Artisti > Domenico Simonini > Biografia > Opere > Critiche > Mostre >



Il rapporto con il grande impressionismo.

di Raffaele de Grada

Ma chi se ne rende conto? Se si guarda la critica che ha parlato di Simonini in occasione delle sue numerose esposizioni, personali e collettive, ritroviamo una quantità di elogi. Ma quando dall'elogio di occasione si passa all'impegno-invito a manifestazioni collettive di si-gnificato culturale o anche soltanto mercantile, si registra una deprecabile assenza, un muti-smo complice come se quelli stessi che lo hanno elogiato non lo conoscessero e non voles-sero inquadrarlo nel corso delle presenze valide. Non voglio pensare che ciò avvenga per malignità e cattiveria, non ne vedo i motivi. Penso piuttosto che Simonini soffra di ciò di cui hanno sofferto gli artisti, anche eccellenti, che hanno seguito una tradizione. Quando si trattò della grande tradizione dell'impressionismo francese, che dire di Armando Spadini se non che egli poteva essere considerato il 'Renoir italiano'? Ma Renoir era venuto prima e le felici creazioni di Spadini, tutte aperte al godimento del presente nella calma solare dell'oggi, erano tutt'al più considerate facili elaborazioni di un 'petit maitre'.
In fondo a questo atteggiamento si intravede la sovrana antipatia degli intellettuali d'oggi per tutti coloro che hanno avuto dalla sorte la grazia della creatività. Si preferisce a loro quelli che fanno una gran fatica a esprimersi e che, di fronte all'opera, nel magico momento della creazione, si sentono come una 'balia asciutta' nei confronti del bambino da nutrire.
Quella critica, seguita poi dalla pubblica opinione, rinuncia allora al proprio compito di co-noscenza razionale dell'opera per affidarsi alla enfatizzazione della personalità alla quale si concedono tutti i diritti, scorrettezze, aridità, nullismo e nessun dovere, la intuizione che si regge con i valori dell'arte.
Simonini non ha respirato l'aria di un grande maestro, né di Picasso, né di Klee, né di Pol-lock, né di Bacon. In fondo, pur ammirandoli, egli li ha considerati i paradossi della nostra civiltà, ha rispettato la folla dei suoi colleghi succubi dei Maestri ma ha preferito cercare i-spirazione nei giardini, nei caffè, suoi marciapiedi delle città, commuoversi davanti ai fiori, ai ponti della Senna, alla Rocca del suo paese, al tavolo di una 'creperie' parigina.
Nel nostro secolo, più che in quelli precedenti, l'arte figurativa ha seguito in genere l'indirizzo stilistico di un maestro, per il nostro Novecento, Carrà, per esempio; oppure ha inseguito in corsa vana la rapida evoluzione delle scienze, dal Futurismo in poi. Ciò ha co-stretto la critica d'arte a esaltare i pochi maestri o mettersi in concorrenza con l'evoluzione tecnologica inventandosi teorie parascientifiche e confondendo le mutazioni delle materie con il progresso delle arti.
Simonini si è posto fuori da questi flussi che hanno sostituito la simbologia al reale, il con-cettuale al contenuto, che hanno privilegiato la trovata al racconto della vita umana. Quan-do in un bistrò parigino trova un cane nero che solleva il muso verso il suo padrone o dise-gna un uccello nero su un'arpa gialla nella stanza di un bar, non dà a questi segni alcun at-tributo scaramantico ma di semplice connotazione figurata.

 

Artisti > Domenico Simonini > Biografia > Opere > Critiche > Mostre >