Roma sorse in una posizione geografica particolarmente favorevole per i commerci: non lontana dalla foce del Tevere e distante dal mare Tirreno km. 20 circa in linea d’aria: è, sotto questo punto di vista, paragonabile a città come Amburgo, Bordeaux, Londra e Nantes. Facile a difendersi, grazie ai colli su cui fu inizialmente costruita, si trovava anche all’incrocio delle vie di comunicazione tra l’Italia centrale e la Campania e dal mare verso la vallata interna del Tevere. Gli antichi hanno elaborato sulle sue origini un corpus abbastanza coerente di narrazioni tradizionali, anche se misto di elementi leggendari. Fu fondata nel 753 a.C., secondo la cronologia di M. Terenzio Varrone (116-27 a.C.), la più comunemente accettata, da Romolo [figlio del dio Marte e discendente, per il tramite della madre Rea Silvia, di Enea, venuto da Troia dopo la distruzione di quella città] e sembra che le indagini archeologiche confermino, almeno nelle grandi linee, questa datazione. Non consta, infatti, che il sito sia stato occupato prima dell’età del ferro [alcuni frammenti di bronzo dell’appenninico finale, trovati in un riempimento presso S. Omobono, non sembrano testimonianza sufficiente per una diversa cronologia]. Avanzi di un abitato capannicolo dell’età del ferro sono stati trovati sul Palatino, tanto a N-W, sul Germalo, quanto a S-E, sotto la Domus Flavia. Altri fondi di capanne sono emersi dal Foro, tra il tempio del Divo Giulio e la Via Sacra, e sul Quirinale. Per alcuni, si tratta di uno stanziamento umano nella zona del Foro Palatino, estesosi in seguito verso il Quirinale e l’Esquilino. Perciò l’archeologo tedesco Mueller Karpe suppose l’arrivo, nel sec. X a.C., di inceneritori, i quali avrebbero disseminato le loro capanne e le loro tombe tra il Palatino e il Foro, occupando in seguito il Campidoglio,il Quirinale e l’Esquilino. Il Foro, così circondato da quartieri abitati, sarebbe divenuto allora il centro religioso, con l’erezione del tempio di Vesta, e quindi politico della città. Altri studiosi pensano che la Roma primitiva sia stata invece il risultato d’un sinecismo piuttosto tardivo tra varie popolazioni abitanti in diversi punti: Latini, Sabini, Etruschi. Per l’archeologo svedese Gjerstad vi sarebbero stati insediamenti contemporanei sul Palatino, sul Quirinale, sull’Esquilino e anche sul Celio. Questi villaggi, stanziati sui colli, avrebbero avuto i loro sepolcreti nelle bassure circonvicine. Alla metà del sec. VII a.C. avrebbero costituito la Lega del Septimonzio, nota dalla tradizione, per giungere a una vera unità soltanto intorno sl 575 a.C. Tra questi estremi, altri studiosi, ancora, propongono datazioni intermedie, più o meno in accordo con la tradizione antica, accettando una ragionevole priorità del complesso Palatino-Foro e riportando alla metà del sec. VIII a.C. l’esistenza di una Roma già unitaria. Occorre ancheconsiderare che il momento in cui Roma poté considerarsi una città può essere variamente definito nel tempo secondo il fattore sul quale si appunta, di volta in volta l’attenzione: etnico, o politico, o giuridico, o urbanistico. Sotto quest’ultimo punto di vista è difficile negare l’importanza dell’influsso culturale etrusco. La tradizione riporta la fama dei grandi lavori eseguiti durante il regno dei Re definiti appunto etruschi, dalla cloaca Massima, il grande canale collettore che aveva prosciugato la zona bassa del Foro, alle mura di Servio Tullio (578-534 a.C.) e al tempio di Giove Capitolino, eretto da Tarquinio il Superbo (534-510 a.C.), anche se inaugurato, forse, dopo la costituzione della Repubblica (509 a.C.). La sua pianta a triplice cella, con profondo pronao antistante, sarà il modello non solo del tempio tuscanico secondo Vitruvio Pollione, ma fornirà il tipo canonico del Capitolium per quasi tutte le città del mondo romano. Comunque, le testimonianze archeologiche del suolo di Roma, anteriori all’incendio dei Galli (390 a.C.) sono scarse e frammentarie. La ricostruzione della città era avvenuta senza un ordinato piano regolatore: fatto, questo, le cui conseguenze si