanno riportato alla luce la maggior parte dei monumenti di Leptis. Oggi gli scavi proseguono. Allo stato attuale, dopo parecchie ricostruzioni e anastilosi, le rovine di Leptis Magna costituiscono uno dei complessi archeologici più importanti che si possano visitare. Il teatro e il mercato, al centro della città (una piazza rettangolare con due edifici ottagonali) risalgono all’età augustea. Un po’ più tardi, in età neroniana, si pose mano alla costruzione di un grande porto, circondato da banchine e protetto da due potenti moli: all’estremità di uno di essi era stato innalzato un faro, a imitazione di quello di Alessandria. Fra l’area della città , a planimetria ortogonale, e il Uadi Lebda, era stata tracciata una via colonnata monumentale, simile a quelle delle città asiatiche, che costituiva uno degli elementi caratteristici della sistemazione urbanistica di Leptis Magna. Ma la costruzione dei monumenti più notevoli della città si deve agli Imperatori della dinastia dei Severi (193-217 d.C.), specialmente a Lucio Settimio Severo, nato a Leptis Magna nel 146: innanzi tutto il Foro, vasta piazza porticata di m. 100 x 60, sui cui lati brevi si aprivano a occidente un tempio octastilo, di tipo italico, con alto podio, e a oriente la Basilica Severiana, concepita secondo il modello della Basilica Ulpia del Foro Traiano di Roma, sia nel rapporto con la piazza del Foro che nella sua stessa planimetria, con due absidi sui lati brevi. La basilica di Leptis Magna si distingue per la ricchissima decorazione scolpita, specialmente lungo i pilastri alle testate delle absidi, con motivi tratti dal repertorio dei cicli di Dionisio-Bacco e di Ercole. Più tardi,questo edificio fu trasformato in Chiesa cristiana. Si trovano a Leptis Magna anche due archi: il più antico è un tetrapilo di età traianea, piccolo ma elegante, sia come struttura che come decorazione; il secondo, più grande quadrifronte, di Lucio Settimio Severo, sito all’incrocio del decumano con il cardine massimo. Dei rilievi, oggi al Museo di Tripoli, oltre alle figure decorative (Vittorie, etc.), specialmente importanti sono i grandi pannelli che rivestivano tre lati dell’attico, raffiguranti una cerimonia trionfale e altre cerimonie alla presenza della famiglia imperiale. Sono sculture di importanza fondamentale sia per l’iconografia che per la composizione e lo stile, che è stato ricollegato con quello della famosa scuola di Afrosisia, città greca dell’Asia Minore, facendo formulare l’ipotesi della permanenza di un gruppo di quegli artisti appositamente recatisi a Leptis Magna per l’esecuzione delle parti ornamentali degli edifici severiani. Come per i rilievi della basilica, si tratta di uno stile di derivazione ellenistica, fortemente pittorico e chiaroscurale, con una spiccata tendenza verso forme ormai chiaramente tardo-antiche, quali la frontalità e i compiacimenti disegnativi. Completano la serie dei monumenti di Leptis Magna l’anfiteatro. il circo, il teatro, di cui è stata parzialmente ripristinata la columnatio della scena, le terme di età adrianea e le ville suburbane con pavimentazione a mosaici. Le necropoli presentano alcuni interessanti mausolei a torre con edicola colonnata su alto podio. Altra città costiera della Tripolitania è S a b r a t h a, a 70 chilometri circa a occidente di Tripoli. La città è una fondazione fenicia allo sbocco delle vie commerciali provenienti dall’interno del continente africano. Grandi scavi condotti da archeologi italiani tra le due guerre mondiali hanno riportato alla luce una parte notevole dell’abitato antico. Gli elementi preromani sono rari e nessuno sembra risalire oltre il sec. V a.C. In età romana, nei ss. II-III d.C. Sabratha conobbe la maggiore prosperità, quando una statio Sabrathensis fu collocata tra le sedi