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Il
museo come cultura.
di
Raffaele de Grada
Simonini,
da allora, si è fatto una storia, si sono avvicendate importanti
mostre personali, a Vignola, a Trento e Rovereto, a Vienna, a Monaco,
a Milano, a Massa Carrara, a Modena, con un bel catalogo da me redatto,
ha partecipato con Maria Luisa Simone ed altri alle e-sposizioni
di gruppo di 'Città e campagna', una sorta di rilancio della
pittura realista urbana e campagnola, ha raccolto un certo numero
di premi ma ha sempre mantenuto una sua mi-rabile indipendenza.
Dopo brevi ma serrati studi accademici a Modena e a Bologna, Simo-nini
ha trovato una grande scuola, quella dei musei.
Nei musei Simonini non è andato per copiare le opere dei
grandi maestri, non ha dipinto degli 'omaggi', dei 'd'après'.
Egli ha trascorso ore e ore nei musei per imparare, per studiare.
Così non è diventato un 'citazionista' ma un vero
pittore dell'oggi. Quando dipinge Il Moret-to che taglia il prosciutto
nella piena esuberanza della 'natura morta' dove gli erbaggi e le
botti-glie si mescolano al rosso vivo delle carni, vien da pensare
ad Annibale Carracci, come nella dignità con cui un cameriere
del Petit Zinc che reca un piatto di ostriche, con alle spalle una
figura di Manet, si legge, nonostante la diametrale differenza del
soggetto, una lontana a-scendenza dai ritratti di ermetica psicologica
del Lotto.
Il merito di questo pittore è di raffigurare i soggetti della
vita sociale rappresentata dai grandi impressionisti con la tecnica
della pittura antica. Si può pensare che egli sia nato troppo
tardi e che la sua poetica sarebbe stata ben più apprezzata
prima che le avanguardie distruggessero il senso della buona pittura.
Ma perché non pensare che sia troppo presto per giudicare
quale sarà veramente il corso delle arti da oggi in poi?
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