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Mostre
da
"L'Adige" - ottobre 1978
di Gian Pacher
Grandi
tele e spazi infittiti di personaggi nella pittura di Domenico Simonini
(a Palazzo Pretorio) , venticinquenne modenese presentato in catalogo
da un testo di Raffaele De Grada cha pur ammettendo dì non
aver scoperto "un miracolo" lo segnala all'attenzione
dalla critica italiana. Ciò è giusto, perché
se non altro, il Simonini appartiene al gruppo di operatori attenti
a cogliere il piacere del quadro dipinto. In questo senso, il quadro
è forte di una sua composizione, di una storia da raccontare,
quasi un modulo di informazione o, per lo meno, segnale di intensa
emozione. Di Simonini occorre dire innanzitutto del colore: le sue
sono cromi, spesso fredde, qualche volta glaciali dove il momento
poetico rischia di rimanere in buona parte nelle intenzioni dell'autore.
C'è poi una certa irruenza compositiva che proprio nella
sua musicalita del colore, perde spinta e carica. Per questo il
colore, del resto quasi mai felice tra i pittori bolognesi, ha una
fondamentale importanza. C'è da aggiungere che il discorso
di Sìmonini oltre a recuperare talune riletture dì
Guttuso e di un "primo" Brindisi, mostra di rifarsi soprattutto
all'esasperazione di Bacon, il cui riferimento, in alcuni casi è
molto evidente. Di questo giovane pittore comunque merita di essere
considerata la forza compositiva, che sa essere anche fatica, la
capacità impaginativa, l'istinto narrativo deciso e solido
pur con i "parecchi problemi da risolvere" di cui lo stesso
De Grada è persuaso.
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