di rappresentana dei principali centri mediterranei nel piazzale delle Corporazioni di Ostia. La planimetria di Sabratha mostra l’inserzione di un reticolato ortogonale su un impianto irregolare punico preesistente. Intorno al Foro si disponevano il Capitolium, la Curia a nord e la Basilica, trasformata poi in Chiesa cristiana a sud. Fra i templi sono stati esplorati quelli di Ercole, di Iside, di Serapis e altri. Dei numerosi edifici pubblici ritrovati il più notevole è il teatro, costruito tra la fine del II e i primi del III secolo d.C. Esso è stato sottoposto a importanti restauri: è stata eseguita l’anastilosi dell’intera frontescena, a tre piani, cosicché attualmente l’edificio è uno dei teatri romani meglio conservati e conosciuti. La complessa columnatio incominciava con grande abbondanza di colonne di marmo (scanalate, tortili, etc.) e le tre porte tradizionali sul fondo della scena stessa, con una ricca alternanza di linee rette e curve. L’aspetto generale di questa costruzione si richiama ai ninfei ed è stato ripreso nel famoso Settizonio di Roma. Le nicchie del pulpitum erano, poi, ornate di rilievi diversi, con personaggi mitologici e scene allusive ai rapporti tra Sabratha e Roma. L’anfiteatro era stato costruito a circa un chilometro a est della città. entro una latomia abbandonata. L’arena misurava m. 65 x 49 ed era completata da impianti sotterranei. Le case, per lo più del tipo a peristilio, spesso fornite di ambienti semisosotterranei, hanno restituito mosaici e frammenti di pitture. Danneggiata da incursioni degli Austuriani nel 333-366, Sabratha ebbe le mura diroccate dai Vandali. Dopo due secoli di decadenza, conobbe una brillane, ma effimera, rifioritura con Flavio Anicio Giuliano Giustiniano. A questo periodo risale la basilica paleo-cristiana scoperta presso il Foro, il cui pavimento a mosaico è uno dei più belli tramandati dall’Africa romana. Il Museo Sabrathense, fondato nel 1932, contiene soprattutto sculture e mosaici recuperati negli scavi. El-Jem ( T h y s d r u s ), città romana del Sahel tunisino, a km. 60 a sud di Susa, acquistò ugualmente grande importanza nei ss. II-III d.C. come capoluogo di una regione agricola, la cui prosperità si fondava sulla coltivazione dell’ulivo. Un grande anfiteatro, costruito nel sec. III era tra i più vasti del mondo romano: m. 148 x 122. Lo stato di conservazione è notevole, sebbene costruito in pietra piuttosto friabile, che obbligò i costruttori a erigere murature di eccezionale spessore. Gli scavi hanno ricuperato, inoltre, un numero considerevole di ville con cortile interno, talora ornate da mosaici: i più frequemi illustrano temi dionisiaci o venationes, le cacce nell’anfiteatro. M a h d i a è un porto della Tunisia, fraSusa e Sfax, al largo del quale si scoprì, nel 1907, il relitto di una nave antica, carica di opere d’arte, capitelli e colonne. Esplorato fra il 1907 e il 1911 e di nuovo dopo la seconda guerra mondiale, il relitto di Mahdia ha restituito, fra l’altro, frammenti di grandi crateri di marmo e parecchi bronzi, fra i quali un Hermes, che formava un gruppo con la statua di un giovane alato (probabilmente copia dell’Agon di Boethos) e alcune danzatrici, espresse alcune con tratti caricaturali. Tutto il materiale si trova oggi al Museo del Bardo di Tunisi. Si è potuto accertare che la nave aveva imbarcato il carico ad Atene, dopo il saccheggio della città da parte di Lucio Cornelio Silla nell’86 a.C. ed era probabilmente diretta a un porto italiano. Di S u s a (Hadrumetum, Scusse), porto prima punico, poi romano, della Tunisia, a km. 143 a sud di Tunisi, sul golfo di Hammamet, non si conosce la data esatta della fondazione, ma i monumenti più antichi si trovano nel tophet, dove i loculi con le ossa dei bambini sacrificati (sostituiti, in