Emerge una dialettica suggestiva tra omogeneità e differenziazione, fino alla situazione presente che vede il Molise scisso dagli Abruzzi, in autonomia regionale dal 1963. Ma le due regioni ben difficilmente possono descriversi separatamente, perché esse sono notevolmente omogenee , o, per meglio dire, tra esse prevale l’omogeneità nella fase storica in cui si formò la regione sannitica. D’altronde, in molte delle attuali regioni italiane, come è il caso di quella pugliese, è facilmente riconoscibile l’esistenza di subregioni storiche, etniche, linguistiche e culturali: solo che ciò non emerge al livello del nostro ordinamento regionale che in Piemonte e Val d’Aosta e in Abruzzi eMolise.
Le conoscenze della preistoria molisana, che erano state ingiustamente ritenute insignificanti, improvvisamente balzarono in primo piano, nel 1977, con le scoperte avvenute a La Pineta, presso Isernia. Qui tornò alla luce un accampamento paleolitico di 730ooo anni or sono! L’insediamento rivelò una quantità enorme di reperti, costituiti da strumenti di pietra, ossa di animali e resti di vegetali. Non si conosce, in Europa, un altro insediamento così remoto e consistente come questo, per di più in ottimo stato di conservazione.
Le ossa animali attestano una fauna molto varia: bisonti, cinghiali, daini, elefanti, ippopotami, orsi, rinoceronti, etc. Mancano ossa umane, ma sono presenti testimonianze indirette della presenzadell’uomo: strumenti in selce e ciottoli, che attestano un’intensa attività di cacciatori, capaci di selezionare la selvaggina predata. I manufatti e la datazione dell’insediamento ci riportano a un homo erectus, cacciatore e raccoglitore, nomade. E’ così che il Molise, che si riteneva scarso di testimonianze preistoriche, a differenza della confinante Capitanata, è balzato d’improvviso in primo piano su scala nazionale e internazionale.
E’ dai discendenti di questo antichissimo progenitore che fu data vita a quella grande e autonoma faseculturale che ha contraddistinto il Molise e gli Abruzzi nell’antichità: quella dei Sanniti, i protagonisti di memorabili guerre contro Roma, dei quali il Prof. Valerio Cianfarani ha progressivamente riportato alla luce le testimonianze, palesandoci le fondamenta etniche e culturali delle vicende di un’area, che da essi prese il nome di Sannio, parte di una prospettiva medio-adriatica, quindi di buon diritto mediterranea, sostanzialmente omogenea, tra il sec. VIII e il IV a.C.
La prima connotazione di questo Sannio sono i centri fortificati riscoperti sulle montagne. Il Molise ne ha rivelato tutta una serie nell’area a nord di Boiano e Sepino, parte di un complesso sistema che risaliva fino ad Agnone e Capracotta, Carovilli, Pietrabbondante e Vastogirardi. Di tale sistema il centro meglio conosciuto è Monte Vairano, sopra Campobasso, un complessoabitativo con una possente cinta di mura del sec. IV a.C.. identificato nell’Aquilonia indicata da Tito Livio come la maggiore città dei Sanniti.
Tra gli altri insediamenti sannitici, particolare rilevanza ha Sepino. La cinta muraria, che fu abbattuta dai Romani nel 293 a.C., a impianto quadrilatero, racchiudeva lo spazio originario circondato da palizzate lignee. Il nome Sepino significa infatti spaziorecintato, Questo spazio doveva assolvere sia la funzione di luogo di sosta sul tratturo che collegava la Sabina alle Daunia che quella di centro commerciale.
Maggiori informazioniabbiamo sugli abitati che sui santuari. Nella Marsica ne sono stati identificati alcuni, connessi, come nella vicina Ciociaria, al culto delle acque. Altri sono stati rinvenuti in località montane: Carovilli, Schiavi d’Abruzzo e Vastogirardi. Il più importante è il complesso di Pietrabbondante, riferibile all’antia Cominium (ss. IV-II a.C.), composto da un teatro e due templi e che fa supporre un luogo di incontro per attività confederali. L’insieme è completato da una fortezza sulvicino Mone Saraceno e una necropoli in località Troccolo.
In tema di necropoli, particolarmente rilevante è quella di Boiano (ss. VIII-VII a.C.): tra i reperti, in tombe femminili, anelli, bracciali e fibule ad arco con appendici a ghianda, testimoniane bronzee dell’artigianato sannitico, e, in tombe maschili, bacili, ceramica varia, cinturoni di bronzo e punte di giavellotti e di lance.
