UN RITRATTISTA FILOSOFO: studio sull’ultimo Fergola
 







di Antonio Paladino




STRATI, PIANI, REPERTI.
Il raffinato proscenio e la semplice didascalia aprono la complessa scena del quadro, ma l’osservatore rimarrà presto deluso, capirà in fretta che in quella scena non si rappresenta nulla, anzi gli elementi stessi della rappresentazione vi sono stati sottratti o sono in via di smobilitazione, come un teatro che dopo un certo numero di repliche si accinge a traslocare altrove. Ma dove?
Ripartiamo dall’origine. Per lo spettatore l’origine è pur sempre il presente, ciò che si presenta immediatamente alla coscienza come dato materiale, e il primo approccio al quadro di Fergola avviene nel presente concentrato dei sensi: le trine, le passamanerie invitano al contatto voyeuristico o tattile, eccitano al disvelamento e catturano così l’attenzione dello spettatore sulla superficie del quadro sollecitando il suo ingresso sulla scena, oltre il primo strato.
Qui la sensibilità dell’osservatore scivola rapidamente verso una seconda dimensione del tempo, quella della memoria e della rappresentazione: dal presente teso e continuo, dominato dalla pulsione e dalla attenzione materiali, quindi immediato e corporeo, al tempo riflessivo e proiettivo, dominato dalla memoria e dall’immaginazione, quindi incorporeo per eccellenza. In questa dimensione del corpo rimosso o in ombra il gesto del pensiero è ripercorrere a ritroso la storia.
I dipinti dell’ultimo Fergola, infatti, propongono ossessivamente come tema convenzionale il ritratto storico rivisitato. Nella sua concezione classica il ritratto ha uno statuto e una funzione ben definiti: con esso il passato testimonia la propria esistenza nello svolgimento lineare del tempo. Sia l’individuo con la sua personalità, la sua storia interiore, sia la cultura di un’intera epoca con i suoi valori etici e le sue concezioni estetiche trovano nel ritratto la loro espressione figurativa.  
Al di là dell’evoluzione degli stili il ritratto ha come carattere peculiare una raffigurazione piena, descrittiva, significante, storicizzante, inquadrante.
I dipinti di Fergola espongono viceversa l’immagine di un mondo dominato dai vuoti, uno smontaggio sistematico delle figure che impedisce allo spettatore di inquadrare, di storicizzare, provocando un’assenza, un improvviso straniamento. I volti smaterializzati, privati dei lineamenti, cioè dei segni “attuali” e insieme rassicuranti della rappresentazione, si aprono verso il vuoto che sembra assorbirli; l’occhio, elemento espressivo per eccellenza, si stacca dalla figura fluttuando nel vuoto, una lacrima densa come pece o solida come pietra sembra trascinare fuori dal corpo il peso o il “nero“ dell’esistenza, intesa come passione e dolore, purificando i corpi da ogni residuo di materialità. E soprattutto ogni presenza, ogni figura, ogni traccia sembra subire una profonda attrazione verso il fondo, la campitura
prevalentemente monocroma, talvolta satura e compatta, talvolta percorsa da un pulviscolo di luce irreale, che sembra comunque una dimensione al di là della scena, della storia, del tempo. Al di sotto della figura il pavimento prospettico costituisce la superficie simbolica e metafisica che accoglie i percorsi umani nella storia. Oltre questa soglia il tempo storico o Kronos è sospeso e con esso l’idea di successione e di durata, e il pensiero scivola verso un’altra dimensione, la forma vuota del tempo, l’Aiòn, terzo strato del dipinto.
Fergola dissolve dunque il volto o la figura con la sua individualità personale e con la sua attualità “storica”, conservandone solo la singolarità, il contorno e la forma, disincarnata e in strettissimo rapporto con il fondo.
Inoltre in questo viaggio a ritroso incoerente e allucinato, mescola i segni, li confonde: il Rinascimento, la Pittura Fiamminga, i Manieristi di Fontainebleau, la Metafisica, i Cubisti, Picasso che abbraccia la Grande Baigneuse di Ingres, tutto è confusione, caos di segni e di reperti. I ritratti subiscono repentine metamorfosi, le icone picassiane si innestano su figure rinascimentali. Ma non è il gusto della citazione o del pastiche a dettare queste strane nozze. E’ piuttosto l’incombenza di un fondo che segnando la sospensione, il limite del tempo storico e lineare, cambia anche lo statuto delle immagini. Ogni epoca ha prodotto la sua idea della bellezza e del sublime, e gli sviluppi e le incoerenze, i legami e le cesure tra queste idee sono stati rappresentati in una storia dell’arte. Ma nel presente dell’Aiòn che sospende le direzioni del tempo, passato e futuro, e si sottrae a qualunque idea di sviluppo,  anche la rappresentazione estetica cessa di avere senso. Le immagini quindi, non esprimendo più legami privilegiati e non ricollegandosi più a strutture significanti prioritarie, scivolano verso la parità, pure forme differenti e di uguale valore nell’unità del tutto (1+1=1). Ne deriva una sorta di mondo fluido e sonoro in cui le dissonanze sono appena attenuate dalla vibrazione primigenia: la campitura, il fondo che assorbe e riunifica, il silenzio, come l’universo della” nuova musica” da Schoenberg in avanti. 