età romana, da animali) si accompagnano a a ceramiche dei ss. VII-VI a.C., che segnano la data più antica accertabile. Divenuta romana, Susa conobbe il suo apogeo tra il II e il III secolo d.C. Il suolo ha restituito poche tracce architettoniche, all’infuori di alcune cisterne, ma una numerosa serie di notevoli mosaici, fra i quali il famoso ritratto di Virgilio fra due Muse. Alcune catacombe furono scoperte nel 1885 ed esplorate a partire dal 1903. La maggior parte del materiale rinvenuto a Susa - e specialmente i mosaici – si trova ora al Museo del Bardo a Tunisi. Q a r t H a d a s h t, ossia in fenicio “città nuova” (Karchedòn, Carthago, Cartagine), celeberrima città punica dell’Africa settentrionale, la cui cittadella si chiamava Byrsa, sita a pochi chilometri a nord- est di Tunisi, era detta fondata nell’ 814 a.C. da Didone, figlia del Re Mutto (o Belo?) di Tiro, sposa di Sycharias (Sicheo, il Sychaeus di P. Virgilio Marone), che suo fratello Pigmalione le uccise, avido dei suoi tesori. Didone fuggì in Africa, dove il Re Jarba le concesse tanto terreno quanto poteva contenerne una pelle di bue; essa tagliò la pelle in listelli sottilissimi, così da poter segnare tutto il territorio su cui sorse Cartagine, di cui fu, oltre che fondatrice, prima Regina. Rifiutò le proposte di Jarba, che la chiese in isposa, uccidendosi su un rogo. Secondo Virgilio essa si sarebbe invece uccisa per amore di Enea, suo ospite e amante, che l’aveva abbandonata. La città crebbe in breve ed ebbe il dominio del Mediterraneo. Dal sec. V in lotta con i Greci di Sicilia, dal 264 al 146 fu in lotta coi Romani, che la distrussero, per opera di P. Cornelio Scipione Emiliano. Il territorio fu ridotto a provincia col nome di Africa. Gli scavi del tophet hanno condotto, dopo la seconda guerra mondiale, alla scoperta di una cappella, che si ha motivo di far risalire alle origini stesse di Cartagine: vasi greci nel deposito di fondazione non potrebbero risalire così indietro come vorrebbe la tradizione e pertanto la data di fondazione deve essere collocata a metà circa del sec. VIII a.C. Nonostante numerosi altri scavi, iniziati nel 1880, si conosce ancora male la città punica. La distruzione ordinata da Scipione Emiliano nel 146 a.C. e quelle operate dagli stessi cittadini punici nell’estrema difesa della città durante l’ultimo assalto dei Romani e, più tardi, lo sviluppo della Cartagine romana hanno cancellato la maggior parte delle vestigia anteriori. Inoltre, non sempre gli scavi sono stati condotti [lo accennavamo agli inizi del nostro dire] con il dovuto rigore. Del formidabile sistema difensivo, cui gli antichi attribuivano un circuito pari a km,33, si è rintracciato, nel 1949, soprattutto con la foto aerea, il fossato che sbarrava l’istmo fra il lago di Tunisi e l’attuale Sebka er Riana. Dopo varie controversie, si è ora d’accordo nel riconoscere i resti di due porti artificiali nelle lagune ancora visibili nei pressi del tophet di Salammbò: un porto mercantile di quattro ettari, rettangolare, oltre il quale si trovava il porto militare di otto ettari, circolare, in fondo al quale si è rinvenuto un lastricato. La piccolezza di queste dimensioni si spiega con la consuetudine fenicia di tirare al secco le navi sulla banchina: il porto militare poteva, secondo le fonti letterarie, ricevere nelle rimesse che lo circondavano 220 navigli. Eccetto la cappella citata e il tophet, non si conoscono altri sabtuari. E’ molto se, sull scorta di fonti letterarie, si identifichi il sito dell’acropoli della Byrsa e del quartiere detto Megera. Sotto il livello romano, si ritrovano le fondazioni di qualche casa, che risale all’epoca dell’indipendenza, come sulla collina di S. Luigi, sebbene taluni pensino trattarsi di unprimo livello romano. L’indagine