Il reperto più eminente dell’età sannitica è la bellissima statua del Guerriero di Capestrano, alta più di due metri, in pietra tenera locale, con aggiunta di dipintura in rosso. In testa il guerriero porta un elmo, o copricapo, a falda larghissima, e sultorace un giustacuore unito con cinghie a un altro sulle spalle; armi caratteristiche sono da un lato il pugnale e la spada e dall’altro l’ascia; le braccia recano armille e gli avambracci sono piegati l’uno sul petto e l’altro sulla vita; dal cinturone scende un gonnellino bordato da una fascia a meandri; i piedi calzano sandali e poggiano su una larga base. E’un vero capolavoro della mediterranea arte medio.adriatica.
Un torso femminile, trovato insieme al “Guerriero di Capestrano”, ne ripete alcuni caratteri, dal taglio delle spalle e del busto alla posizione delle prime. Il giustacuore ricompare nella Stele di Guardiagrele, sormontata da una sagoma campaniforme su cui spicca un viso fortemente allungato. Lo stesso trattamento del viso presentano la Testa Leopardi di Loreto Aprutino e la Testa di Rapino, caratterizzate dal rilievo tagliente delle palpebre e dalla bocca a stretta fessura. Il Torso di Atessa ci ricoda il “Guerriero di Capestrano” per la posizione delle braccia, ma il busto è sottile e allungato, senza sporgenze volumetriche. Due stele con iscrizioni, da Penna S. Andrea, hanno nella parte superiore una testa a riIlevo con la consueta sagoma allungata, gli occhi a cerchielli, il naso a bastoncello e la bocca rappresentata da un taglio breve e profondo.
Esisteva, quindi, unascuola scultorea sannita con proprie convenzioni figurative. A essa fanno ricontro alcune testimonianze dell’area molisana, dove di Agnone e Trivento sono statuette calcaree di cavalieri con corta tunica a pieghe e altre femminili con lo stesso tipo di tunica e mantello. Il Centauro di Boiano, che si accarezza la barba, e la Testa di Pietrabbondsnte con naso lingo e dritto, occhi e orecchie a cerchielli, completano le maggiori testimonianze di questa produzione, fortemente caratterizzata e notevolmente autonoma nelle sue pur limitate risultanze.
La lavorazione dei metalli è stata illustrata dalle scoperte di Campovalano, dove sono tornate alla luce armi con decorazioni incise, sia di uomini e aimali che geometriche, e ornamenti in argento, bronzo o ferro, arricchiti da ambra e pasta vitrea. Da maggior tempo noti erano i ritrovamenti di Alfedena: armi e catenelle. Ancora, tra i reperti in metallo, spicca una serie dibronzetti raffiguranti Ercole, i due guerrieri di Roccaspinalveti e le figurine femminili di Bucchianico e Rapino.
Non mno rilevante è la ceranica figurata. A Canpovalano spiccano anse a testa umana su alto collo cilindrico e altre a testa di ariete, dalle curve corna elegantentemente composte in forme geometriche. La stessa funzione delle anse plastiche avevano figurine unane stilizzate con gambe divaricate e braccia arcuate congiungerntisi dietro la testa. Più rilevanti manifestazioni della ceramicafigurata sono le teste votive di Carsoli, dalla sagoma allungata, gli occhi incisi a mandorla e punto centrale, oppure a rilievo nella cavità orbitale infossata, e le labbra sporgenti.
Nell’insieme, l’artigianato sannita presenta una fortemente spiccata originalità, riflettendo una cultura autonoma, cui solo poi si sovrappose quella di Roma. Si tratta di una cultura sostanzialmente unitaria, che emerge con particolare evidenza nel quadro dell’Italia preromana. Sia il Sannio che i Sanniti costituiscono la premessa di quell’insiememolisano-abruzzese configurato, dopo alternevicende, dalle attuali due regioni.
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E’ un nome di origine recente, usato infatti solo dal 1615 nei documenti ufficiali per indicare la regione che oggi chiamiamo in tal modo. L’origine risale al Medio Evo, quando nell’Impero carolingio si diede il nome di Marca, dal tedesco Marke, ai territori di confine, posti sotto la giurisdizione di un Governeur o Marchese. Dal sec. X cominciano ad apparire la Marca Camerinese, quella Firmana e quella Anconetana. Dal sec. XVI si sviluppa, con notevoli fluttuazioni ai confini, l’uso del nome Marche per l’intera regione, che in latino si chiamava invece Picenum.
La maggiore fioritura culturalemarchigiana, già prima della conquista romana, e insieme la più autonoma e caratteristica, era stata infatti costituita dalla civiltà picena, sviluppatasi tra l’VIII e il IV secolo a.C. Notevoli ne sono le connessioni esterne, con le culture attestate ai suoi margini e notevoli sono anche talune articolazioni interne, evidenziate specie dal frazionamento linguistico delle iscrizioni nord-picene e quelle sud-picene. Ciò malgrado, sono evidenti caratteri comuni specie nella scultura in pietra, nella bronzistica, nella lavorazione dell’ambra e dell’avorio.