Infine le immagini segnano un’ulteriore scomposizione e delle forme  geometriche inquadranti si sovrappongono nella scena determinando variazioni nel colore, nell’intensità della luce, nell’atmosfera, come nel ritratto di Federico dove la luce si sposta senza alcuna coerenza dall’alba al meriggio alla notte fonda, o dalla luminosa primavera al cupo autunno, come se anche la circolarità del tempo, insita nel giorno e nella successione delle stagioni, venisse spezzata e destrutturata a favore di una simultaneità delle percezioni temporali.
Picasso ha aperto nuovi orizzonti alla percezione estetica della forma nei suoi rapporti con lo spazio. Non a caso è il pittore preferito da Fergola, continuamente citato. Fergola ossessionato dal rapporto tra
forma e tempo procede diversamente, per moltiplicazione ed esplosione dei piani cronologici, oltre che per accostamento di reperti storici in una sorta di cubismo non spaziale e percettivo ma temporale e iconico o concettuale. Come il cubismo ha sviluppato al massimo grado il tema della molteplicità, della differenza pura applicata alla percezione dello spazio, così Fergola introduce il concetto di differenza nella percezione del tempo, partendo dalla storia dell’arte, poiché è l’universo che ama ma anche uno tra i più storicamente strutturati. Il ritratto di Ted smontato, reso immateriale e impersonale, si arricchisce di nuove combinazioni, di nuove nozze pittoriche cambiando di forma e di colore in tutti i piani dove si genera una trasformazione.  
L’INFINITO E IL FUTURO ANTERIORE: L’OCCHIO COSMICO
Abbiamo visto come la pittura di Fergola si costruisca attraverso tre strati che rappresentano anche tre diverse letture del tempo e corrispondono a tre stadi del soggetto senziente. In questo percorso, infatti, la sensibilità si sposta dal massimo della determinazione al massimo della indeterminazione: dalla superficie fisica, tangibile e tattile-erotica del primo strato, si accede nel secondo alla superficie metafisica delle immagini-segno incorporee e disincarnate che il soggetto vede sulle prime come un percorso nel passato storico, come memoria e rappresentazione; ma il mondo della visione si sgretola nell’istante stesso in cui si sente il fondo, il tempo vuoto come una forza che incalza ed assorbe. Pulsione, visione, sensazione segnano il percorso del pittore dal corpo verso il cosmo. Possiamo ora ritornare all’interrogativo lasciato in sospeso all’inizio: lo spettatore che penetra nel quadro e non vi trova più le coordinate della rappresentazione ne viene respinto, oppure accoglie lo smarrimento e sente come le figure del dipinto un’attrazione per il fondo, come una vertigine che tende a diventare una sorta di identificazione.
Così il percorso sembra svelato ed anche il suo epilogo. Fergola ha operato il suo personale capovolgimento nella concezione e nella fruizione dell’opera. Non è lo spettatore ad osservare la scena secondo i canoni della narrazione e della significazione dominanti, ma è l’opera stessa che osserva la scena al di qua della tela, la scena dell’esistenza.
L’occhio che ossessivamente si stacca dai personaggi di Fergola e che sembra scrutarci dal fondo della tela è l’occhio dell’infinito che ci guarda e del tempo vuoto che ci attende.
Chiusa e come avvolta nello spazio asfittico e claustrofobico della stanza, come riuscirà Venere a fuggire dal luogo e dal corpo di cui è prigioniera per attingere una superiore bellezza?
La divina metamorfosi in una potenza animale è solo il primo passaggio, poi l’artiglio fende il volto e strappa l’occhio che attraverso successive modificazioni giunge ad identificarsi con
la tela stessa e con la terra: il divenire è compiuto. Venere ha rinunciato a vedere con lo sguardo di Kronos per passare in una superiore potenza di visione, infinitamente aperta. Alle sue spalle i simboli dello spazio e del tempo, con l’orologio privo di lancette.