archeologica ha soprattutto messo in luce delle tombe. I Cartaginesi praticavano l’inumazione e, meno frequentemente, la cremazione. Nei ss. VII-VI a.C. i ricchi usavano tombe in muratura; più tardi apparvero le tombe a pozzo, alcune delle quali potevano giungere fino ai m. 30 di profondità. Nel sec. V a.C. appaiono stele funerarie a edicola, di tipo egittizzante, seguite, nei secoli successivi, da schemi ellenistici. Non mancano sarcofagi cartaginesi con la maschera del defunto scolpita sul coperchio. La citata necropoli di Salammbò conteneva anche i resti di bambini, nel medesimo tempo deposizioni funebri e testimonianza di sacrifici umani. Nel 123 a.C. il Tribuno Gaio Gracco volle inviare una colonia sul sito della città distrutta e maledetta, ma questa Colonia Iunonia sembra che sia rimasta allo stato di progetto, per le vicende politiche del 121. Con Gaio Giulio Cesare si ebbe una fondazione durevole. Nel 44 a.C., poco dopo la sua uccisione, ma in ottemperanza di una legge da lui voluta, i Romani fondarono la nuova città di Carthago, che, già sll’epoca di Cesare Ottaviano Augusto e di Claudio Nerone Tiberio si era così sviluppata che la residenza del Proconsole d’Africa vi venne trasferita da Utica. Nel sec. IV d.C. il poeta Decimo Magno Ausonio saluta Cartagine come la seconda città del mondo, dopo Roma. Al suo apogeo, doveva aver raggiunto i 300.ooo abitanti. La fondazione cesariana occupava uno spazio modesto dietro la collina dell Byrsa e si conformava ancora ai criteri d’una centuriazione di tipo repubblicano. La colonia di Cesare Ottaviano Augusto fu costruita secondo un nuovo piano regolatore, il cui centro si trovava sulla sommità della Byrsa, su una superficie quadrata di 315 ettari, non fortificata. Vie spaziose, fino a m. 12 di larghezza, s’incrociavano ad angolo retto, formando insulae di m. 148 x 35,5. Come la Cartagine punica, anche quella romana non ha conosciuto scavi regolari, ma una moltitudine di piccoli sondaggi dispersivi e e ineguali, spesso provocati da circostanze fortuite, come la costruzione di innumerevoli ville moderne, che a lungo condizionarono l’archeologia cartaginese. Ingranditasi sotto P. Elio Adriano, Antonino Pio, i Severi e ancora all’epoca di Costantino il Grande, la Cartagine romana aveva un Capitolium a nord-ovest, un circo e un anfiteatro, dove, all’nizio del sec. III subirono il martirio le Sante Felicita e Perpetua. Si trovano a nord le imponenti cisterne della Malga, che forse risalgono al primo stanziamento cesariano, ad est l’Odeon di Settimio Severo e il teatro, a sud lrgrandi terme di Antonino, tra le più vaste del mondo romano. Le cisterne di Bordj Djedid potevano contenere 30.ooo metri cubi di acqua. I grandi magazzini portuali furono distrutti nel 311 e ricostruiti pochi anni dopo. La Cartagine cristiana contava alcuni grandi santuari: i Templa Maiorum, delle SS. Felicita e Perpetua, il Templum S. Cipriani e la basilica più grande di tutte, a Damus el Marita, che era anche la più grande dell’Africa. Essa comprendeva una grane sada a 11 navate, preceduta da un vestibolo semicircolare porticato; l’abside primitiva, del sec. IV, era rivolta a occidente; in età bizantina se ne aggiunse una sul lato lungo sud-orientale.. Dietro la basilica si trovava il Baptisterium, quindi un cortile porticato circondato da ambienti di incerta destinazione. Si è scavato un certo numero di ricche dimore, che hanno restituito soprattutto dei mosaici. Fra i più notevoli si citano quello del dominus Iulius (al Museo del Bardo a Tunisi) e il mosaico dei cavalli nell’Antiquarium di Cartagine, databile verso il 300, che rappresenta cavalli da corsa, il cui nomeè indicato sotto forma di rebus: esso testimonia il favore che l’ippica riscuoteva anche a Cartagine. Dopo l’arrivo degli Arabi