E’ possibile distinguere due fasicronologiche nella civiltà picena:
· l’arcaica, che si estende dal sec. VIII alla prima metà del Vi e mostra la preminenza di un influsso balcanico-danubiano (traco-illirico);
· la seconda, che si estende dalla metà del sec. VI agli inizi del IV e mostra un crescente influsso greco ed etrusco, giunto soprattutto per vie interne.
Quanto a un terzo apporto, quello orientalizzante, esso vi può essere giunto dalle stesse vie, ma anche dall’Adriatico, dove profonda era stata la penetrazione greca negli empori di Adria e Spina.
Vari ritrovamenti concernono gli abitati piceni, costituiti da capanne con strutture di pali in legno, rivestite con frasche e paglia e coperte con strati di argilla. Tuttavia a Pesaro sono state identificate abitazioni del sec. V a.C. di pianta rettangolare, con fondazioni in ciottoli, alzate in legno e coperture di tegole fittili. L’esistenza di luoghi di culto è evidenziata dal rinvenimento di stipi votive, per lo piùin zone montane e submontane, spesso nelle vicinanze di fiumi e fonti, come a Montefortino di Arcevia. Più note sono le necropoli, che attestano il rito dell’inumazione: fosse sepolcrali coperte da tumuli di pietre, simili alle specchie del Salento, e tombe monumentali a circolo.
Ma le testimonianze più ampie e più caratterizzanti della civiltà picena sono date dalla scultura in pietra, dai bronzi,dalle ambre e dagli avori lavorati. La scultura in pietra ha la sua manifestazione più importante nella grande testa del Guerriero di Numana, databile alla fine del sec. VI a.C Sotto il possente elmo a calotta, il volto ovale sporge da un largo collo; gli occhi sono piccoli e ravvicinati; il naso, rotto nella parte anteriore, è forte e sporgente, con base trangolare; le orecchie somo grandi, non molto sporgenti; la bocca è piccola e carnosa. Riscontri di questo reperto si hanno nell’area sannitica e specialmente nel celebre Guerriero di Capestrano, ma l’originalità del reperto è indiscutibile.
Le tre Stele di Novilara, databili tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C., offrono la significativa testimonianza della originalità del rilievo in pietra tipicamente piceno. Una di esse, conservata nel Museo Pigorini a Roma, presenta scene di combattimenti e di caccia, con figure bendistinte in una composizione sconnessa, priva ’un piano di fondo. Le altre due stele, conservate nel Museo Oliveriano ai Pesaro, rappresentano la prima una battaglia navale la seconda una caccia. Nell’insieme, le Stele di Novilara si caratterizzano per la vena decorativa del loro scultore, che usa linee di contorno fluide e arrotondate, senza curarsi di evidenziare i particolari interni: si tratta d’una tradizione originariamente illirica, che lega queste stele a quelle daunie, ma si collega pure alle incisioni rupestri della Val Camonica.
La bronzistica è rappresentata anzitutto dagli elmi decorati con incisioni, provenienti dalle necropoli di Fermo e Pitino di S. Severino. Particolarmente notevoli sono gli scudi di Fabriano con decorazioni a sbalzo, recanti immagini di cavalieri e fanti. Da Rapagnano provengono due amboni di scudi, con decorazioni incisevi di guerrieri in lotta. Ancoradue amboni, provenienti da Numana, sono decorati con fantastici animali serpentiformi. Nell’insieme, si tratta d’un repertorio figurativo che rientra nell’ambito culturale orientalizzante mediterraneo, ma con una originalità che suggerisce non l’importazione ma la fattura locale.
I recipienti laminati costituiscono un’altra categoria della bronzistica picena: tra essi le ciste a cordoni, decorate con figure geometriche, di Novilara e Tolentino, ovvero con fregio di animali in cammino, di Fabriano. Un,altra produzione caratteristica, in quest’ambito, è quella delle anse figurate dei recipenti bronzei. VI compare un motivo di antica origine traco-illirica: il domatore di cavalli, un guerriero dall’alto cimiero fra due cavalli che afferra per la criniera, sormontati da due uccelli e due leoni congiunti mediante un asse che parte dalla testa del personaggio.
Numerose figurine bronzee di guerrieri, fortemente stilizzate, provengono da diverse località e sono ispirate al tipo dell’Eracle combattente, ma ve ne sono anche di femminili, come un gruppo di donne di altastatura, dell’Appennino di Visso. Tipici sono anche i grandi pentagli a catenelle, sostenuti da lastre trapezoidali dalla decorazione incisa, che terminno ai lati in protomi di uccelli; le catenelle terminano a loro volta in dischi, figurine umane e animali, idoletti, mani o palmette. Notevoli sono le collane bronzee di Belmonte, decorate alle estremità da cavallucci marini, pigne, protomi femminili stilizzate, sfingi o teste di arieti.
