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L'accettazione
del vero.
di
Raffaele de Grada
Questa
accettazione del vero senza contrasto, questa assuefazione senza
apparente dibatti-to, questo tranquillo procedere tra le cose del
mondo può suggerire analogie con quella cor-rente di pittori,
come un tempo Socrate o Sciltian, che hanno costituito la tendenza
del ve-rismo contemporaneo, continuata ai nostri giorni da quei
pittori che la critica ha denomina-to 'citazionisti'.
La pittura di Simonini è tutt'altra cosa e spieghiamo subito
il perché. In un quadro di Scil-tian la regolarità
della figurazione appare perfetta, identica alla notazione del vero
epperciò glaciale, esterna alla commozione del pittore che
la ritrae, che la certifica. In Simonini il 've-ro' ha sempre un'articolazione
particolare, un braccio troppo lungo, una distanza troppo abbreviata
tra il gruppo raffigurato e un paravento, un edificio del fondo,
un'accentuazione luministica che non tiene conto delle distanze
con l'esito caravaggista della distruzione delle prospettive reali.
E' ciò che fanno i pittori classici, a cominciare da Raffaello,
quando hanno voluto segnalare con la minima sproporzione del particolare
la sua necessaria composizione nell'insieme.
E' ciò che distingue il 'verismo' fotografico, oggettivo
(ma anche nella fotografia si tende a una minima deformazione del
vero) da quello che noi chiamiamo realismo, cioè l'interpretazione
del vero a mezzo dell'accentuazione di un particolare significativo
derivan-te dall'emozione visiva.
Le prime opere di Simonini mi furono mostrate dalla sua famiglia
e non mi resi subito con-to se erano del padre o del figlio, tanto
Domenico era schivo a presentarle. Erano scorci di folla, dipinti
con un tessuto pittorico a spatola e a tasselli, che rientravano
più o meno nella tradizione del 'nostro' realismo e denotavano
una certa carica di tensione psicologica che superava l'illustrazione,
pur essendo strettamente figurativa.
I soggetti erano quelli già suggeriti dalla rappresentazione
della società del suo paese, de-scritti con evidente deformazione
e con un monocromo prima tendente all'azzurro, poi sempre più
al nero. Stupiva già il disegno accorto, sicuro, che dava
certezza alla composi-zione e che era confermato da una numerosa
grafica che dilatava i personaggi nell'ambiente, donne in bicicletta
davanti ai portici, figure assiepate in un mercato, di fronte a
un negozio, al fondo di una scala.
Allora notai che queste opere mostravano una certa ascendenza dalla
pittura secessionista della mitteleuropa, si poteva pensare a una
mediazione attraverso l'emiliano romano Roberto Melli. Poi la pittura
di Simonini diventò più scura, quasi avvertendo una
crisi psicologica dalla quale le frequenze milanesi e poi i viaggi
a Parigi lo liberarono.
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