In questo capovolgimento è dunque l’opera stessa e con essa lo spettatore ad assumere il punto di vista dell’infinito che osserva e valuta l’esistenza: relazione limite, quasi impossibile da pensare, da esprimere e da comunicare senza rischiare di ricadere nel circolo vizioso della rappresentazione cronologica.
L’infinito-soggetto, sembra suggerire Fergola, riflette l’esistenza attraverso una sorta di futuro anteriore: Ted sarà vissuto, Federico avrà contemplato i cieli dell’arte, Picasso avrà sconvolto il mondo della forma.
Il futuro anteriore ha due facce, due sensi. Un senso “depressivo” rivolto verso il tempo interno, in base al quale, essendo Kronos stesso infinito e la vita umana limitata, il tempo vissuto è vano. L’altro senso espressivo e affermativo, rivolto verso il tempo eterno, in base al quale l’io sarò stato sottrae contemporaneamente all’individuo sia il presente fisico sia l’estensione incorporea del presente nel futuro immaginato e nel passato ricordato: dissolve così con l’io la sua rappresentazione nel tempo, la durata, e restituisce la percezione ad un presente istantaneo ed eterno, impalpabile perché privo di estensione, metafisico e metatemporale, o forse capace di estrarre dal corpo e dal tempo un senso completamente nuovo. Nella sua singolare galleria di ritratti i personaggi di Fergola1, reali o immaginari, celebri o anonimi, hanno perso ogni traccia di umanità, permangono come forme, pure singolarità sempre variabili, gioiose, cupe, crudeli, tenere o contemplative, ma oggettive,  impersonali e atemporali.
Esse testimoniano un modo nuovo di percepire le esistenze in relazione al cosmo e le singolarità in relazione al tutto, fuori sia dal percorso nichilista dell’annullamento individuale nell’assoluto, sia dal percorso umanista-idealista della riduzione del mondo al dominio assoluto dell’io. Un mondo di forme prese in un “divenire non umano”, in un “divenire universo”, benché in questo processo “acquistino singolarmente una maggiore distinzione”, secondo le espressioni di Deleuze-Guattari. 
E’ compito dell’arte sottrarre la vita allo sguardo dell’uomo, che oppresso dal “peso” dell’universo e del reale giunge di volta in volta a negare se stesso o a negare l’universo e il reale, secondo due diverse forme della separatezza e della trascendenza.
Fergola ha scelto il suo personale percorso. Il primo passo è accettare la sconfitta ad opera di kronos anziché prolungare indefinitamente lo sguardo dell’io nella durata riducendo così l’esistenza a miraggio e fantasma. La contingenza dominante nella storia e nel reale è la limitatezza dell’esistenza e alla domanda  “cosa rimanga della vita fatta di sequenze di attimi, azioni ed emozioniin un tempo lineare” la risposta è: “nulla”. Secondo una percezione convenzionale e cronologica del futuro anteriore ogni crudeltà, dolore, passione, abbandono avranno dominato per nulla poiché Kronos divora inesorabilmente.
Occorre allora un’altra lettura del tempo per salvare l’esistenza e la realtà stessa, ossia per estrarne il senso affermativo e la potenza vitale: deporre lo sguardo umano della durata per assumere lo sguardo infinito e impersonale del cosmo, uscire dal corso del tempo che ci assoggetta per divenire noi stessi il tempo nella sua forma eterna e astratta, Aiòn. Lovecraft e l’incredibile avventura di Carter, il suo passaggio attraverso gli abissi del tempo, che è relativo a questo o a quel segmento della storia solo per la diversa inclinazione “del piano di consapevolezza che lo taglia”, poiché in realtà “tutto ciò che era è e sarà esiste simultaneamente”.
Superando ogni dualismo e ogni trascendenza Fergola traccia il proprio grande piano del divenire, una sorta di percorso alchemico-filosofico dell’individuo che diviene cosmo, del molteplice che diviene uno, delle forme che si aprono divenendo Infinito, ma proprio lungo questa soglia dispiegano tutta la propria singolare bellezza. E lungo questa soglia ci indicano anche una traccia, un orizzonte che taglia con una luce nuova uno dei problemi per eccellenza: permanere come forme disseminate nel tempo, ma insieme divenire eterni.  

Le principali fonti dei dipinti qui presentati si riferiscono alla grande storia dell’arte rinascimentale: 1.Quentin Metsys - Il cambiavalute e sua moglie;  2.Piero della Francesca - Federico da Montefeltro; 3.Hans Holbein - Ritratto di Edoardo, Principe di Galles;  4.Giovanni Bellini - Ritratto del Doge Leonardo Loredan;  5.Lucas Cranach - Venere e Amore;  6.Piero di Cosimo - Simonetta Vespucci; 7.Gentile Bellini - Ritratto del Doge Giovanni Mocenigo.        






2012-02-20


   
 

 

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