Di notevole rilevanza è la lavorazione delle ambre, delle quali il Piceno fu, per quantità e qualità, l’area di irradiazione in Italia: la materia prima veniva dalle coste baltiche, donde discendeva per la Vistola e poi sino all’Italia nord-orientale. La necropoli di Belmonte presenta sia nuclei non lavorati che elaborazioni varie, tra cui spiccano i grani di collana a forma di testa di donna, con icapelli raccolti a ciuffo sulla fronte e tenuti fermi da un diadema o da un nastro. Altre ambre lavorate fanno parte di fibule e hanno la forma di un leone che assalta un’antilope o un vitello.
Una ricca produzione di avori lavorati è emersa dalle necropoli di Belmonte, Castelbellino e Numana: cavalli alati, esseri fantastici, figure umane e animali, fiori di loto, leoni, palmette,sfingi, In particolare, da Castelbellino vengono alcune figurine di fanciulli, notevolmente autonome rispetto ai modelli di koùroi greci. Di Numana è un pendente con figurine umane in serie. Da Belmonte provengono una placchetta con divinità femminile, fiancheggiata da sacerdotesse, e un disco a testa di Gorgone.
La più rilevante delle scoperte è stata quella di Pitino, donde è emersa una pruduzione svariatissima di chiara ispirazione orientale: cavalli alati, fiori di loto , leoni, palmette, sfingi. Spicca su tutti i ritrovamenti una oinochoe, composta daun uovo di struzzo decorato, con testa e manico d’avorio, rivestito di lamina d’oro: è un raro esempio della raffinata arte che, per la combinazione dei suoi emementi, si definisce plurimaterica.
Le scoperte di Pitino evidenziano pienamente il problema delle origini dei caratteri dell’arte picena r, per essa, della civiltà picena. All’esistenza, in loco, di raffinate botteghe, che servivano evidentemente ricche famiglie principesche, si aggiunge verosimilmente l’importazione, sia dall’entroterra italiano, particolarmente dall’Etruria, che dall’Oriente per la via adriatica. L’età picena resta la fase più caratteristica e distintiva nella storia delle odierne Marche, quella che più ne definisce l’autonomia e la connotazione unitaria.
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“Se vi fu mai una regione, la cu iindividualità – pur non essendo un’isola - sia suggerita non solo allo studioso, ma anche alla tradizione, dai suoi confini, questo è il caso dell’Emilia-Romagna”: così un autorevole geografo, Umberto Toschi, definisce e afferma l’unitarietà di un’area che la nostra Carta costituzionale ha voluto definire peraltro con un doppio nome, donde la necessità di approfondire sia la natura e i caratteri dell’omogeneità che il motivo della denominazione.
Negli ultimi tempi della preistoria,la civiltà appenninica si evolse verso la gfrande novità dell’Età del Ferro: la civiltà villanoviana, cosi detta da un villaggio presso Bologna. Si tratta di un fenomeno culturale specifico dell’area emiliana, anche se caratterizzato dagli stretti rapporti tra questa e le aree circostanti. Il cui inizio coincide con quello dell’Età del Ferro (900 a.C.) e la cui durtaa si estende fino al 550a.C., quando l’affermazione politica degli Etruschi modifica la situazione.
Il luogo predominante della civiltà villanoviana è Bologna, nodo di convergenza e di smistamento delle grandi strade tra l’Italia centrale e quella settentrionale. Ma l’esistenza di un altro centro cospicuo a Verucchio, presso Rimini, testimonia dell’estendersi del fenomeno all’area più propriamente romagnola. Elementi tipici del Villanoviano sono: le urne biconiche sormontate daciotole, con decorazione graffita e poi a stampiglia; le stele funerarie scolpite a rilievo; i bronzi lavorati a incisione e sbalzo, tra cui prevale la caratteristica situla.
Particolare rilevanza hanno le stele a rilievo della fase tarda del Villanoviano (650-550 a.C.), dette protofelsinee.Gli esemplari più antichi hanno decorazione graffita che ricorda quella delle stele picene di Novilara. Allatipologia piatta con decorazione graffita subentra il bassorilievo: prima con forme rozze e schematiche, ome nella Stele Arnoaldi, con figurine animali tra rosette e volute; poi con più elegante narratività, come nella Stele Zannoni, che rappresenta il viaggio agli Inferi d’un defunto su un cocchio tirato da cavalli e preceduto da una divinità (o demone?).
Motivi d’origine orientale, ovvero orientalizzante, presentano altri esemplari: p. es., due animali ai lati di una piantasacra (l’albero della vita?) compaiono nella Stele Malvasia Tortorelli e in altre, tutte databili alla fine del Villanoviano tardo. L’ispirazione di queste stele, con le loro figurazioni, è stata indicata nella via adriatica, ma è altresì probabile che provenga dall’area etrusca, per la via appenninica.