la città fu a poco a poco abbandonata per la vicina Tunisi. Il Museo di Cartagine, che raccoglie reperti di scavo locali, è collocato nel Convento dei PP. Bianchi sulla Collina di S. Luigi, dov’era l’antica Byrsa. U t i c a (Bu-Shater), sempre in Tunisia, sul Mediterraneo, a nord-ovest di Cartagine, fu prima colonia dei Tiri, poi alleata e vassalla di Cartagine. Nella III Guerra Punica si dichiarò in favore di Roma e, distrutta da Cartagine, fu, ricostruita, la capitale e il primo centro commerciale della provincia d’Africa; fu uno degli ultimi baluardi della resistenza dei Pompeiani e vi si suicidò nel 46 a.C. Catone l’Uticense, bisnipote di Cato priscus Censorius (239-147 a.C.). I Vandali la presero nel 439 d.C. Gli scavi, prima sporadici, poi dal 1948 regolari, non avendo messo in luce tracce anteriori al sec. VIII a.C., ci permettono di considerare la sua fondazione contemporanea a quella di molte altre colonie fenicie della regione. Le vaste necropoli attestano la ricchezza di Utica durante il lungo periodo in cuirimase dominio punico. Il passaggio, nel 146 a.C. nell’orbita romana le procurò inestimabili vantaggi. Gli scavi hanno rivelato, pe questo periodo, la presenza di una città di tipo ellenistico, che estendeva i suoi quartieri residenziali anche sulle aree di precedenti necropoli. Sotto l’Impero, Utica cedette davanti alla nuova Cartagine. divenuta capoluogo della provincia, mentre il suo porto, assai presto insabbiatosi, non poté più tener testa alla concorrenza della rivale. Tuttavia le case di Utica testimoniano il permanere di una certa floridezza: alcune hanno parti risalenti all’età repubblicana, con mosaici che sono tra i più antichi dell’Africa. Scarsi sono invece i resti paleo-cristiani. L’Antiquarium Uticense conserva i reperti degli scavi dal 1948 in poi; il materiale precedente è invece disperso in diversi musei. A n n a b a (Hippo, Ippona, Bona), porto algerino alla foce dell’Ubus (Seybous), è una località di origine fenicia, forse pre-cartaginese; dal 146 a.C. fece parte del Regno di Numidia, esercitando per qualche tempo le funzioni di residenza reale, onde il nome di Hippo Regius. Divenne romana nel 46 a.C. Gli scavi, attivamente condotti dopo la seconda guerra mondiale. Hanno messo il luce il quartiere del Foro (m. 76 x 43), dove si è scoperto un notevole trofeo bronzeo, da attribuirsi a età cesariana e da riconnettersi con l’esaltazione delle vittorie del condottiero contro i Pompeiani. L’epigrafe sul pavimento del Foro nomina il Proconsole C. Peccio Africano (78 d.C.). Il suolo della città ha restituito anche un teatro dal diametro di m. 100, terme e ville con numerosi mosaici, fra cui una Caccia, che si può accostare alla Grande Caccia di Piazza Armerina, e un Trionfo di Nettuno e Anfitrite, oggi al Louvre. Notevole è anche il complesso deigli edifici episcopali dei ss. IV-V, tanto più interessanti in quanto la città fu la sede episcopale di S. Agostino, che vi morì, durante l’assedio dei Vandali, nel 430. Il Museo Archeologico di Annaba contiene soprattutto mosaici e sculture di provenienza locale. G e m i l a, città romana a est di Algeri, stanziata sul sito di un agglomeramento probabilmente berbero, come suggerisce il suo antico nome di Cuicul, conobbe il suo apogeo nei ss. III-II a.C. La sua rinomanza è dovuta non tanto alla sua importanza quanto alla regolarità degli scavi, eseguiti dal 1909, che hanno riportato alla luce uno dei più vasti - e belli - centri urbani dell’Africa settentrionale. LA città si sviluppò inizialmente coi quartieri settentrionali: questa prima Gemila era divisa, nel senso della lunghezza, da una grande arteria pressoché rettilinea, che seguiva un asse nord-sud, costituendo il cardine massimo. Al centro, essa fiancheggiava il Foro, intorno al quale si