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Una storia nuova.

di Raffaele de Grada

E qui comincia la vera storia di Simonini, che è esemplare per gli artisti della sua generazio-ne. Essi si sono trovati di fronte a una cultura che aveva rifiutato il vero, pensando di rifarsi all'infanzia dell'arte, il primitivismo novecentesco per i colti, il naïf per il populismo partico-larmente fiorente in quella regione, l'Emilia. Era molto facile rifarsi alle famose 'avanguar-die', un tempo stroncate o ignorate e poi venute di moda, era soprattutto molto comodo per entrare nel giro. Simonini, figlio di un maestro di disegno e di una insegnante, dunque di famiglia di intellettuali, all'atto della sua formazione si trovò circondato, nel territorio e-miliano, da una folla di pittori naïfs che avevano trasferito le loro tende natalizie dalla im-pervia Jugoslavia alle pacifiche terre emiliane. Era tuttavia ancora in atto, specialmente in Emilia, il proseguimento del movimento realista degli anni Cinquanta con la buona resi-stenza del romagnolo Alberto Sughi e un certo numero di artisti intensamente chiaroscurali.
Proprio in quel periodo ho tentato, con una mostra e un buon catalogo, nella Pinacoteca di Ravenna, di ravvisare un percorso dell'arte in Romagna. Estendere l'indagine a tutta l'Emilia, Ferrara, Bologna, Modena, Parma…era troppo difficile e ambizioso. Quanti auto-ri, da Roberto Melli a Sughi, poi operanti specialmente a Roma, vengono dalle terre emilia-ne e romagnole, feraci di messi ma anche di artisti. Studiando con metodo, oltre la disper-sione delle singole, numerose mostre dei pittori di questa regione, ci si accorge che esiste una certa unità, in parallelo con il 'naturalismo informale' battezzato da Francesco Arcange-li, nell'arte figurativa emiliana. E' l'unità di artisti che guardano con amore le cose del mon-do, che si aprono alla società dei piccoli mercanti e dei semplici svaghi della media borghe-sia, che non mirano tanto allo 'stile' ma alla rappresentazione della vita di tutti i giorni e che, superando l'idea storicamente limitata del realismo sociale, rientrano nella grande cate-goria del realismo di tutti i tempi. A questa categoria di narratori popolari, che ci riconduce alla letteratura dell'Ottocento, quella di Rostand e di Maupassant, appartiene Domenico Simonini che, superando i suoi primi schemi, dagli anni Ottanta in poi, frequentando ap-passionatamente i musei, eleggendo come sua seconda residenza Parigi (ma la Parigi delle grandi mostre, non quella asfittica degli intellettuali), ha riscoperto la grande pittura, quella che discende dal Tiziano e dal Tintoretto. Recentemente, davanti alla tavola imbandita del mirabile Tintoretto di Saint-Francois-Xavier, esposto in questi giorni nella mostra della Mairie di Parigi, ho avuto conferma di quali siano i veri maestri di questo artista che non è da confondere con i pittori figurativi borghesi del nostro tempo; il fiato, 'l'allure', come di-cono i francesi, sono completamente diversi. Simonini è uscito dall'infelicità della ricerca e ha scoperto la grande gioia del dipingere che è un premio per se stessa.



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