Nel ricordato centro di Verucchio, secondo per importanza alla sola Bologna, l’ossuario biconico può essere coperto, oltre che da una ciotola, da un elmo. E’ questa una caratteristica sconosciuta a Bologna e che invece compare a Tarquinia e Veio, determinando un raccordo con l’area etrusca centro-meridionale. Ciò trova riscontro in altri reperti e specialmente nelle armi: sono diffusi a Verucchio, infatti, gli scudi di bronzo, le spade di bronzo e di ferro con fodero a ornato geometrico, le lance con punte a foglia d’ulivo, le asce ad alette, pugnali ricurvi. Largamente attestata è l’ambra, nella decorazione di fibule e collane. Nell’insieme, Verucchio appare, almeno nella fase iniziale, indipendente da Bologna. Mentre mostra peculiari contatti con le aree etrusca e picena.
Nella seconda metà del sec. VI a.C. la presenza etrusca s’irradia in Emilia-Romagna: anzitutto per via dei commerci, poi anche come affermazione politica negli aggregati urbani, per lo più già esistenti, ma profondamente rinnovati. Il centro principale è Felsina, l’attuale Bologna, e con essa ha spiccata rilevanza Misa, presso l’attuale Marzabotto. Ma agli Etruschi debbono la loro origine anche Ariminum(Rimini), Caesena, Mutina (Modena) e Ravenna. Mentre all’iapprodo di genti greche è dovuta la fortuna di Spina.Il sec. V segna l’apogeo della presenza etrusca, ma dall’inizio del sec. IV s’irradiano in tutta la regione i Galli, che scendono d’oltre Po: i Boi al centro della regione emiliana, i Linoni nell’area adriatica, i Senoni nel territorio tra il Montone e l’Esino, Questa sovrapposizione dà luogo a forme culturali composite, di cui un esempio significativo sono le scoperte di Monte Bibele, presso Monterenzio: mentre vari reperti metallici ci ricordano genti celtiche, le iscrizioni su vasi offronol’inequivocabile testimonianza della copresenza etrusca.
Una componente ulteriore, quella greca, essenzialmente culturale e non etnica, giunge attraverso l’Adriatico, l’emporio di Spina e quello di Adria, collocato più a nord, nell’area veneta.
L’Emilia-Romagna si qualifica ancora una volta come crocevia di popoli e di culture dal settentrione, dall’oriente, dal meridione e dall’occidente, con eccezionali capacità di assorbimento, elaborazione e ritrasmissione degli apporti ricevuti.
A Bologna l’abitato etrusco si estende su quello villanoviano. Ne restano poche testimonianze, mentre sono ben più ricche quelle delle necropoli:le stele funerarie, particolarmente nella Necropoli della Certosa, dette felsinee, per distinguerle dalle più antiche protofelsinee, e datate al sec. V, si caratterizzano per l’originale forma a ferro di cavallo, con cornice centinata dai motivi a onde o spirali, e il repertorio figurativo in registri orizzontali con basso rilievo, che tratta i temi del viaggio agli Inferi e dei riti funerari, con notevole distacco dalle opere etrusche coeve, veriosimilmente per la maggiore influenza greca.
Nell’ambito della bronzistica, come parte di una produzione largamente irradiata nell’area veneta, spicca, tra le sicule, quella della Certosa, che riproduce in quattro fasce sovrapposte file di guerrieri in processione sacra, scene di vita quotidiana e serie di animali veri e fantastici. Un’altra, a essa contemporanea, è la SitulaArnoaldi, con tre fasce decorative in cui compaiono dall’alto in basso, una processione di bighe, un corteo di soldati e una serie di animali colpiti da un arciere.
Allo scarso numero di testimonianze urbanistiche di Bologna si contrappongono quelle, ben consistenti, di Marzabotto. Qui l’impianto è del tipocosiddetto ippodameo: strade verticali e orizzontali diritte, che s’incontrano ad angoli retti, formando una serie di isolati lunghi e stretti, uguali fra loro. Fuori dell’abitato, su un’altura a ovest, era situata l’Acropoli,con tre templi. Mancano stele del tipo felsineo, ma sono presenti cippi a pigna o a bulbo di cipolla. Dall’acropoli provengono numerosi bronzetti e terrecotte architettoniche di stile popolare.
La natura e i caratteri dell’unità emiliana-romagnola sono evidenziati da un’area dai confini geografici bel definiti, un triangolo i cui lati sono formati a nord dal Potra Piacenza e la foce, a est dall’Adriatico trsa la foce del Po e Rimini, a sud dal crinaleappenninico tra Rimini e Piscemza. All’interno del triangolo, elemento essenziale dell’omogeneità sono due grandi strade:
- la V i a A e m i l i a, la strada militare romana costruita nel 187 a.C. dal Console Emilio Lepido,in continuazione della Via Flaminia, e che conduceva da Rimini ad Aquileia;
- l’ altra dettapure V i a A e m i l i a, che, attraverso la Gallia Cisalpina, da Rimini, per Bologna, Modena, Parma e Piacenza, arrivava a Milano.