addensavano il Capitolium, il tempio di Venere, la Curia, le terme e la basilica. In seguito, la città si sviluppò a sud, prolungando il cardine fino a raddoppiarne la lunghezza. Un Foro nuovo fu costruito nel punto di congiunzione tra il vecchio e il nuovo quartiere, insieme con delle terme monumentali. In età cristiana, fu edificato il complesso dell’Episcopio, dotato di due basiliche parallele. Gli scavi hanno riportato alla luce molti mosaici di grande interesse, con temi dionisiaci e marini (una Venere marina e un Trionfo di Anfitrite), e un grande pavimento, detto dell’asino, databile tra il V e il VI secolo d.C. C e s a r e a d i M a u r i t a n i a, la punica Iol, oggi Cherchel, anch’essa sulla costa mediterranea dell’Africa, a 96 chilometri da Algeri, fu capitale della Mauritania e raggiunse il maggiore splendore con il Re Giuba II (25 a.C. - 23 d.C.). Fu distrutta dagli Arabi. Gli scavi, resi difficili dalla presenza di un abitato moderno, hanno riportato alla luce i quartieri del porto, su un’area di km. 2 x m. 500, a pianta ortogonale, con il Foro e case con pavimenti musivi. Oltre al teatro (forse di età ellenistica, ma poi rimaneggiato, al circo e all’anfiteatro, sono importanti le terme, costruite secondo un piano grandioso, con studiata simmetria. Cesarea ha poi restituito una grande quantità di statue, specialmente di marmo, molte importate dalla Grecia, altre eseguite in botteghe locale: si è pensato a un’opera di mecenatismo dello stesso Giuba II, che avrebbe costituito nella città una specie di museo d’arte. Il Museo Archeologico Municipale di Cherchel è, quindi, particolarmente ricco di sculture e contiene anche una raccolta notevole di mosaici. A L i x u s, oggi Chemmish, città romana del Marocco, a sud di Tangeri, ad alcuni chilometri dal mare, furono condotti importanti scavi da archeologi spagnoli. Fu fondata dai Cartaginesi, probabilmente nel sec. V a.C., in posizione simmetrica a quella di Cadice, rispetto allo stretto di Gibilterra, il che permetteva ai Cartaginesi di controllare le vie commerciali oceaniche. C a d i c e (Gadir [= fortezza, in fenicio], Gàdeira, Gades),città della Spagna meridionale, sulla costa atlantica, vanta una tradizione antica, che pone la sua fondazione, come colonia di Tiro, alla fine del sec. XII a.C. Ma i risultati degli scavi spagnoli non permettono di riconoscere stanziamenti anteriori al sec. VI a.C. Ad ogni modo, Cadice era una città punica che permetteva ai Cartaginesi, con Lixus, di controllare le rotte commerciali dall’Atlantico al Mediterraneo e viceversa ed era anche la base di partenza della loro espansione nella penisola iberica. Cadice fu fondata all’estremità settentrionale di una stretta isola che sbarrava lo sbocco del Guadalete, ma oggi l’azione del mare ha mutato la fisionomia del sito e l’isola è unita al continente, tranne la punta meridionale, in parte erosa dai flutti, ove si trovava un santuario celebre bel mondo antico, il tempio di Malqart, poi di Ercole (oggi isola di S. Pietro). Anche il quartiere occidentale della città è stato inghiottito dal mare, insieme con una parte della necropoli. Lo scavo dell’area urbana è reso difficile dalla sovrapposizione della città medioevale e di quella moderna, onde le indagini sono state compiute in prevalenza nelle necropoli. Sono state esplorate circa 150 tombe, da collocarsi tra il VI e il III secolo a.C. Fra il materiale rivenutovi è un famoso sarcofago antropoide. Pochissimi sono gli avanzi del periodo romano, sebbene Cadice fosse considerata ta terza città dell’Impero. Il Museo di Cadice contiene il materiale degli scavi locali, fra cui gli oggetti ricuperati in mare presso l’area del santuario di Melqart. Siamo ritornati in Europa e possiamo affrontare la fase finale del nostro tour mediterraneo.
|