avvertiranno anche a distanza di secoli. La prima opera importante fu la nuova cinta di mura, con 14 porte (378-352 a.C.), che si continuò a chiamare serviana: nel tratto di N-E si appoggiava al robusto aggere Esquilino. Ne rimane un rudere presso l’attuale Stazione Termini. Tra il sec.III e il II a.C., in concomitanza con la conquista del bacino del Mediterraneo, Roma si inserisce nella cultura, anche architettonica e artistica, dell’ellenismo. Nel sec. II a.C. la città si arricchisce di opere di pubblica utilità, tra le quali: acquedotti, come l’Acqua Marcia (144 a.C.) e ponti come l’Emilio e il Milvio, aggiunti ai più antichi Lupo e Sulpicio, integralmente restaurati e abbelliti. Di Ponte Lupo ci è pervenuta oggi notizia, che definiremmo esilarante, se non fosse l’ennesimo indice del degrado in cui una turba commista di palazzinari e loro contabili al potere lascia che si sfaldi letteralmente quel ricchissimo patrimonio archeologico che è unica seria testimonianza del nostro passato. E’ S.A.S. Urbano Riario Sforza Barberini Colonna di Sciarra che così motiva la sua decisione di venderlo: “Sono disposto a vendere il più antico ponte romano a 1 euro [sic!] ad inglesi, americani, giapponesi, tedeschi, a qualsiasi Paese che sia in grado di tutelarlo, prendersene cura, salvarlo dal crollo imminente”. Ponte Lungo è nell’agro romano, lungo la Prenestina. Purtroppo la sua màgnificenza, “all’interno della tenuta ‘ San Giovanni in Campo Orazio ’, dove secondo la leggenda si svolse la battaglia tra gli Orazi e i Curiazi, è stata – ha aggiunto il Principe, discendente di Urbano Pp. VIII – offuscata, sfregiata dalla cementificazione selvaggia e abusiva, da discariche e prostituzione”. E’ una delle pagine piùsignificative della tradizione romana che già è in pericolo d’essere cancellata, quella che si richiamava ai tre fratelli Orazi, che, secondo la leggenda, sotto il regno di Tullio Ostilio (672-640 a.C.) duellarono contro tre cittadini di Alba Longa, detti Curiazi, per decidere di una guerra tra i Romani e gli Albani. Due degli Orazi furono uccisi. Il terzo finse allora di fuggire e i Curiazi lo inseguirono; ma, essendo tutti essi diversamente feriti, non correvano di pari passo; Quindi il superstite Orazio si voltò e, combattendoli uno per volta, li uccise tutti e tre, rimanendo così vincitore. La sorella degli Orazi era fidanzata a uno dei Curiazi e perciò si mise a piangere per la sua morte. Allora l’Orazio vincitore, irritato, la uccise e per questo delitto fu condannato a morte. Essendosi però egli appellato al popolo, questo lo assolse e il campo del duello da lui prese nome. Oggi, col suo Ponte Lupo, è condannato a presentare solo “un quadro desolante, una situazione disperata; fin quando – continua il Principe Barberini – i nostri politici non capiranno che la cultura, la nostra storia, i nostri beni archeologici sono il petrolio della nazione, da cui trarre anche profitti, la situazione non cambierà. Ma bisogna tutelare i nostri tesori, preservarli, non lasciarli in uno stato di totale e sconfortante abbandono. Situazione inspiegabile e incomprensibile anche per molti archeologi che raggiungono la tenuta come è accaduto recentemente per un gruppo di studiosi dall’Australia. Spero che le cose possano cambiare, ache se di fronte all’incuria, al disinteresse da parte di molti la mia reazione è di assoluta sorpresa, di profondo dolore. “Provo una certa nostalgia pensando al principe Maffeo Barberini, che una volta eletto al soglio pontificio con il nome di Urbano VIII, ricevette in Vaticano, come secondo gradito ospite, il grande Bernini, sapendo che sarebbe stato ricordato per la magnificenza dei capolavori del celebre artista. Il potere, un tempo, si inchinava all’arte, oggi tutto questo non accade più”. Ben diversamente da quanto è avvenuto per Urbano Pp. VIII, non passerà gran tempo che invece i nostri Tremonti, Brunetta e Bondi saranno dimenticati: fortuna loro, se i posteri non li assoceranno, come legittimi eredi “jure sanguinis”, all’incendiario Brenno!
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