Attorno a queste due strade si articolarono e si svolsero i movimenti del commercio e della cultura, coagulandosi in alcuni dei principali abitati. E’ dunque comprensibile che le due strade abbiano dato il nome allaregione, inclusa come Regio Aemilia nella suddivisione augustea.
Veniamo quindi al motivo dell’attualr duplice denominazione. Circa un secolo dopo Cesare Ottaviano Augusto (63 a.C. – 14 d.C.), P. Elio Adriano (76-138 d.C.) procedette a una nuova ripartizione dell’Italia in province e in essa restrinse l’Emilia all’area occidentale fino al Bolognese come Regio X Aemilia, mentre definì come Regio XI Flaminia quella con capoluogo Ravenna. Sta qui il fondamento dell’autonomia della futura Romagna, che troverà conferma nei secoli successivi fino ad acquisire, al tempo dei Bizantini il nome di Romània, cioè “terra governata dai Romani d’Oriente”, i Bizantini appunto.
Occorre osservare che proprio mentre emerge il nome Romagna per l’area orientale della regione sembra diradarsi una coscienza emiliana e di fatto l’area occidentale viene spesso intesa come parte della Lombardia. Il nome Emilia, però, continua aessere menzionato finchè nell’Ottocento, con la formazione del Regno d’Italia, torna a prevalere. La lunga autonomia della Romagna, tuttavia, è sancita nel 1947 dalla Costituzione della Repubblica Italiana con l’impiego del doppio nome Emilia-Romagna, il che non voleva significare, a differenza della dizione “Abruzzi e Molise” impiegata nell’art. 131, la giustapposizione di due entità paritetiche, ma il riconoscimento delle commutazionipeculiari dell’una dell’altra all’interno di un’unica regione: è come se vi fosse detto “Emilia, compresa la Romagna”, o viceversa.
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Dal Veneto alla Venezia Giulia.
Venezie o Tre Venezie è la denominazione che raggruppa, per diffuso impiego dal see. XIX, tre regioni contigue, il Trentino- Alto Adige, il Veneto e il Friuli- Venezia Giulia. Volendo riscoprire le origini delle regioni mediterranee, la considerazione comune dell’area veneta è stata da noi adottata, anche perché è balzato subito all’evidenza l’origine antica della denominazione “Venezie”: Veneti furono chiamati dagli autori classici i popoli che vi abitarono durante la prima età storica e vi lasciarono cospicue tracce di sé, notevolmente accresciute dalle scoperte archeologiche.
Secondo autori classici, i Veneti erano una popolazione giunta in Italia dall’Oriente e precisamente dall’Asia Minore. Erano originari della Paflagonia, terra famosa per i cavalli; avevano partecipato alla guerra di Troia; quindi, sotto la guida di Antenore, uno dei più illustri e saggi degli anziani di quella città, dopo la sua distruzione si erano mossi alla volta dell’Italia, dove s’erano impiantati nell’interno retroterra dell’alto Adriatico e Antenore vi avrebbe fondato Padova.
Altri autori associano a questa immigrazione l’eroe Diomede. Mitico Victor Gargani e fondatore di Argos Hippìon, Arpi, la dauna “ bianca città dei cavalli”, e della pur dauna Canosa, questi avrebbe fondato anche le città di Adria e Spina: a Diomede divinizzato, secondoStrabone d’Amasea, offrirono in sacrificio i loro cavalli bianchi.
Altri ancora dicono che i Veneti erano una popolazione di provenienza ilirica, già al sec. V a.C. occupante all’incirca il territorio triveneto, senza Verona e dal quale era già esclusa Mantova, tra il Po, la Licenza e il Tagliamento, le Alpi e Il Mare Adriatico.
Pur con le riserve che tradizioni del genere implicano, sta di fatto che l’avvento di nuova gente, il suo insediamento nell’area che si chiamerà veneta e la formazione di una cultura che da essa trae il nome presentano, specie la terza, un indubbio fondamento di verità.
Ma fin dove si spinge l’omogeneità e dove comincia la differenziazione dell’area? FIn dal sec. V in relazione coi Greci del Sud-Italia, dal 225 fedele a Roma, dal 183 in suo possesso, il Paese dei Veneti fu incorporato nella Gallia Cisalpina, col 42 appartenne all’Italia e da Cesare Ottaviano Augusto fu unito all’Istria come Regio X Venetia et Histria. Poi le invasioni barbariche spingeranno la popolazione a concentrarsi nell’area costiera e sorgerà Venezia, grande punto di attrazione e insieme di irradiazione della civiltà veneta
Una distinzione può farsi tra l’area centrale, il Veneto, e quelle laterali, il Trentino-Adige, che gravita verso la Lombardia e il Tirolo, e il Friuli-Venezia Giulia, che volge verso la Carinzia, la Slovenia e la Croazia. Ma il raccordo è costante ancor prima dell storia, per tutta una serie di testimonianze della più antica presenza dell’uomo. Spiccano tra esse i ritrovamenti del Paleolitico a Quinzano, presso Verona, dove resti di bisonti, cervi ed elefanti risalgono a circa 160.ooo anni fa, mentre nella stessa area, al Riparo Tagliente, resti faunistici e un famoso graffito, con rappresentazione di un bisonte, sono datati a 12.ooo anni fa.
Altre testimonianze preistoriche vengono dal Friuli-Venezia Giulia, con una numerosa serie di grotte nell’area carsica, abitate fino all’età neolitica. Dalla parte opposta, nel Trentino-Alto Adige, le scoperte del Riparo Gaban presso Trento illuminano l’età mesolitica e neolitica con la rappresentazione d’immagini femminili stilettate, del tipo “Veneri”. L’Età del Bronzo vede il sorgere d’insediamenti su palafitte, dei quali il più noto è quello di Peschiera del Garda. Datazioni più precise vengono dal Lago di Ledro, nel Trentino (1700-1200 a.C.). infine, dal sec. XIII a.C. si diffondono nella regione del Garda le incisioni rupestri, che ripetono le più antiche e diffuse realizzazioni della Val Camonica.
Due città venete emergono dal mondo dei castellieri agli inizi della storia, per le loro testimonianze: Este e Padova.
E s t e (Ateste), a sud di Vicenza, su un corso d’acqua, oggi detto Adigetto, un tempo ramo principale dell’Adige, nel I millennio a.C. fu capitale dei Veneti e localmente eponima dellacosiddetta civiltà di Este, che si colloca, topograficamente e tipologicamente, fra quelle di ViIlanova e Golasecca. Scavi frequenti, a partire dal sec. XIX, hanno chiarito la ptotostoria della città, attraverso l’esame delle necropoli a incinerazione che si trovano alla periferia del centro abitato. Per tutta l’età del ferro, le tombe sono relativamente modeste: un’urna cineraria coperta da un vaso. Inizialmente le ceneri erano deposte in urne biconiche di tipo villanoviano, fabbricate con ceramica nera. Più tardi l’urna, nella tettonica come nella decorazione, assume una forma originale. Le tombe hanno restituito oggetti di bronzo, che rivelano una grande abilità dei Veneti nella metallurgia: tra essi la Situla Benvenuti, trovata nella tomba di una donna d’alto rango con altro materiale di pregio. La superficie esterna della situla è divisa in più zone sovrapposte, nelle quali sono figurate scene di battaglia, di lavori campestri e di commercio di vasellame, inframmezzata con animali fantastici di tipo orientalizzante: cronologicamente si colloca intorno al 500 a.C. Un’altra situla importante è quella detta Boldu-Dolfin: anche la sua decorazione s’inserisce in una produzione che sembra estendersi su una vasta area, dall’Italia settentrionale alle regioni alpine e illiriche. Nel 1880-86 fuscavato in Este il Santuario della dea Reitia, patrona delle acque e della salute, che ebbe vita dalla fine dei IV a tutto il sec. II a.C. Vi si scoperse una favissa ricca di parecchie centinaia di oggetti votivi di bronzo e di terracotta. Fra questi sono caratteristiche le statuette di guerrieri e di offerenti, anche femminili, dal tipico abbigliamento. Alcuni alti piedistalli a pilastrino quadrangolare rastremato, destinati a sostenere statuette equestri, portavano, come altri oggetti, delle iscrizioni in lingua veneta, redatte con alfabeto etrusco. Le più antiche risalgono alla fine del sec. IV a.C. e fanno conoscere, sfortunatamente con teesti troppo brevi, una lingua indo-europea imparentata coni dialetti italici, la cui decifrazione tuttavia non è ancora compiuta. Verso il 200 a.C. Este diventa città romana, la quale ha restituito rilievi architettonici e funerari, oltre ad alcuni mosaici pavimentali.
Il Museo Nazionale Atestino espone, quasi esclusivamente, reperti archeologici veneti e romani della città e del territorio.
P a d o v a (Patavium), sul fiume Bacchiglione, fu centro paleo-veneto, poi romano, forse dal 128 a.C., anno della costruzione della Via Popilia, che a Padova s’incrociava con l’Annia.
Due raacolte archeologiche sono nel Museo Civico di Padova e presso l’Istituto di Archeologia dell’Università e testimoniano di una civiltà che fino agli anni ‘90 era opinione comune che fosse subordinata a quella di Este nel tempo e nei caratteri. Per nuove scoperte, poi, la situazione è mutata: Padova antica è risultata fiorente già nei ss. VIII-VII a.C., parallelente a Este o ancor prima.
Non minore menzione meritano Adria e Aquileia.
A d r i a (Hadria), città dell’odierno Veneto, un tempo porto lagunare, centro prima veneto, poi etrusco, poi gallico e infine romano, ebbe il suo apogeo tra il V e il IV secolo a.C., quando divenne un emporio di importazioni dalla Grecia, al pari di Spina. Nei ritrovamenti di Adria, oltre alla ceramica attica, compaiono ceramiche atestine e alto-adriatihe e materiale celtico del tipo La Tène.
A q u i l e i a, città del Friuli, sul fiume Natissa, pggi Natisone, che la metteva in comunicazione con i mare vicino, fui fondata dai Romani, guidati dal Triumviro L. Manlio Acidino, nel 181 a.C. e appariva, all’inizio dell’Impero, come una delle città più importanti d’Italia. Le distruzioni subite durante le invasioni barbariche (assedio dei Marcomanni e Quadi nel 167, incendio di Attila nel 452) e la malaria ne provocarono, a partire dal sec. V, la decadenza e lo spopolamento: gli abitanti, insieme con quelli di altre città venete. Altino e Concordia, rifugiandosi nelle lagune, contribuirono, col tempo, al sorgere di Venezia. Dal sec. XIX, gli scavi, prima condotti dagli Austraci, quindi potenziati dagli Italiani dopo la prima guerra mondiale e agevolati dall’assenza di una città moderna in situ, hanno rimesso in luce notevoli parti della città antica. Tra le vestigia più interessanti di considera il porto-canale, con le lunghe banchine in pietra d’Istria, collocate a due livelli per consentire l’attracco delle navi tanto con l’alta come con la bassa marea. Vi si conservano i grandi anelli d’ormeggio in pietra, le darsene con le scalinate d’accesso e le fondazioni dei magazzini. Sono sicuramente identificati l’anfiteatro e lo stadio, mentre del Foro, parzialmente scavato, sono state rialzate parecchie colonne. Nessun tempio pagano è stato finora rinvenuto, ma l’esistenza di culti pagani, esclusi quelli esotici di Iside e Mitra, si desume dal materiale epigrafico. Notevoli le tombe, sia quelle ad ara entro recinto, sia quelle architettoniche con cella colonnata su alto basamento, sormontate da cuspide, di derivazione ellenistica, tipiche di molti centri romani, come la città emiliana di Sàrsina.
Fin dall’età repubblicana, Aquileia ebbescuole di scultura, di derivazione ellenistica, ma con spiccate caratteristiche locali, nell’ambito della tradizione italica. Vi fiorirono le fabbriche di vetri, con produzioni d’ogni genere, compresi i murrini e i millefiori, come quella di Santa Seconda, che esportava anche nelle regioni danubiane. Tipiche anche la lavorazione dell’ambra e l’oreficeria, questa di ispirazione prevalentemente italiota. Il mosaico pavimentale, giàdiffuso nei primi secoli dell’Impero, ebbe il maggiore splendore a partire dal sec. III, cioè da quando Aquileia divenne cristiana. Si assiste all’assunzione di una simbologia cripto-cristiana, (p. es. la scena,più volte ricorrente, della lotta tra un gallo e una tartaruga) seguita da una più esplicits illustrazione di temi biblici (la storia di Giona,etc.). I monumenti principali sono i mosaici della Cattedrale, sia quelli scoperti alla base del Campanile, sia quelli dell’interno (mosaico del Vescovo Teodoro: sec. V). Attraverso la successione dei livelli vi si segue lo sviluppo del luogo di culto, da sala di una ricca casa privata alla vera e propria basilica. In tutti predomina il colorismo pittorico.
Il Museo Nazionale di Archeologia, ricco dei reperti di scavo, è particolarmente notevole per le sculture, le oreficerie e i vetri.
Il Museo Paleocristiano, collocato nell’area della Basilica di S. Teodoro, a nord della città, da non confondersi con la Cattedrale, conserva i mosaici della Basilica e di altre Chiese, insieme con varie testimonianze della vita cristiana della città.
Una stele reca l’iscrizione, di cui diamo qui la traduzione:
A LEI CHE SULLE SCENE
DA MOLTI POPOLI E DA MOLTE CITTA’
COLSEGLORIA DI APPLAUSI E FAMA
ERACLIDE, L’ATTORE GIOCONDO,
ARGUTO DIMOTTI,
CONSACRO’ QUESTO RICORDO.
GLI STESSI ONORI
CHE GODEVA IN VITA
OTTENNE DA MORTA,
POICHE’ RIPOSA IN UN LUOGO
SACRO ALLE MUSE E ALL’ARTE.
I COMPAGNI DI SCENA TI DICONO:
STA DI BUON ANIMO,
BASSILLA.
NESSUNO E’ IMMORTALE.
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